venerdì 31 ottobre 2014

Oscillare sempre.

Oscillare è una necessità imposta dalla vita. Forse è stato sempre così, l'essere umano sempre sospeso tra dubbi, grandi e piccole menzogne, speranze e disillusioni. Forse è nel nostro DNA, discendiamo dai primati dice la scienza e come tali serbiamo il ricordo di una vita appesa ai rami delle foreste. E questo altalenante moto perpetuo, se da un lato ci sottrae a una stabilità cercata, dall'altro rende più interessante la visuale: la prospettiva non è mai la stessa. Così un giorno scorgiamo un'ampia fetta di panorama, il passato-presente-futuro scansionati in ordine spazio-temporale, e traballiamo un poco meno; un altro, la prospettiva si restringe e riusciamo a scorgere solo uno spicchio esiguo, magari il passato, una fetta di presente poco intellegibile, e niente del futuro. E allora, perdiamo l'equilibrio. Facile cadere, lasciarsi risucchiare nel maelstrom del passato, dove le nostalgie e i rimpianti e anche i rimorsi la fanno da padroni. Se guardassimo solo alle immagini che ci vengono da quel mondo sepolto negli angoli della nostra mente, diventeremmo vittime delle nostre vecchie ossessioni. Tutto il vissuto tornerebbe a emergere dalla voragine aperta e ci spingerebbe a precipitarvi dentro.
La memoria della vita è una compagna fedele, ci sorregge e consiglia e ignorarla è roba che attiene alla follia o alle patologie degenerative del cervello. Terribile non averla, terribile cancellarla o imporle il silenzio. Ma è bene che s'abbracci al presente, amorosa amica, per offrirci conforto e suggerirci il cammino. E il futuro, il feto nel ventre della vita, è atteso con minor paura, quasi con cauta gioia.
Mi piacerebbe la certezza che i giovani corrano verso il futuro, accompagnati nel viaggio dalla loro breve memoria, festosamente scevri da dubbi, sicuri di non incontrare barriere o, peggio, precipizi. Sono tantissimi, sono un Pianeta vivo e allegro; sono colorati e cantano e ballano e si amano, tutti ugualmente preziosi, tutti ugualmente utili. So che non è così adesso, ma io voglio crederci. Che volete, miei cari amici, oscillo e traballo anche io come un tavolino zoppo, il passato mi ghermisce e il presente mi atterrisce, ma il futuro, no, quello è di altri.

Max Ernst  "La donna che oscilla"  1923


lunedì 27 ottobre 2014

Sogno 1998 - 2014

In questi giorni accadono strane cose. Un uomo che si dichiara con il cuore a sinistra, politicamente s'intende, che pronuncia discorsi che non riesco a capire; una piazza gremita di gente che si dichiara con il cuore a sinistra che gli grida contro; e in una libreria, una ragazza piena di sogni  che parla alla presentazione del suo libro di coraggio e di sconfitta, di ragazzi che se ne vanno e di chi invece resta per continuare a lottare, di opportunità negate e di diritti violati. E queste sue parole non rappresentano l'argomento del suo libro, non sono nella "scaletta", nessuno se le aspettava. Eppure le ha dette ed è stato il momento più emozionante del pomeriggio. Forse lei non lo sa, ma in quel momento, lei proprio lei che si definisce apartitica e apolitica, ha dato una grande lezione di politica. Perché ha usato parole semplici, di quelle che ti arrivano dentro e lì restano.
A lei e a tutte le ragazze come lei che sanno meglio dei troppi Soloni tromboni, cosa sia il diritto di scegliere, il diritto di vivere dove si vuole vivere. a loro tutte dedico questa mie parole.

Sogno 1998
Come le donne di Chagall
volo appesa al cielo
sulla città che dorme
della belva i ferini sonni.
Seguo scie di fiorite
Corone alle stelle
Ammiccanti lucciole
Sulle siepi blu della notte.
Allaccio la mano alla mano
Delle mie donne amate
Hanno volti di luna d’agosto
Hanno occhi di allegre comete
In corsa nel sogno e nel vento
Non sono straniera, non più.
Mi portano via le mie donne
E non c’è precipizio di nero.
Io volo io volo io volo.


Marc Chagall  -   Nudo sopra Vitebsk, 1933     

















giovedì 23 ottobre 2014

Il canto delle sirene.

Si dovrebbero avere delle certezze, si dovrebbe poter dire: "ecco, io ho un lavoro, un tetto che mi copre, una famiglia che mi supporta e che mi ama. E sono un individuo libero, posso esprimere le mie opinioni, posso amare chi voglio. Io so di rappresentare un valore per la Società, come tutti gli altri individui né più né meno. E non posso essere discriminato per razza, per sesso, per religione. Amo e perseguo due doveri imprescindibili: quello di rispettare l'ambiente che mi ha accolto e quello di rispettare il prossimo. Se non amarlo, rispettarlo".
Ma le certezze, al giorno d'oggi, scarseggiano e noi barcolliamo, indecisi a quale canto di sirena prestare il nostro orecchio.  Perché le Sirene si prendono gioco di noi, ci ammaliano e strizzano l'occhio glauco e beffardo, si tuffano tra i marosi e riemergono sempre, sono creature immortali; mutano aspetto e si travestono, assumono fattezze umane; sono carezzevoli inganni della nostra mente.
Noi vaghiamo col pensiero, ipotizziamo scenari fantastici di altre realtà possibili; scorrazziamo nelle praterie della memoria, alla ricerca dei tanti perché e dei tanti "dove abbiamo sbagliato?" che continuamente ci arrovellano; spulciamo il presente, nella speranza di trovare una risposta, una sola che ci orienti verso il cammino giusto. E spesso si crede di averla trovata la risposta, in una persona che ci tende la mano, in una telefonata attesa da tempo, in un sorriso improvviso e sconosciuto. Non è molto per correre spediti, ma è un tenue sostegno a cui poggiarsi per non vacillare. Intanto le sirene continuano a cantare seducenti promesse e noi, imparando la certezza dei passi, le lasciamo cantare.


Marc Chagalla - Sirena con Poeta    1967

sabato 18 ottobre 2014

Ascolto il tuo sussurro.

Un pomeriggio di lavoro, una pausa con un caffè accanto, una canzone. E, di colpo, si è via, fuori dalle pareti che ci chiudono. Si fanno capriole al contrario e ci si ferma davanti a una porta chiusa,  da noi e, chissà, da un elfo bizzarro e dispettoso. 


Un sussurro

Ascolto il tuo sussurro
intinto nel fiume della città
che scorre ancora negli occhi
trasparente di mille piccole
luci accesa, le luci dei sogni
segregati nella stanza invernale.
Scorgo il tuo sussurro
disegnato sui muri della città
con i colori pallidi del cielo
e danno vita alla bocca chiara
e alle guance bagnate nel fiume
che scorre ancora negli occhi.
Ascolto il tuo sussurro
rivolto all'elfo bizzarro
che fa le capriole nel cuore
disordinato trae un filo d'erba 
dai prati bagnati dal fiume
che scorre ancora negli occhi.


Georges Seurat - Disegno del 1884
 







mercoledì 15 ottobre 2014

L'ombelico del mondo, sono io.

Sono stata molto in dubbio se scrivere questa mia riflessione, ma ieri e anche oggi ho ricevuto una delusione, attesa in un certo senso, ma quando poi ti si scaraventa dentro, il gusto che ne trai è sempre amaro.
Vi sarà pure capitato di discutere con qualcuno, di avere una discussione animata, di non trovarvi d'accordo su una questione, su un giudizio, su un fatto accaduto ad altri che, emotivamente, vi ha coinvolti. Penso proprio di sì, succede a tutti, è nella natura stessa dell'essere umano la flessibilità del pensiero e, di conseguenza. del giudizio critico. E, si è sempre pensato che sia "costruttivo" il confrontarsi delle idee, la dialettica accesa da personali convincimenti non dovrebbe nuocere a nessuno. Ma non sempre è così, c'è chi ritiene che la manifestazione di pareri opposti, la divergenza di opinioni si tramutino in offesa, in insulto gratuito. Senza accorgersi che sprofondano nell'egocentrismo, senza accorgersi che stanno a rimirare il proprio ombelico. Che è, appunto, l'atteggiamento peculiare dell'egocentrico. E con gli egocentrici, amici/e miei, è inutile perdere tempo: non vi ascoltano, non vi leggono (qualora aveste optato per la scrittura per comunicare con loro): un muro di gomma contro cui rimbalzare in  eterno. E alla fine, anche la gomma, per quanto elastica, fa male. Un'ultima riflessione: l'egocentrico sta ripiegato su se stesso, vede e sente solo quello che ha scelto di vedere e sentire, si sottrae abilmente alle domande o le interpreta secondo un criterio prestabilito, ossia non risponde "articolatamente", ma scivola, sorvola e si degna di rispondere solo a ciò che, ritiene, sia in grado di sostenere la sua primigenia e inoppugnabile posizione. Posizione sì, perché non deflette minimamente, si arrocca, si lancia contro il "nemico" per poi, spesso, alla fine abbandonare il campo di questa sua esclusivissima battaglia. E non si accorge che nessuno lo insegue, che nessuno avrebbe voglia di vincere o di perdere. Che nessuno gli è ostile, che il nemico, se c'è, se ne sta proprio lì, sotto il suo naso: sì, è proprio quell'ombelico che continua a rimirare.

Delfi: L'ombelico del mondo

lunedì 13 ottobre 2014

L’album dei ricordi: l’amore gay ai tempi dello scandalo.



E se ci capitassero per le mani delle foto, diciamo pure, un poco “bizzarre”, cosa ne faremmo? Foto che ritraggono coppie felicemente appagate, allacciate nelle effusioni amorose, con gli occhi temerariamente fissi all’obiettivo. Temerariamente sì, perché sono immagini di coppie omosessuali, riprese in periodi storici nei quali l’omosessualità non era ammessa dalle convenzioni sociali.
Questo è quanto è accaduto a un collezionista, il regista francese   Sebastien Lifshitz che,andando in giro per mercatini in ogni angolo del mondo, alla ricerca di oggetti stravaganti, ha raccolto in trent’anni una notevole quantità di foto, creando un vero book rivelatore, ai nostri occhi ormai abituati a vedere di tutto e di più, di un mondo ben lontano dagli stereotipi culturali e sociali di epoche che sembrano assai remote; epoche in cui il puritanesimo anglosassone e la cultura cattolica mettevano all’ostracismo ogni aspetto “formale” delle inclinazioni sessuali. “diverse”.
Eppure, l’omosessualità era, ed è, storia dell’essere umano, fin dalle prime manifestazioni dell’Arte letteraria e figurativa; ma se nel tempio delle Muse era misconosciuta e pruriginosamente accettata, nella vita quotidiana diventava oggetto di scandalizzato disgusto. Anch’esso non esente da una buona dose di pruderie e di curiosità. Ma, si sa, uomini e donne, stimolati da Cupido, non resistono alla tentazione di immortalare l’attimo fuggitivo, ed eccoli ritratti in languidi abbracci, furtive occhiate, risate complici.
Le foto che ci scorrono davanti sono i piccoli capolavori di un’Arte “minore” che, senza suscitare lo stupore procurato da un dipinto di  Leonardo o di Caravaggio  
o di un affresco pompeiano, ci regalano, con le sfumature di nero, di grigio e di seppia, le suggestioni dell’amore saffico o, tout court, omosessuale, colto dall’obiettivo con l’intento di non suscitare scandalo in periodi storici in cui, invece,  ci si scandalizzava molto. La tenerezza carnale è ben visibile nelle pose, nei volti sorridenti, nei gesti morbidi dell’amore. Perché sempre di amore si tratta, il sesso a cui si appartiene poco conta.
Allora cosa faremmo noi, di queste foto? Le strapperemmo e le cestineremmo? O, al contrario, le guarderemmo con l’occhio un poco malinconico di chi sfoglia un album dei nonni? Propendo per questa seconda ipotesi.  In fin dei conti, potremmo definire queste foto, le antesignane dei nostri selfie che inondano i social: il divertissement di rendere pubblico, l’io privato. Messo a nudo,in questi scatti, con straordinario coraggio, un pizzico d’ironia e tanta elegante leggerezza; nei contemporanei selfie, con sicurezza, un pizzico di sfrontatezza e una leggerezza meno elegante.  Alla faccia di qualche, residuo, moralista.  
  

martedì 7 ottobre 2014

In pasto a tutti.

E se la smettessimo di mettere in piazza i nostri fatti personali? Se provassimo, anche solo per qualche giorno, a tacere su quelli che sono i nostri vizi privati e le nostre pubbliche virtù e ci limitassimo a condividere, sui social, musica, trailer di film o qualche video che ci ha incuriositi?  O se discettassimo  sull'ultimo libro che abbiamo avuto il piacere (il dis-piacere) di leggere? O anche, se discutessimo di animali, di politica (ammesso che se ne abbia ancora la voglia), di arte? Imponendoci, solo per qualche giorno, di non postare selfie che ci ritraggono, inevitabilmente, al meglio della forma fisica - languidamente sexy le donne; virilmente pensosi, i signori uomini - ; di condividere le foto dell'ultimo, indimenticabile, insuperabile viaggio (se poi si tratta del fatidico "viaggio di nozze", lo sdilinquimento dei commenti è assicurato); di dimostrare la perizia acquisita nelle arti gastronomiche, esibendo filmati a base di farina, uova, burro e zucchero, con zoomata sulle mani impiastricciate e il sottofondo del mixer che trita.
Ma quello che dovremmo evitare, almeno per qualche giorno, assolutamente evitare, è la divulgazione - proprio letteralmente, rendere noto al volgo, quindi a tutti - di ciò che accade nelle nostre vite. Quanto di più intimo, a volte: la delusione di chi credevamo amico, la preoccupazione per la salute di un parente, il tradimento subito dal partner, e altro ancora. Di peggio, di più. Una pletora di sentimenti sovraesposti, sbandierati, urlati a destra e a manca; anzi più si urla, più ci si attorciglia con le parole e gli insulti e le recriminazioni, più ci sentiamo soddisfatti. Ma soddisfatti di che? Di avere dato in pasto il nostro privato a bocche sconosciute? Di avere edotto il " pubblico" delle nostre avventure-disavventure amorose, affettive e via di seguito? No, non credo. Il "pubblico" non partecipa emotivamente, tutt'al più si distrae, tutt'al più si diverte. E noi ci riteniamo soddisfatti, noi narcisisti internauti. Scambiando la nostra mancanza di ritegno, per sincerità; e la riservatezza di altri, per ipocrisia.


Helmut Newton - Berlino, "I grandi nudi"

giovedì 2 ottobre 2014

Nel nulla.

Che difficoltà scrivere del nulla. Sì, perché in questi giorni (sono una santa donna a limitarne lo spazio temporale) la politica e chi ne incarna le idee (?), vagano nella sconfinata e desolata regione del Nulla. I nostri uomini politici e le nostre dame che graziosamente siedono sugli scranni del Parlamento, hanno un bel da fare. Si agitano, passeggiano dentro e fuori, rilasciano brevi e illuminanti interviste al giornalista - malcapitato, malmostoso, maldisposto, o al contrario, bene accolto, riverente e bendisposto - di turno;  siedono impettiti e battaglieri nei talk show (quanti ce ne sono? l'Istat dovrebbe pensare seriamente a un censimento): insomma sono presenti, assolutamente partecipi delle nostre miserrime vite. E discutono, consigliano, esortano, enunciano, enumerano, sempre fervidi e appassionati. Ultimamente dell'articolo 18, assurto a totem, sia per i detrattori che per i fautori. E attorno a questo italico totem, i nostri ballano la loro danza tribale, minacciando, dall'uno e dall'altro fronte, catastrofi e macerie. Accompagnati dall'orchestra di economisti, sindacalisti, giornalisti, maitres à penser schierati pro o contro, tutti esagitati, tutti convinti di essere i "salvatori della Patria". E mentre il Nulla viene fuori dalle loro bocche, creando una cortina di nebbia che impedisce di vedere la realtà che sta all'esterno, l'esercito è in marcia senza una meta, senza un nemico contro cui combattere. I nostri giovani. Senza lavoro, senza dignità, senza identità, senza ruolo. Come comparse (non pagate) sul set di un colossal storico, nel quale nessuno spettatore li riconoscerà, li ricorderà. I nostri giovani, in futuro, non potranno cantare "La storia siamo noi",  perché la storia li ha cancellati.

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