lunedì 4 agosto 2014

Nelle notti estive, la Storia.

Brividi caldi in quest'estate che non si distingue da altre. Mi capita di addormentarmi tardi (presumo di non essere la sola) senza un effettivo motivo, niente di particolarmente eccitante da fare -  di eccitante forse il caffè delle diciotto o un tè freddo che mi dà l'illusoria sensazione di fresca requie -  e allora rincorro pensieri e storie, anche,  di estati trascorse. Alcune lontanissime, sfocate come le foto dei bisnonni, ugualmente macchiate di piccoli punti marroni: sono quelle della mia infanzia e della mia giovinezza, e mi sembra di scorgervi attimi e ore e giorni di magnifica bellezza. Un'opulenza di colori e di odori, un miscuglio di salmastro e sabbia sulla pelle, figure sfuggenti di genitori che mi osservano sorridenti e amorosi. Altre più recenti, forse meno lontane è meglio, ugualmente felici,  tanti bambini scorrazzanti, riccioli impastati di infantile sudore, mani appiccicose di gelato, immancabili urla di guerra per un pallone finito in strada, per uno spintone dispettoso, per una vittoria e per una sconfitta. E sullo sfondo di tutte quelle estati, la Storia. Gli assassini di leader e presidenti, la guerra fredda, i comunisti e i fascisti e la guerra in Vietnam e quella dei sei giorni; e i giovani e  la rivoluzione culturale e gli hippy; e le stragi e le brigate nere e rosse e il delitto Moro e la Mafia e le sue aberrazioni e collusioni. Falcone e Borsellino. La globalizzazione (!). E le guerre, sempre le guerre instancabili sentinelle della Storia; le Torri che crollano e il terrorismo e ancora guerra, filastrocca infinita. Da ultima, la grande crisi economica planetaria, gli Stati che si sfasciano come castelli di carte pericolosamente incerti, noi stessi annaspiamo senza più il nostro
salvagente, il denaro ubriacante, che  abbiamo fatto diventare l'unica armatura da contrapporre agli insulti della vita. Tutto si svolgeva seguendo un fil rouge senza inizio e senza fine, sotto un impietoso sole malato, su una Terra sconvolta dalla nostra barbarie.
E qui da noi l'estate che ritorna, una nuova canzone, un nuovo tormentone e i politici al Parlamento (le stesse facce ingessate nel sorriso di chi vuol farci credere che possiamo farcela, ma cosa?) e il lavoro che manca e i giovani che non parlano più di speranze e di fiori, ma smanettano fiaccamente al pc, in solitudine, alla ricerca di qualcosa che dia un senso alla loro esistenza. Fuori dalle loro vite e da quelle di noi tutti, ci sono gli altri. Uomini e donne e bambini impegnati, loro malgrado, nell'interminabile guerra.
Di notte mi addormento tardi, lascio scorrere le immagini di altre estati e di altre storie che mi parevano meravigliose. E comprendo che era il mio cuore a essere diverso, batteva. Cavolo, se batteva.

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