venerdì 29 agosto 2014

La città di Hopper è la nostra.

Una brevissima riflessione su Edward Hopper, che amo molto, e sulla città di oggi. In particolare sulla mia.


La città che si intuisce nel realismo visionario di Edward Hopper,con le pompe di benzina deserte, gli interni di onirici bar, le forme geometriche dei palazzi, rappresenta perfettamente, ancora oggi, il concetto di agglomerato urbano moderna. La città che tiene  nel ventre, un’umanità  anonima di donne svelate nella loro nudità, in camere affacciate sulla notte; di donne sedute in un treno che non si muove; di coppie assenti l’uno all’altra.
I dipinti di Hopper sono notturni e silenziosi, raramente si accendono di luce; e se c’è, è sempre una luce sfumata di grigio, raccoglie la polvere e lo smog della grande città. In lui vi è la consapevolezza di essere l’occhio che scruta con apparente freddezza la realtà, per coglierne un attimo, per darle un senso di esistenza e di continuità temporale. Le sue figure, come gli oggetti ritratti, sono fissi eppure irradiano una straordinaria tensione dinamica. Della donna che guarda oltre l’angusto panorama della sua finestra, immobile sul letto, possiamo percepirne i pensieri o immaginarli; e la coppia di avventori nel bar continua a raccontare la sua storia, per sempre.
L’impressione che si trae nel porsi di fronte a una tela di Hopper è esattamente quella della partecipazione emotiva. Potrebbe sembrare eccessivo asserirlo, ma i suoi quadri fanno “ascoltare”  dialoghi e captare pensieri di silenziose e immobili figure; fanno sentire lo sferragliare sulle rotaie dei tram e il fischio di treni in partenza. Creano dalla visione, altre visioni: in altre parole costruiscono il ponte da attraversare perché chi ha la fortuna di friuirne, possa raggiungerla e contenerla. L’Arte.
L’ultima mostra di Hopper si è conclusa da poco  a Roma. Bene, cioè male per noi periferici cittadini della penisola, costretti a sobbarcarci delle spese di un viaggio se soffriamo dell’ esigenza di vedere, conoscere, comprendere. Che dovrebbe essere esigenza per tutti, per le scuole, per i giovani e per i vecchi. E come nei dipinti di Hopper noi viviamo nel grigiore di una città senza luce, come una donna da lui ritratta, spogliata e ripiegata su se stessa. 


Edward Hopper  Automat  1927  

lunedì 25 agosto 2014

Potrebbe essere.

E ora ci schiantiamo di botto. Finite le ferie, in larga parte per tutti, ricominciamo a destreggiarci nella realtà quotidiana. Sì perché abbiamo fatto di tutto per allontanarla, con tuffi in mare e scorpacciate di gelati e angurie, con drink e bevande fredde; e alcuni, impavidi e, perdonatemi, un poco tonti, con docce ghiacciate (tranquilli, non ne parlo,  sono certa che la solidarietà ha altre vie); altri in sereno relax nelle campagne magari con un buon libro tra le mani e gli uccellini cinguettanti. E la massa a rosolare nelle città, aspettando con più o minor pazienza la nuvoletta d’acqua. Le ferie sono obbligatorie si sa, ma tutti abbiamo, obtorto collo, sentito e visto cose che non avremmo voluto né ascoltare, né vedere. Per non rovinarci le vacanze, per non guastarci il bagno o la doccia che sia.
Ora si riprende, le scuole riapriranno i battenti, il lavoro (?!?!) assorbirà energie e pensieri,  insomma la vita ripercorrerà le solite strade. E noi saremo costretti a riaprire gli occhi e a tendere le orecchie. Saranno catapulte allora, saranno pallottole e non ci procureranno gioia. Ci accorgeremo che ci sono conflitti orribili accanto a noi; che la gente muore per la mano violenta di assassini indottrinati o di rancori dalle radici rancide e corrose; ci accorgeremo che la politica internazionale è poca cosa e quella nazionale meno ancora; ci imbatteremo ancora e ancora nello spread e nelle agenzie di rating, con i loro epitaffi sulle economie più deboli (e noi non è che siamo messi bene!); e torneremo a litigare, facendo larghissima eco ai nostri impareggiabili politici, per questo o quello, partito, movimento, lista, listino, menù e tutto il resto. Come prima delle sospirate vacanze, troveremo ospitalità in un ambiente molto familiare, nel senso di conosciuto e non di gradevole, ovviamente.
Epperò, potrebbe, dico potrebbe, anche essere un incubo! Forse si tratta solo di un incubo prodotto dall’ultima indigestione prima della fine delle ferie, un incubo tremendo. E quando ci saremo svegliati, ah sì! apriremo gli occhi su un mondo meraviglioso: niente guerre né violenze né orrori né odio né corruzione né ragazzi senza lavoro né spread né agenzie di rating e soprattutto niente politici nei talk a sbraitare, inconcludenti e bugiardi.

Potrebbe essere. 


Foto di Arthur Tress

giovedì 21 agosto 2014

Con larghe mani

Basta un'immagine sfiorata; basta la sensazione dell'acqua in un pomeriggio assolato, mentre il falchetto compie il suo giro immobile; bastano poche frasi per capire. E il cuore si allarga e si richiude e non fa sconti. Resti prigioniera nel viaggio che non è un viaggio, è un ritorno.


Con larghe mani

Un viaggio che non è un viaggio.
Uno scambio di sogni che potrebbero diventare vivi.
In un pomeriggio di caldo e di erba,
avvolta in un drappo esotico, col cane che mi lecca le gambe. 
Sul pavimento di cotto screpolato
i bambini si rincorrono frusciando tra gli alberi
e due uomini se ne stanno a fumare
i loro sogni che non conosciamo noi donne.
Era ieri e correvo verso l'oggi.
Una ragazza ha due foglie d’oro negli occhi
mi preme sul cuore, glielo apro
e mi si conficca dentro, rannicchiata come un feto.
Ti tengo al fresco, in estate;
e al caldo, d'inverno. 

Ti scopro e ti avvolgo
nella membrana che sfavilla.
Non scappare, fatti inseguire dalla fortuna.
Non è cieca. Solo bendata.
Le slaccio io il fiocco e te lo consegno, 

con mani larghe
e tu strappalo in mille pezzi.

Foto di Alexandra Boulat

lunedì 18 agosto 2014

Io e il caldo.

Il caldo fa male, ne sono convinta, e però chiedo scusa a chi lo ama, a chi aspetta l'estate come la manna per gli ebrei caduta dal cielo. Il caldo è sinonimo di ferie, di riposo, di divertimento, almeno nell'immaginario collettivo dovrebbe essere così. Per me, da sempre, anche da bambina pensate un po', era solo caldo, senso di spossatezza, sudatacce, zanzare e altri insetti, e soprattutto il "dovere" dello svagarsi a tutti i costi. Ma chi lo ha detto? Già allora me lo domandavo e non trovavo risposta esaustiva ai miei dubbi. Certo, il mare, la campagna. E sì, quelli mi piacevano, ma era un godimento talmente effimero che me ne rimaneva addosso una scia di sale e di odore di mosto, all'epoca della vendemmia. Ero una bambina di città e di una città del sud per giunta e la pietra lavica, da noi, si arroventa che ci puoi cuocere la pasta.
Il caldo fa male, per me, e fa male alle relazioni umane. D'estate, con l'afa che ti torce i nervi come fossero panni strizzati, è difficile mostrarsi disponibili ai bisogni degli altri: si diventa insofferenti, le paturnie di chi ci sta accanto sono sempre peggiori di quelle nostre;  ci sentiamo vittime di complotti e di calunnie, quasi che il nostro malessere l'avesse programmato un vicino odioso o i nostri stessi conviventi. Smaniamo alla spasmodica ricerca di aria fresca e ci rinserriamo con i climatizzatori ronzanti come sciami di vespe inferocite. E così spesso finiamo con il litigare rabbiosamente con tutti, tutti vittime, noi e chi ha la iella di starci tra i piedi, del caldo, umido, sfinente abbraccio della nostra estate cittadina.
E con questa mia stanca e accaldata riflessione, auguro a tutti buon proseguimento di vacanze. Senza caldo, però.

Beppino Tosolini - Calda estate

lunedì 11 agosto 2014

In questa notte d'agosto.

In questo agosto italiano di strade meno affollate, ma non solitarie; di solitudini più accese e di incertezze acuminate, in questo agosto italiano brilla la tonda faccia della luna.

Si affaccia di colpo nella notte immanente sul cortile fiorito, lambisce di pallore i volti scuriti dal sole, si riverbera su piatti e bicchieri, arruffa d'argento il pelo del cane Bart. Un silenzio incantato cala tra noi, gli occhi rivolti a lei, la bella misteriosa Luna che dall'alto pare osservarci benevola compagna di ripetuti brindisi. Tutto tace, per un attimo, in questa notte d'agosto. Anche il vento non accarezza l'aria e gli alberi che cingono il cortile e i rapaci notturni non lanciano il loro breve grido di guerra. Le stelle smettono di cadere, svaniscono nell'alone di opale dell'astro. Per un attimo, in questa notte d'agosto, sentiamo l'armonia dell'universo e ne siamo parte. Per un attimo di luce.
In questa notte d'agosto, seduti al lungo tavolo nel giardino fiorito, siamo tutti un po' ubriachi di uno squisito vinello bianco e anche di Luna.
Lei imperscrutabile continua il suo ciclo, maliziosa ci afferra e ci abbandona al nostro angusto ciclo terreno.
In questa notte d'agosto, per un attimo siamo arrivati a lei, senza astronavi e  scarpe per passeggiare nell'etere, senza telecamere  e videocamere. Solo noi, innocentemente incantati  dalla bellezza.

lunedì 4 agosto 2014

Nelle notti estive, la Storia.

Brividi caldi in quest'estate che non si distingue da altre. Mi capita di addormentarmi tardi (presumo di non essere la sola) senza un effettivo motivo, niente di particolarmente eccitante da fare -  di eccitante forse il caffè delle diciotto o un tè freddo che mi dà l'illusoria sensazione di fresca requie -  e allora rincorro pensieri e storie, anche,  di estati trascorse. Alcune lontanissime, sfocate come le foto dei bisnonni, ugualmente macchiate di piccoli punti marroni: sono quelle della mia infanzia e della mia giovinezza, e mi sembra di scorgervi attimi e ore e giorni di magnifica bellezza. Un'opulenza di colori e di odori, un miscuglio di salmastro e sabbia sulla pelle, figure sfuggenti di genitori che mi osservano sorridenti e amorosi. Altre più recenti, forse meno lontane è meglio, ugualmente felici,  tanti bambini scorrazzanti, riccioli impastati di infantile sudore, mani appiccicose di gelato, immancabili urla di guerra per un pallone finito in strada, per uno spintone dispettoso, per una vittoria e per una sconfitta. E sullo sfondo di tutte quelle estati, la Storia. Gli assassini di leader e presidenti, la guerra fredda, i comunisti e i fascisti e la guerra in Vietnam e quella dei sei giorni; e i giovani e  la rivoluzione culturale e gli hippy; e le stragi e le brigate nere e rosse e il delitto Moro e la Mafia e le sue aberrazioni e collusioni. Falcone e Borsellino. La globalizzazione (!). E le guerre, sempre le guerre instancabili sentinelle della Storia; le Torri che crollano e il terrorismo e ancora guerra, filastrocca infinita. Da ultima, la grande crisi economica planetaria, gli Stati che si sfasciano come castelli di carte pericolosamente incerti, noi stessi annaspiamo senza più il nostro
salvagente, il denaro ubriacante, che  abbiamo fatto diventare l'unica armatura da contrapporre agli insulti della vita. Tutto si svolgeva seguendo un fil rouge senza inizio e senza fine, sotto un impietoso sole malato, su una Terra sconvolta dalla nostra barbarie.
E qui da noi l'estate che ritorna, una nuova canzone, un nuovo tormentone e i politici al Parlamento (le stesse facce ingessate nel sorriso di chi vuol farci credere che possiamo farcela, ma cosa?) e il lavoro che manca e i giovani che non parlano più di speranze e di fiori, ma smanettano fiaccamente al pc, in solitudine, alla ricerca di qualcosa che dia un senso alla loro esistenza. Fuori dalle loro vite e da quelle di noi tutti, ci sono gli altri. Uomini e donne e bambini impegnati, loro malgrado, nell'interminabile guerra.
Di notte mi addormento tardi, lascio scorrere le immagini di altre estati e di altre storie che mi parevano meravigliose. E comprendo che era il mio cuore a essere diverso, batteva. Cavolo, se batteva.

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