giovedì 25 ottobre 2018

Non ho voce.

Poi viene il tempo in cui la voce manca. Le parole reiterate tante volte spasimano in gola. Ma è tardi, è sempre più fondo il silenzio.



Non ho voce
non ho niente da dire
a questo specchio assolato
di luce falsa
Scorgo la mia vecchiaia
che vorrebbe essere allegra
come è giusto alle teste
bianche e stanche che sia data
l’allegria di un giorno in più
rispetto alle paure del domani vicino
così vicino da innervosirmi sempre
da sgomentarmi sempre
di notte frugando nei sogni
senza una fine decente
e nei giorni senza porte che sbattono,
s’aprono e poi si chiudono sui volti
di ragazzi e ragazze
impazienti di vivere le loro giornate
di necessità volatili impegnate.
La mia faccia allo specchio
è una smorfia senza fortuna
e la mia voce si perde nell’angolo
dell’ombra che sta
a ridermi dietro la porta
della camera vuota.
Non parlo più sono un’estranea
conosciuta e sbiadita
allo specchio degli altri,
il mio riflesso non sono io.


Foto di Mario De Biasi (1923-2013)

martedì 9 ottobre 2018

Un lumicino.

Eccoti, ottobre, mese da sempre atteso da me con apprensione perché mi parevano i giorni di un cambio di marcia, via dai fumanti calori estivi e dalle veglie sudate. Verso una luminosità aggraziata, scivolante sulle cose, insinuante nelle stanze una morbidezza di colori e di odori. E invece non ti avverto, no, non così. C'è una plumbeo, raggricciante pulviscolo che ottenebra la visione, gli occhi  sono affetti da una cataratta inviolabile. Lo ingoiamo questo pulviscolo, è diventato pane.
A volte avverto la demenza senescente dei nostri cervelli, in fondo siamo diventati un popolo sterile (qualche ratto, dal proprio buco, mastica le sue spiegazioni, a tal proposito) la gioventù scappa e restiamo a dibatterci, contorcendoci nelle maglie infette delle nostre collere, del nostro scontento. Come se non ne fossimo noi stessi gli artefici, i principali indiziati.
Andiamo, sbandando e sbandierando una fede vecchia  nel passo deciso dell'Uomo forte e ci approssimiamo al baratro. Niente ci fermerà, dovremo precipitare, il dramma si compirà come si conviene, come si è voluto.
Non ho consolazioni, non ho amuleti, non ho sortilegi da invocare. Non mi è di alcun conforto sapere che non siamo soli, che tutto il mondo o quasi sta mutando pelle (è la Storia dell'umanità che lo esige? E non siamo forse noi che la costruiamo, la Storia?).
M'è rimasto solo un lumicino, un moccolo di cera, che fiocamente si riverbera sui prossimi mesi. Io farò la mia parte, lo terrò acceso, mi adopererò che non si spenga. E facciamolo, facciamolo allora, non lasciamo che si estingua questo barlume. Di ragione, di umanità consapevole dei propri errori, ma non marginalizzata al ruolo di spettatrice. Noi siamo gli attori di questo canovaccio, non abbiamo bisogno del Grande Regista.


Pieter Claesz "Natura morta con candela accesa" 1627

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