Oggi voglio pensare ai bambini. Idealmente a tutti i bambini della Terra. I bambini sono il sale di questo nostro pianeta, senza di loro ogni azione, ogni attesa sarebbe sprecata A loro regalo questa mia favola e anche se un po' lunga, potranno leggerla o potrete leggergliela voi, mamma papà nonni, poco alla volta.
Buon Natale piccoli e buon divertimento con Lalà.
La favola di Lalà.
C’era
una volta in una città senza nome di un Paese senza nome, una bambina di nome
Lalà. Strano nome direte e avete pure ragione, ma il fatto è che questo
nomignolo le era stato dato dalla mamma a causa della curiosità che la piccola
mostrava per ogni cosa: là, là guarda, là, là ho visto, là, là ho sentito…
Lalà, non avendo né fratelli né sorelle, stava spesso
affacciata alla finestra della sua cameretta a guardare il cortile e gli altri
bambini che erano lì sotto a giocare. Ma più dei suoi piccoli amici osservava
il cielo, il grande albero che cresceva al centro del cortile, le aiole lungo i
muri, la fontana che mandava un allegro suono di acqua saltellante. Quello che
vedeva la incantava, era il paesaggio a cui era abituata, anche se con il
passare dei mesi e degli anni (pochi in verità, perché era piccina) si era accorta che qualcosa stava
cambiando.
Il cielo si era sbiadito, da celeste era diventato
grigiolino; l’albero era spelacchiato come la testa di un nonno e non c’erano
più nidi di passeri e pettirossi tra i suoi rami; i fiori nelle aiole
spuntavano magrolini e pallidi come se avessero una brutta influenza; e nella
fontana l’acqua era torbida e non faceva più un buon profumo di montagna.
“No, no,” scuoteva i riccioli Lalàà, parlando ad alta voce
con se stessa “ qui c’è qualcosa che non va. Bisogna pensarci bene, bisogna
darsi da fare. Ed è inutile parlarne ai grandi, hanno sempre tante cose da
fare! Nemmeno se ne accorgono! Corrono sempre di qua e di là come formiche.
Però formiche stupide. Sì, non dovrei dirlo e neppure pensarlo, ma i grandi
sono un po’ sciocchi e amano cose sciocche. Si arrabbiano e gridano per niente
e non vedono più gli alberi e gli uccelli, non guardano il cielo. Che scemi!”
Non ne parlava perciò con nessuno, neanche con la mamma, e
andava a letto pensierosa e un poco, solo un poco però, triste.
Un pomeriggio, la mamma le diede il permesso di scendere in
cortile. Lalà lasciò il coniglietto bianco che non la abbandonava mai sul letto
a riposare e si precipitò giù. Non trovò nessuno. Il cortile era vuoto e
silenzioso, non c’era vento e neanche freddo. A dire il vero non c’era né caldo
né fresco, proprio niente. Solo silenzio, niente fischi di passeri, niente
fruscio di foglie. Ma già, quali foglie? Il vecchio albero ne conservava, ormai,
alcune di un verde polveroso che parevano sul punto di staccarsi. Lalà sospirò
e si diresse verso le aiole, avrebbe scavato fra le zolle di terra per trovare
qualche vermetto o avrebbe ispezionato i fiori alla ricerca di una coccinella. Neanche lì trovò qualcosa, i pochi fiori stavano
a testa in giù, come se facessero fatica a sostenere il peso dei petali e la
terra secca e dura le si sbriciolò tra le dita, quasi graffiandola. Meglio
lasciar perdere, non avrebbe trovato né vermetti né coccinelle. Camminando
sulla pietra, saltello dopo saltello, arrivò al grande cancello che dava sulla
via. Clang clang, wroom wroom, perepepepe perepepepe, driiin driiin, bruum bruum mille rumori le caddero addosso. Lalà corse a
rifugiarsi nel cortile, spaventata da quel baccano. Ma la curiosità era troppa
e piano piano, a passi cauti tornò
sulla strada e quello che vide non le piacque per niente. La mamma le proibiva
di andare per strada da sola e quando erano insieme le raccontava tante belle
storie e alle domande di Lalà sulla sporcizia dei marciapiedi, sui sacchi di
immondizie traboccanti, sulla puzza dei gas di scarico delle auto, rispondeva
con una carezza, un sorriso non proprio grande, con una nuova storia di boschi
e fiori e animaletti in libertà, tanto per distrarla. Ora Lalà era sola, senza
la mamma e tutte quelle cose belle erano scomparse dentro al libro delle favole
posato sullo scrittoio; al loro posto, gli occhi di Lalà vedevano solo
spazzatura nei sacchi aperti da gatti affamati, cartacce svolazzanti al posto
di rondini; e il nasetto annusava puzza di veleni di strega, invece che profumo
di fiori.
Girò le spalle alla strada e rientrò nel cortile, avrebbe
giocato, fino all’ora della merenda, con i pesci rossi nella vasca. Si sedette
sul bordo e guardò tra le muffe verdi che ricoprivano l’acqua, la agitò con la
mano: niente, nessun guizzo, nessun amico pesce, morbido e scivoloso da
sfiorare. Allora comprese.
Anche i pesci erano tornati nelle pagine dei libri, li avrebbe trovati lì,
sorridenti e paffuti, pronti a raccontarle la loro storia. Risalì in casa e nei
grandi occhi brillavano piccole stelle d’argento.
Nel
suo lettino Lalà dormiva con il coniglietto bianco, era stanca ma aveva fatto
una certa fatica a chiudere gli occhi e la mamma aveva avuto un bel da fare,
seduta accanto a lei, a leggerle una favola lunghissima. Ora il sonno era arrivato, leggero
come piume di pulcino le accarezzava le palpebre chiuse.
Lalà sogna una foresta
di alberi forti e alti e uno spiazzo di erba costellata di fiori e farfalle in
volo che si scontrano con piccoli uccelli verdi dal buffo cappellino. Uccelli
verdi? Berrettino? E poi cosa è questo suono, chi bisbiglia vicino al letto?
Lalà apre gli occhi, si mette a sedere stropicciandoli per cacciare via il
sonno e aguzza lo sguardo nel buio dorato della sua stanza. Per fortuna la
mamma le lascia sempre accesa una lucciola nell’angolo e là, sì, sì, accanto al
lumicino, c’è qualcosa che si muove! Ma cos'è? Uno scricciolo di bambino pare, una creatura
minuscola che agita le mani in segno di saluto.
“Chi
sei? Come sei entrato? Ti ha fatto entrare la mia mamma?” chiede Lalà
“
Oh, no! Io vado ed entro dove voglio, sono bravissimo nel farlo e nessuno
riesce ad accorgersi di me! Mi chiamo Fluff e sono uno… uno…”
“Uno
cosa? Un elfo dei boschi? Uno gnomo no. No, non hai la barba! E allora, chi
sei?”
“Uno
spiritello, ecco! Io sono uno spiritello
della Terra, della Regina Terra.”
Rispose
finalmente, con tono d’importanza, il buffo esserino.
“E
cosa vuoi da me? Non capisco. Mi svegli con i tuoi sospiri e non mi dici
niente! E dai, non startene impalato nell’angolo, non ti mangio io, sai? Non
aver paura, avvicinati. Io sono Lalà:”
A dire il vero, il cuore le batteva forte, ma non voleva dargli a vedere che un pizzico di paura in effetti lo provava.
Lo spiritello inciampò nel tappeto di lana azzurra e per poco non
finì addosso a Lalà: Tutti e due fecero un salto d'un metro e mezzo per lo spavento.
“
Ooops!!! Scuuusa! Ehm, dunque Lalà, io ho sentito, passando per caso qua vicino, che
tu sei triste per tutto quello che succede di brutto nel mondo. E ho deciso di
darti una mano. Ecco. Se lo vuoi, ma devi volerlo veramente, le cose potranno
cambiare.”
Anche
Lalà si era ripresa dalla fifa e ora lo ascoltava piena di interesse.
“Certo
che lo voglio! Dimmi cosa devo fare, dimmelo ti prego, sono così felice e così
curiosa!”
Fluff
si era inerpicato sul lettino, era alto quanto il palmo della mano del papà di
Lalà, e il berretto gli calava di continuo sugli occhi facendolo sembrare più
un fungo che un nanetto.
“Bene! Tu devi solo VOLERE che il tuo desiderio si avveri e pensare con tutte le tue
forze, con tutto il tuo cuore che anche gli altri bambini come te, più grandi e
più piccoli, di qualunque colore abbiano la pelle, gli occhi, qualunque lingua
parlino, siano anche loro come te desiderosi di vivere in un mondo diverso. I
vostri cuori devono diventare un solo cuore, i vostri pensieri un solo
pensiero. Al resto ci pensiamo noi! Perché non crederai che sono solo, io? - Pfui fischiò - “Siamo moltissimi, siamo un esercito. Ma un esercito senza
brutte armi.”
Lalà
lo aveva ascoltato attenta e con gli occhi sgranati, la boccuccia era diventata
una O così perfetta che la maestra ne sarebbe stata orgogliosa.
“
Sì, va bene. Lo farò, sarò un solo cuore e un solo pensiero. Ci riuscirò, ci
riuscirò, ci riuscirò…”
Gli
occhi si richiudevano nel sonno, la lucciola nell’angolo illuminava appena il
visetto serio tra i riccioli sul cuscino. Un lieve battito d’ali,un sussurro e
Fluff vola via.
I
folletti o gli spiritelli della Terra sono molto veloci, anche se spesso
inciampano in un capello e ruzzolano giù dalle grondaie e dai comignoli
perché sono distratti e curiosi. Così per l’appunto, anche Fluff si precipitò,
un po’ volteggiando nel blu del cielo, un po’ scivolando pericolosamente giù
per i fianchi dei monti, a cercare gli amici; e lasciandosi trasportare appeso
alle nuvole e strillando a squarciagola, riuscì a raggiungerli tutti, o quasi.
Soltanto Gronf non si presentò all’appuntamento che Fluff aveva dato presso la
Stellapiùlucente, sì proprio con tutte le lettere attaccate. Ma già, di lui non
ci si poteva fidare, era sempre l’ultimo ad arrivare, così cicciottello e
svaporato.
In
un batter d’occhio, Fluff ordinò ai compagni di fare e rifare in tondo e girare e rigirare per tutto il mondo, di
entrare in ogni casa, ogni capanna, ogni tenda, camper o qualunque cosa dove ci
fosse un bambino o una bambina, meglio se più di uno. E che ogni folletto
entrasse nei sogni dei bambini e li facesse sognare la stesso identico sogno:
un unico cuore, enorme. Un unico pensiero d’amore per la Regina Terra.
Via!
Via! Come piccolissime astronavi saettano i folletti e volano per il cielo e
poi atterrano silenziosi ed entrano nei sogni di tutti i bambini.
Nella notte
buia, tra le stelle e la faccia sorridente della luna, un cuore si allarga, si
allarga sempre di più, diventa talmente grande da riempire la volta celeste.
Pum
pum pum fa il cuore e questo suono è più dolce di una ninna nanna.
Ed
eccoli ancora in viaggio: che notte di stanchezza per i nostri folletti! Ora
volano in alto, sfondano le nuvole e bussano al Castello di Maltempo. In verità
hanno un po’ paura, gli abitanti non hanno un bel carattere, anzi alcuni sono
proprio terribili. Ma coraggio, bisogna osare.
Il
pesante portone si spalancò con un boato fragoroso, il Gran Ciambellano Tuono
li accolse con un brontolio sinistro, mentre Saetta e Lampo, due Cavalieri
secchi e nervosi, proprio due tipi elettrici, spingevano Fluff e gli altri
spiritelli nella sala del trono. Finalmente, tra una scossa e un ruggito, i malcapitati
folletti, alquanto malconci, giunsero davanti al Re Maltempo, talmente immenso
che la testa si perdeva tra nuvoloni neri.
“Cosa
volete dunque? Come osate entrare nel mio castello?” disse il Re con un vocione
che scuoteva le mura e faceva roteare vorticosamente i lampadari di ghiaccio
appesi al soffitto.
“Mio
Re, Eccellentissimo Signore di tutta l’atmosfera! Umilmente mi presento, con i
miei amici! Sono Fluff il folletto
inviato dalla Regina Terra per chiedervi una grazia, un favore, un…”
“
Bando alle ciance, so già ogni cosa! - lo interruppe il Re - e anche se mi
disturbate non poco, non posso rifiutarmi di aiutare la mia cara amica. Tempi
oscuri sono questi per lei e spesso anche per me! Vi confesso che anche io sono
turbato da quello che avviene laggiù, mi rende inquieto e mi fa perdere la
bussola, perdindirindina!” E il Re Maltempo emise un ruggito ancora più forte, così forte che un cristallo di ghiaccio si staccò dal lampadario e per poco non seppellì Fluff.
“Oh!
Mio magnifico e generoso Signore, allora accettate di venirle in soccorso?”
Fluff
era in un brodo di giuggiole, cioè era felice nonostante il pericolo che aveva appena corso, e smaniava per l’impazienza.
“Certo,
piccolo amico, ecco ora ti presento coloro che ti aiuteranno.”
A
un cenno della mano di Re Maltempo, sbucarono dalle nuvole bianche, grigio chiaro, grigio
quasi nero che arredavano la sala come tende drappeggiate ai finestroni, alcuni
personaggi bizzarri e chiacchieroni.
Il Re Maltempo fece le presentazioni, a ogni colpo del suo scettro di cristalli di ghiaccio apparivano, sfilando ordinatamente, i Cavalieri e le Nobili Dame di corte.
“Ecco
la Signora Grandine, ehm… un po’ sovrappeso e
anche rumorosa ... Questa è Madame Neve, gelida e bella, non c’è che dire!
E ancora, Miss Nebbia, zitella- sorry- single inglese, svagatella e alquanto
miope. La soave Signorina Pioggia, a volte sa essere veramente insistente, ma
la riteniamo tutti un ottimo toccasana!
E ancora, Messere Vento, purtroppo soffre di attacchi di asma furiosa,
poverino! E per chiudere vi concedo i Cavalieri Lampo e Saetta - dai quali è
meglio stare alla larga, essendo sempre su di giri - accompagnati da Tuono, il
mio amato e brontolone Ciambellano. Se
poi aveste bisogno di qualcosa di più… speciale, potrei offrirvi anche Ciclone
e Bufera, ma sono tipi poco raccomandabili e non so se vi conviene averli
appresso.”
Il
Re concluse la presentazione dei suoi sudditi con un sospiro tanto profondo da
squassare il tetto. E una cascata di batuffoli di nuvole lo ricoprì alla vista
dei folletti.
Le
stelle si spensero una a una, la luna si nascose dietro a una grossa nuvola
biancastra. Il cielo cominciò a rombare, pareva che migliaia di cannoni
sparassero tutti insieme. Fulmini scoppiavano a zigzag nel nero della notte
rischiando di incenerire i folletti che si erano riparati sotto gli alberi
delle grandi foreste.
Pioggia, Grandine, Nebbia e Neve, precedute da Vento,
si lanciarono a velocità supersonica giù verso la Terra, filando dritto verso i
bersagli. Non toccavano niente nel loro furibondo cammino, le città e gli
alberi, le capanne e le foreste rimanevano intatti a dormire nella notte.
Muovendosi insieme come un gigantesco serpente raggiunsero i Palazzi dove gli
Uomini Cattivi abitavano e il Cavaliere Vento con un potente soffio scardinò il
portone e tutti insieme, penetrarono dentro con grande frastuono, dleng dleng,
swish swish, uuuuh uuuuh, e acchiapparono gli Uomini Cattivi che, nell’udire
quel fracasso di vetri rotti e porte divelte, scappavano di qua e di là,
urlando e chiedendo pietà. E c’era il Signore delle Guerre che tentava di
lanciare una bomba; l’Uomo delle Acque Inquinate che versava liquidi puzzolenti; l’Uomo dei Pesticidi che
spruzzava spray velenosi; l’Uomo dei Soldi che offriva grosse pepite d’oro; e
infine, i piccoli, pasciuti Uomini del Potere che correvano gemendo, portandosi
dietro la poltrona in cui erano stati seduti e da cui non riuscivano a
disincagliarsi.
Una
baraonda, un finimondo. Fino a quando l’ultimo di questi stupidi uomini non
venne lanciato incontro al nero della notte. Roteavano vorticosamente, i
cattivi uomini, su per la volta del cielo, proiettati dai poderosi calci nel
sedere di Pioggia, Grandine, Nebbia, Neve e Vento. E Lampo e Saetta, marciando al
ritmo della musica di Tuono, li accompagnavano verso la loro nuova dimora: la
Stella Nera, l’unica stella invisibile del firmamento.
I folletti osservavano con il naso insù e strizzando
gli occhi potevano vedere le fasi finali della battaglia. Nebbia, Grandine,
Pioggia, Neve, Vento e Lampo e Saetta seguiti da Tuono e… Gronf??? Ma che ci
faceva lui lassù? Neanche il tempo di scambiarsi un’occhiata esterrefatta che
il suolo attorno a loro sobbalzò: Gronf era atterrato su una pianta di rovo e
strofinandosi il culetto indolenzito, li fissava pieno di fierezza.
A volte i gesti di eroismo arrivano da quelli che
riteniamo meno affidabili.
Il cielo cominciava a tingersi di rosa acceso, quando un pettirosso si posò sul davanzale della finestra di Lalà e prese a fischiettare allegramente.
Lalà si stiracchiò a lungo, non aveva voglia di svegliarsi, ma quel cinguettio così insistente le fece spalancare gli occhi. Si sentiva un poco stanca, come dopo un brutto sogno, ma la curiosità era troppa. Infilò le ciabatte e lesta lesta andò a spalancare le ante della finestra.
Un raggio d’oro liquido e profumato la colpì in pieno viso. Strizzando gli occhi per la luce guardò in alto e vide un cielo di zaffiro splendente, con due o tre nuvolette vaporose, simili ad agnelli, che navigavano. Una miriade di rondini schiamazzava attorno alle grondaie dei tetti vicini in cerca di un posto dove fare il nido e abbassando gli occhi verso il cortile, le venne incontro l’albero tutto ammantato di verde. Nelle aiole i fiori esplodevano con i colori dell’arcobaleno, accarezzati da farfalle e coccinelle. L’acqua della fontana zampillava e Lalà sapeva che ora sarebbe stata fresca e odorosa di pulito.
La voce della mamma interruppe l’incanto;
“Lalà, piccola mia, come mai sei già in piedi? Stai male? Hai fatto un brutto sogno, forse?”
Lalà corse ad abbracciare la mamma e ridendo rispose:
“Oh no mamma, al contrario, ho fatto un sogno bellissimo! Sto bene, sto benissimo. Vieni, mamma, siediti qui accanto a me sul letto. Ti voglio raccontare una storia.
E Lalà iniziò a raccontare.