Poi arrivano le domeniche di fine inverno, ancora grigiastre, di cielo opprimente, agitate da un precoce vento marzolino che scardina le imposte e i fondali marini. Domeniche annoiate, con l'aria che non è più fredda, ma non ancora tiepida; domeniche indecise, come il finire di una stagione. E sarà anche per questo clima che scuote gli alberi, incerto e dispettoso, che i pensieri si fanno nostalgici; sarà per questo o chissà per quale altro misterioso quid, che il cuore trabocca di una tenerezza dolce e feroce nel ricordo di altre domeniche. Stamane è stata una domenica così, di quelle di cuore commosso e riflessivo. Come se ci fossimo dati un appuntamento, io e altri amici del social, a raccontare episodi lontani, di giornate festive in vacanza, di affetti scomparsi, di episodi di ordinaria vita domenicale con il pranzo a cuocere in forno. Io stessa, con gli occhi fissi allo schermo del pc a rivedere mia madre, avvolta nella vestaglia di velluto rosa, che si accinge a friggere i cannoli, i capelli biondi e ondulati, stretti da un foulard, e le ciabatte ai piedi, ma tanto a me pareva sempre una regina e magari s'improvvisava tale, tra una frittura e l'altra, accennando alcuni passi di valzer. Unduetre, undutre.
A pranzo, attorno al tavolo sbirciavo i volti dei miei ragazzi, scherzavano come spesso fanno, mi chiedevano cosa avessi, "perché hai un'aria strana, mamma! Sembri stanca, che c'è?" Ma non c'era nulla da rispondergli, avrei dovuto estorcergli una promessa, forse. Avrei dovuto domandargli se, tra molti anni (quanti?) avrebbero avuto memoria di questa domenica, di una domenica. Così, senza una ragione, senza un input. Magari per il vento e il cielo infinitamente basso; magari per la noia domenicale. Magari ricorderanno.