giovedì 27 giugno 2019

La mia città degli incontri. Barcellona Altrove

Sono trascorsi i giorni, frettolosi, maledettamente frettolosi. L'ho lasciata col cuore in pezzi, l'altra città. l' altrove dove vive il mio Altrove. La città che non mi è più straniera e non lo è mai stata, no, neanche la prima volta quasi quindici anni fa e non sapevo che ci sarei tornata ancora e ancora. Di lei è superfluo parlare, dei suoi monumenti, di Gaudì e delle sue fantasie folli e terribilmente belle che un poco straziano ed eccitano i nervi. Né della Rambla troppo affollata o del Barrio Gotico o dei Musei. Sono le tappe convenzionali, come La Barceloneta, così vitale e giovane da accecare i sensi, da farti venir voglia di tornare indietro per assaggiarla da ventenne.
Per me Barcellona è sì questo, ma è altro. Per me è incontro.
L'incontro con i platani sontuosi dei viali e delle piccole piazze con i palazzi che le cingono, con quell'architettura improvvisamente raffinata, nordica da sembrare Parigi, i carrer che tagliano il Poblenou ,anche qui la Rambla aperta alle raffiche che s'insinuano dal mare. Quello, il mare, è sdraiato a pochi passi, ci si arriva passeggiando per vie più strette, una libreria e un negozio di giochi, il Mercato coperto e la bottega dei fiori. E sempre i bar, piccoli e tumultuosi costellano le strade: impensabile non sedersi a sorseggiare il mio cortado descafeinado.
Ci si incontra a Barcellona. A Barcellona si parla, con tutti.
Il primo incontro, subito quasi al mio arrivo ed è lei, minuta e allegra, la signora con la bici e i fiori nel cestino. Ci ferma e in un italiano perfetto ci chiede:"Italiani?" Noi certamente, sì e invece lei che lo parla con disinvoltura, no. Lei è catalana, di Barcellona. Ma ha studiato l'italiano e conosce il nostro Paese. Dice: "L'italiano è la lingua più bella che ci sia," e, pur non volendo, un poco mi commuovo. Mi commuovo e mi arrabbio, l'Italia mi fa quest'effetto, da qualche tempo. Restiamo a chiacchierare, facciamo una foto, ci scambiamo i contatti, sempre lì, vicino c'è la spiaggia di sabbia chiara e s'abbraccia al mare ed il rumore è musica. Il mare, i gabbiani dalle ali enormi ci corrono sulla testa, sembrano vascelli nell'azzurro, tutto è azzurro in quel mattino. La mia nuova amica riprende la bici con il cesto di fiori e si allontana. Si chiama Mar. Sì, Mare.
I giorni camminano, perché hanno voglia di andare veloci? Perché non rallentano il passo? Io ansimo, non sono più giovane. E non li raggiungo mai, non posso.
Una domenica, siamo pigri, abbiamo un languore addosso che prelude alla melanconia del distacco. Così restiamo in zona, vicino alla Casa Che Sfiora Il Cielo, "c'è un posticino dove si sta bene! Cucina autentica catalana, un posto nascosto, frequentato da persone del luogo. Niente turisti, solo nonni"  dicono ridendo.
Il ristorante dei Nonni ( non è così che si chiama, ma è un segreto) è un locale piccolo, stretto e lungo. I proprietari sono marito e moglie e forse c'è qualche altro parente nella cucina. Il cibo è una favola, ci entusiasmiamo, ci perdiamo nell'ordinare baccalà in insalata e poi zuppa di fave e ancora maialetto stufato e filetto con una salsa di funghi che ha la consistenza di una crema. Il dolce, a me che mi porto il vanto d'essere siciliana, mi fa impazzire: arroz con leche, in fondo lo conosco bene, è la base delle nostre zeppole di S. Giuseppe. A tavola si gusta tutto, il cibo e le parole, il vino e le parole. E d'un tratto mi spunta accanto un vecchio signore, oddio quant'è bello, elegante. Viene fuori da un libro di Vàzquez Montalbàn o di Vila-Matas, con quella canizie limpida e gli occhi celesti. il corpo magro e sottile. Inizia a parlare, io capisco poco, ma ci sono i traduttori amorevoli e loro lo conoscono, lo incontrano sempre nel locale, è un signore solo, un vecchio signore d'altri tempi, solo e vuole parlare. Vuole solo che qualcuno gli parli. Quando si allontana dopo averci salutati con un inchino, ho i brividi e le lacrime non le trattengo più.

Barcellona è la mia città degli incontri e del mio Altrove.

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