venerdì 16 novembre 2018

Poi non avrò tempo.

Poi non avrò tempo.
Poi non avrò tempo, ci sarà la baraonda che chiude un anno, ci saranno gli amori riemersi dall' Altrove; e quelli sempre accanto, stanziali e fedeli curatori di questa finale silloge.
Ci saranno anche le paure, i tremori e le incertezze che mi sono fratelli e sorelle da qualche tempo.
E ci saranno Attesa e Speranza, a loro alzerò il calice ancora una volta.
Allora mi è più agevole rileggere in me, rapidamente come in una sinossi, i fatti di quest'anno che va declinando, e lo faccio hic et nunc.
Questo è stato l'anno del cambiamento, si dice da parte di molti. E in molti lo hanno voluto e c'è stato. Il cambiamento evocato e voluto da uomini e donne probi, gli onesti Robespierre che hanno voluto ribaltare - la ghigliottina è da un pezzo démodé - la società italiana e non solo. I prodromi erano acuti segnali, squille inascoltate dagli inetti e stolti e tracotanti politici che avevano detenuto un potere tanto fragile quanto cieco. Era il colosso dai piedi d'argilla e abbatterlo è stato un gioco il cui esito era scontato. Le sinistra italiana, le forze moderate - come del resto in larga parte del globo - si sono sbriciolate sotto il calpestio degli arrabbiati, indignati, spaventati, immiseriti borghesi e non. L'onda d'urto è stata feroce e ha lacerato un tessuto sociale falsamente coeso.  E qui è stato commesso l'errore più grossolano da parte dei perdenti: non aver diagnosticato in tempo il male non oscuro, al contrario lampante, che affliggeva la gran parte dell'elettorato attivo. Rabbie e paure, paure e rabbie, antiche come le favole di Esopo, come i miti greci. La collera dei più per l'assenza di certezze in un futuro imminente; l'assenza di lavoro per la stragrande maggioranza dei giovani; la sensazione sgomentante di essere, in ogni caso, fregati dai Poteri. A questa collera, a questa indignazione, si è aggiunta la paura viscerale dell'estraneo, dell'altro che arriva da fuori e pretende anche lui quello che non c'è - la sensazione, reale o no, è questa -  un lavoro, una casa, il riconoscimento di essere cittadino.
Chi ha vinto, ha vinto facilmente, perché ha ascoltato la rabbia e la paura e ne ha tratto quello che gli premeva: il voto.
Sono trascorsi otto mesi da quel 4 marzo e le discussioni, i dibattiti, le liti, le risse sono all'ordine del giorno, così come gli annunci enfatici e ribaldi di chi sta al Governo. Io osservo, ho l'anima a pezzi, non mi riconosco nella gente che mi circonda, non mi riconosco e non riconosco quest' Italia confusa e aspra e quest'Europa dilaniata: oltreoceano qualcuno si frega le mani e aspetta lo smembramento.
La mia coscienza resta immune però: so che il mondo non avrà speranze se continuerà a non vedere i bambini delle guerre, i diseredati delle metropoli, gli ultimi sotto i cartoni, gli esodi che ancora ci spettano. E se non ascolterà l'urlo selvaggio della Natura, anch'essa seviziata e stuprata in una ormai vecchia guerra.
In quest'anno difficilissimo, ad occhi aperti e asciutti - perché il pianto non basta più - ho visto morire quarantatré persone nella tragedia di Genova e l'incuria indifferente di alcuni è la mano assassina; ho visto la morte dei disperati che nessuno vuole e ho visto la loro umiliazione in quella carovana di esseri umani verso gli USA; ho visto milioni di larici e di abeti sradicati, strappati, uccisi dalla furia del clima pazzo e pazzo lo abbiamo reso noi. Ho visto ogni giorno volti segnati dalla fame e dalla miseria;  ho ascoltato, ogni giorno, grida di dolore. E non sono diventati un'abitudine, sono la mia lacerazione con questo tempo infelice.
Un'ultima cosa ricorderò di questo anno. Il mio cambiamento. Non sarò mai più la stessa, una parte di me è morta ed era una parte vivace e forte, quella che credeva nell'esistenza - nonostante parecchi segnali contrastanti - quella che voleva credere nella giustizia. Ma quando questa si dimostra, nelle mani di alcuni, una sciatta attività di  metodi coercitivi, punitivi, senza che si sia usato il discrimine tra bene e male, tra equo e iniquo, allora il mio disprezzo è senza appello. Non è ammesso sbagliare sulla vita degli innocenti, non è ammesso rubargli la dignità. E di questo parlerò in seguito, non ora: a tempo debito. Oh! Se ne parlerò!


Edvar Munch "Le vampire"  1893 - 94

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