Il tavolo della colazione
Mi rendo conto che non sei seduta
di fronte, non hai addosso la vestaglia rosa
e i piedi arricciati dal freddo
a grattare il pavimento di rovere.
Ogni mattina, anche all’alba
mi rendo conto che non sei con me
non ci sono due tazze celesti di tè fumante.
E la mia marmellata di pere o di fragole.
La faccio sempre e la mangio per te
Come fossi la tua bocca imbronciata di sonno.
Eri tu a chiamarmi col fischio del boiler
e ti irritavi se ero al telefono a rispondere:
Era un’intrusione in quello spazio
che conteneva i nostri fiati e quello del tè.
Era il nostro oracolo, il nostro tempio,
o forse la nostra soffitta di bohemiennes
aggrappate a questi anni, agli ultimi suoni
emessi dalle ambulanze giù in strada
alle ultime parole che ci saremmo dette,
sedute a quell’immaginario tavolo di bistrot
che tale era, di ghisa e marmo e adesso
affonda le zampe all’ombra del ficus.
Ma il ficus non ha niente a che fare con te,
con noi due sedute a bere il tè verde.
Questi luoghi non li percorri, non li agiti,
non li tagli con gli occhi, non li ami.
La cucina non è più azzurra,
di quell’azzurro di Provenza
che è stato sconfitto.
Faccio colazione seduta sullo sgabello,
solo un
uccello sul trespolo
in precario equilibrio.
Claude Monet "Colazione in giardino" 1873