domenica 24 marzo 2019

Come due amanti

Arriva così, senza preavviso. Arriva incolore e piatta, la consapevolezza della propria fragile esistenza. In una notte senza riposo come in un mattino luminoso e sfacciatamente ingombro di gesti e parole.


E questo che mi aspetta?
Lo chiedo a te che sai tutto.
Rannicchiato in un pugno contro il petto
sprangato nella casa dei sonni accecati
di squarci di lampi lungo il corridoio
Lo chiedo a te che mi sorvegli
dal cancello che non si chiude
vorrei lasciarti entrare o no
vorrei che non mi strappassi da qui
o no, non so perché.
Lo chiedo a te
e aspetto una risposta
che non verrà ché già conosco
la risposta.
Sta nell’insonnia devota
alle mie braccia e gambe
nella gabbia del letto
nell’allegria spezzata dai silenzi
delle notti di questo inverno
È la risposta delle case abbandonate
tutte un fremito di vita, assenti
le belle bocche innocenti
È la parola schiva e disadorna
che da te a me selvatica straziata
sempre ritorna come un boomerang
Come un boomerang
mi s’affigge al ventre alla coscienza.
mi sospira - la voce è ferro freddo .
Te la sei voluta, hai sbagliato
vecchia mia, stupida vecchia.
Ora tientela stretta, tienimi stretta,
abbracciami, abbracciati
Coccolami, coccolati.
Saremo unite
Come due amanti
due attempate amanti
ci faremo compagnia.



Frida Kahlo "Las dos Frida"  1939






martedì 5 marzo 2019

Dall'odontoiatra o sul bus, parole.

E sì, noi italiani siamo viziosi. Godiamo di tutto, siamo dei sibariti, ci ingozziamo di letizie culinarie,  di leccornie sessuali, di bocconcini artistici, ingurgitiamo quintali e quintali di parole di parolai, ingurgiteremmo ingordamente  anche i parolai,  se potessimo. Abbiamo molti viziacci è vero: abbiamo la Bellezza del mondo o quasi e allo stesso tempo le strade che franano per le buche che vi si aprono, i marciapiedi da rottamare assieme a qualche politico, ponti e paesi che si sbriciolano, i mari che sono diventati riserve innaturali di scorie e monnezze. Però a noi qualcosa ci salva sempre ed è la chiacchiera, il brusio, il cincischiare della lingua, lo sproloquio e l'eloquio.
Le nostre giornate sono scandite dalle rivelazioni folgoranti di critici, cultori, studiosi serissimi e cercatori d'oro: come il pane e i torinesi alla trattoria rionale, ce li ritroviamo a pranzo e a cena con noi, a volte anche a colazione, si fa subito il punto qui da noi, si mettono dall'alba le carte in tavola, eh!
E questo quando ce ne stiamo davanti alla tv. Ma la chiacchiera più coinvolgente, quella che non lascia via di fuga, ormai, avviene qui, lo sappiamo bene. Non si scappa, no. E chi ne ha voglia? Siamo nella sala d'attesa dell'odontoiatra che ritarda a tormentarci e allora tutti giù a leggere, a compulsare il social prediletto; o sul bus, o nelle pause di lavoro, nel cesso se c'è un minimo di privacy consentita. E sui social ci si imbatte nello studioso acuto che discetta sull'ultima fatica della Rai, "Il nome della rosa" facendo il pelo e il contropelo, garbatamente e dottamente, a Umberto Eco; oppure caschi nella diatriba su Zingaretti - ha fatto bene o male ad andare, come primo gesto da segretario neoeletto, a Torino a discutere di Tav, invece che correre a sostegno dei diseredati, che so, in un campo nomadi? -  e vuoi che manchi il mot d'esprit salace del giovane barbuto pentastellato? O ancora, ti imbatti nelle sdegnate recriminazioni nei confronti dell'odiatissimo Fabio Fazio e della sua intervista paracula a Macron (anche lui, ovviamente, paraculo).  Per non dire dei soliti Camilleri e Saviano che ormai sono un cult, detengono il primato della diceria dell'untore.
E tu, anzi noi, lì a leggere, a condividere, a replicare, a esprimere rabbiosa stizza  o ridente  approvazione, secondo le corde che vengono toccate.
Tutto questo scrivere, spesso con munificenza di erudizione, si blocca, altrettanto spesso se non sempre, quando gli eventi che accadono accanto a noi sono intrisi di disperazione, sporchi di sangue e di dolore. La realtà del nostro tempo, la quotidiana ferocia della vita di molti esseri umani, viene lasciata dov'è, nella sporcizia della miseria e della sofferenza.
Così resistiamo, così ci salviamo. Con i nostri amatissimi vizi, molti carnali, tanti spirituali. E con quello che svetta più in alto, il più silenzioso dei vizi, il più accettabile perché il più banale: l'indifferenza. Via, quindi, al teatrino dei pupi, lasciamoci tirare per i capelli, strabuzziamo gli occhi, inchiodiamo le orecchie alle parole, dette e scritte: purché parlino di persone, morte o vive non importa, che ci distolgano da quello che c'è oltre la porta di casa nostra. O dello studio dell'odontoiatra.


Lucien Freud "Portrait" 1980

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