mercoledì 20 febbraio 2019

Chi sei tu?

Ho sempre avuto una discreta fiducia nell'essere umano, in me, nei miei simili, nella nostra capacità di discernimento, pur se i dubbi e i tormentosi assilli non mi abbandonavano. Oggi mi ritrovo a sperare in una giustizia altra e più alta, che tremo a chiamare divina, perché mi spaventa questo mio slancio folle, questo mio ricorrere all'imperscrutabile, all'ignoto. Mi chiedo se non è l'ultimo anello di una catena che stritola la ragione.

 Chi sei tu?
L’occhio freddo che mi guarda
dai miei occhi nello specchio?
Mi rimandi bagliori
di eterno dolore
Di dubbio e di dolore
Scuoti e squassi 
e non ti chiedi se sia giusto
scuotere e squassare
l’infelice il povero
Il malato l’escluso
il perseguitato
Chi sei tu?
Dove sei nascosto?
Dimmi se posso venire
a prenderti
Dimmi se posso stanarti
dal nascondiglio
Per mano ti porto
attraverso i miei occhi
ti farò vedere
Attraverso il mio cuore
ti farò tremare
Non avrai bisogno di tribune
per parlare
Non avrai bisogno del libro
per giudicare
Tu dovresti sapere
tutto, dicono di te
Così mi hanno
insegnato
quand’ero muta
innocente.
Ti chiederò
Giustizia adesso
per  l’infelice il povero
il malato l’escluso
 il perseguitato
E tu dovrai darmi
la tua Giustizia
Perché io ti riconosca 
ancora come un Figlio.




Amedeo Modigliani  "Maternità" 1919









venerdì 15 febbraio 2019

E aveva ragione, eccome.

Il fatto è che aveva ragione Leonardo Sciascia. Non giriamoci attorno, non arrovelliamo le stracche meningi, non fusarizziamo peggio che mai! ché tanto è tutto inutile, il nostro Sciascia lo aveva detto chiaro, semplice e tondo tondo:  "uomini, mezz'uomini, ominicchi, piglianculo e quaquaraquà" le cinque categorie in cui l'irripetibile, geniale scrittore siciliano aveva racchiuso l'umanità.
Sugli uomini e i piglianculo non mi soffermerò, siamo noi, in fondo, la "gente normale" quella che fatica e s'arrabatta per avere una vita decente; quella  coscienziosa ma anche inerte. E  un pochetto fessa. Mi interessa puntare il dito - o l'artiglio - contro le restanti tre categorie: mezz'uomini, ominicchi, quaquaraquà. Che, a mio avviso, hanno ruoli interscambiabili, sono attori e individui preparati per tutte le recite e buoni in tutte le stagioni. 
Una bella parata, un corteo sconquassato e stridente, che marcia con clangore di schinieri e di scudi in un remake di brancaleonesca memoria.   Uno scomposto esercito che si è arrogato il diritto di invadere le nostre città, di entrare nelle nostre case, di perforrmare a un fondale melmoso le nostre vite. E non solo nel governare berciano tronfi, ma anche nella società civile, in quella dove ci muoviamo con pavida cautela.
Sono gli invasori, sono i detrattori della civile convivenza, i cultori della connivenza e dell'omertoso traffico che esclude gli altri. Gli altri. Chi sono se non i nostri figli? Chi se non le generazioni che, entro qualche anno, si avvicineranno e si avvicenderanno per conquistarsi un pezzetto di dignità, uno spicchio di futuro?
Che volete, sono out, fuori, ho già speso i miei anni e oggi non mi resta granché. Se non questa opprimente coscienza che ancora mi urla dentro, che scalcia come un neonato confuso dalla prima luce. Solo che io vedo il buio. Penso sempre a loro, ai figli, ai nostri nipoti,  ai più giovani.  Ne scorgo i volti e gli occhi incerti, i movimenti vaghi, come di ciechi che non hanno punti di riferimento.
Stretti e schiacciati da ominicchi e donnette volgari, per lo più incolti, e anche se "c'hanno gli studi" non ne hanno fatto buon uso, la loro è un'ignoranza strutturale e ben strutturata nel sistema.
Veloci come ratti (alcuni vi somigliano pure nelle fattezze dei musi) siedono ovunque, nelle aule nobili del Paese, nel parlamento, nei tribunali, nelle università, negli ospedali;  nei luoghi dove s'annida e s'annusa il potere. Il potere da esercitare sugli altri, che siamo noi, poveracci pronti all'applauso.
I peggiori, i più viscidi sono però quelli che, su commissione di altri omuncoli, se ne stanno negli uffici, nelle sedi aziendali a tessere strategie, a manipolare menti, a tirare fili. Ragni intenti a ordire mostruose ragnatele per fotterti l'esistenza, per impedirti il cammino, per ostacolarti il gesto. Per chiuderti la bocca.
Se non è mafia questa, ditemi cos'è allora.
E sì, lo so, lo so. Non è che tutti, ma proprio tutti sono così! Certamente, l'erba buona cresce, stentatamente, ma cresce ancora tra quella infestante e infettante. Certamente. Ma, oggi, mi pare così poca, talmente esigua da non poter essere colta a occhio nudo.
Bisogna cercarla, stanarla, bisogna essere cani da tartufo, manguste ritte contro il cobra, rabdomanti in cerca di pozzi limpidi.
Confido, pur se acciaccata nello spirito, nelle nostre giovani e oneste menti, nelle loro capacità di intuito e di comprensione e di conoscenza del danno che corrode la nostra società. Ho speranza, nonostante tutto, che gli ominicchi verranno spazzati via e che tornino gli uomini. Il genere umano, difforme dalle bestie.

domenica 3 febbraio 2019

Il mio baratto

In un pomeriggio, quasi sera, di un febbraio qualunque. Perché è così, il tempo, le date esatte, il momento, non hanno valore: è sempre.



Il mio baratto. 


Potrei fare una lista
di flash nel cervello
Che s’accendono
senza interruttore
In bianco e nero e a colori
se sono vecchi o nuovi
Nuovi si fa per dire
Salgono per scale buie
-il buio delle arterie-
esplodono nelle retine macchiate
che le trattengono però
Sono abituate ai sogni.
Immagini di stanze in fila
Tante quante ne ho vissute
tante quante ne ho volute
Come le braccia tese
dei bambini accovacciati
nei giochi sulla moquette
Ridevate sempre
Se voltavo le spalle
Scrosciavate in lacrime
quanti ruscelli abbiano attraversato!
se vi guardavo negli occhi
E la cena era pronta in tavola
e i piccoli compiti assegnati
aspettavano aperti
Come le vostre bocche
ad O di Giotto perfette
La notte reclamava tutti
Le lenzuola allegre le coperte
i vetri appannati dai fiati contro il freddo
la lampada schermata che
mandava azzurro
alle pecore fosforescenti
appese alla parete sopra di voi
Calava un silenzio zitto, così zitto
che vi avrei svegliato per cacciarlo fuori
Lo stesso silenzio che c’è ora
In queste spopolate nuove stanze
una fila interminabile
un elenco
di mobili e oggetti incorporei.
Se non fosse per le tracce i segni
le tacche le ferite  le scortecciature
che le vostre intemperanze
di bambini
vi hanno apposto
-storia incisa nella storia-
li guarderei come a un nemico
Invece li elenco, li osservo,
li liscio, li curo, li lustro
E li baratto con il mio silenzio.


Berthe Morisot "Bambini che giocano" 1886



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