giovedì 28 gennaio 2016

Le vite minute e le altre.

Avere esperienza del dolore, della sofferenza dell'anima intendo, può diventare un'occasione in più, un'opportunità che regaliamo alle nostre vite. Spesso confuse, minute, appese al filo corroso delle nostre miserevoli ambizioni, dei nostri pochi e gretti privilegi. Poi, per caso, inciampiamo nel dolore, quello che spacca il cervello, che divora il cuore e ogni aspetto delle nostre esistenze assume una coloritura, una forma diverse. Le vediamo, queste nostre vite, nella loro reale essenza, ne diventiamo consapevoli.

Le vite minute.


Le stanze scolorite, hanno i tetti grigi
come i volti dell'uomo e della donna
che ondeggiano con la sigaretta accesa.
Ondeggiano nella ricerca del posto
accogliente, delle braccia materne perdute,
della risata cantata all'aria aperta, sul mare.
Stupore e attesa hanno i loro occhi di nebbia,
le favole non l'incantano più, il drago è vivo
e attorce la squamosa coda al corpo sbieco.
Le stanze hanno pareti senza porte aperte
e l'uomo e la donna oscillano dolenti muti
nel fumo della loro sigaretta, bruciano insieme.
Hanno pochi oggetti nelle tasche
due caramelle di menta un tovagliolo usato
le briciole di pane per il passero che non c'è.
Le stanza hanno pareti spoglie di quadri
veloci ombre le tingono di nero
mentre cala la notte e l'unica lampada si spegne.
Nel cortile tacciono i passi dell'uomo
e della donna, il vento spazza la cenere
delle sigarette e il passero cerca le briciole.


Foto di Cristina Amato "Scale deserte"

sabato 23 gennaio 2016

Come l'amore è.

Come l'amore ai tempi del family day. O ai tempi del califfato nero. O dei fondamentalismi di ogni tipo. O dei governi che non si sa mai dove vogliano approdare. Come l'amore che è sempre amore, tra un uomo e una donna, tra due donne, tra due uomini, tra bambini, tra amici. Paterno, materno, fraterno, sororale. Assolutamente sbagliato o assolutamente perfetto.
Pare un secolo fa, e in effetti era il secolo scorso, che all'amore  si attribuivano miracoli, era quello con l'A maiuscola, il sentimento per eccellenza. Ed era a questo sentimento che si dedicavano languori cantati e poesia altissima; c'eravamo abituati ai voli pindarici, c'era una letteratura millenaria dove l'amore era stato sezionato, frammentato e, solitamente, era quello che fluiva impetuoso, ardente, sensuale o, nei trascorsi secoli, purissimo, tra due giovani di sesso opposto. C'erano, anche allora, le eccezioni, ricordo il disagio del mio vecchio e bravissimo professore di greco, al liceo, quando gli fu d'obbligo intrattenerci su Saffo, un rossore violaceo gli tingeva le irsute guance e le parole slittavano, mentre noi, ignare sedicenni, aguzzavamo l'udito e strabuzzavamo gli occhi, tra lo sghignazzo dei compagni maschi, già edotti dalla vita. Le letture fecero il resto e l'Amore si rivelò a me (a molte di noi) per intero, completo, tondo come un'arancia, simmetrico e armonico.
E oggi se ne parla e mi stupisce questo parlare, questo biascicare, da parte di molti, della opportunità di certi legami d'amore, come se l'amore potesse essere opportuno, razionale, logico e, magari, scientifico e selettivo. L'amore non ha connotazioni, non ha forme predilette, non ha codici, né codicilli. Vive e respira con noi ed è gioioso, se lo siamo noi; cammina libero, se noi siamo liberi.

Squassa Eros l'animo mio,
come il vento sui monti
che investe le querce.

Saffo, (fine sec. 7° - prima metà sec. 6° a. C.). frammento.



Edvard Munch  "Il bacio con la finestra"  1892

lunedì 18 gennaio 2016

Come il bucaneve.

Il freddo è arrivato. Anche a queste latitudini, solitamente miti, il cielo si è fatto di ghiaccio. La città è percorsa da brividi gelidi, c'è una luce incerta. in dubbio corre tra squarci di celeste e ombre di pallido grigio. Ma la neve resta un'attesa inutile. non raggiunge i tetti e gli alberi spelacchiati, resta sospesa sopra di noi. A nord, il vulcano Etna, si erge candido, ha finalmente indossato l'abito invernale e il vento ci regala un po' del silenzioso gelo delle vette e delle conche infarinate.
Lo splendore del bianco non ingentilisce la severità della pietra nera dei palazzi e del selciato, solo il respiro ne raccoglie l'odore, un sentore di malinconica bellezza, come il vago ricordo di un altro tempo.
Invece il tempo è questo che viviamo, acquattati nella città acquattata come una fiera nella pianura vasta e abbrutita dalle campagne scempiate. In questi giorni di inverno anche i pensieri sono rarefatti come l'aria, fanno fatica ad addensarsi. Sono evanescenti, fantasmi di certezze sfuggono verso il nulla, inghiottiti dai vortici del maestrale. Giungono solo gli echi della vita, così pare, notizie sempre uguali nella loro banale cadenza, tronfie parole di uomini, artefici dei nostri destini. Per qualche ora o giorno, ogni cosa sembra ovattata, fiocchi di neve ricoprono tutto, stiletti di ghiaccio tintinnano a coprire il rumore delle voci barbare e scomposte. Poi tornerà il sole a cacciare il gelo, tutto riprenderà le forme usuali, il manto scivolerà via e scoprirà tutto e anche il Re sarà nudo, ancora e ancora. La neve non basterà a seppellirli i re della terra, non basterà a dissolverli il vento boreale. Che peccato, sarebbe un bel risveglio, sarebbe come vedere il primo bucaneve, piccolo e prezioso, fiorire.

sabato 9 gennaio 2016

Bestie, due volte.

Ci sono le bestie bestie. Il termine bestia proviene dall'omonimo termine latino che stava a indicare tutti gli animali non addomesticati e quindi pericolosi per l'uomo. Da lì si è poi diffuso il costume, linguisticamente, di appellare con il termine bestia, qualunque individuo che agisca con stoltezza, brutalità, violenza.
I fatti di Colonia e di altre città sono riconducibili alle azioni brutali, volgari, schifosamente misogine di centinaia di uomini ( mi duole molto adoperare questa parola per indicare il genere maschile, nella fattispecie i criminali di Colonia, di Amburgo ). In quella drammatica notte molte donne, uscite di casa per vivere pienamente e gioiosamente il loro diritto alla libertà e all'emancipazione, si sono viste negare questo fondamentale diritto, cadendo tra le grinfie di bestie bestie. Due volte bestie.  Perché, incapaci di recepire qualsiasi evoluzione culturale e sociale, si comportano secondo i criteri che muovono gli esseri privi di raziocinio, seguendo gli istinti bestiali (delle bestie); e perché sono soggette, queste bestie, alla logica del branco e del capobranco, quindi bestie che seguono l'istinto, in branco e calpestando le orme del capobranco. La mia ovvia solidarietà va alle donne offese, il mio affetto è ancora più forte nei confronti delle mie compagne di sesso. A loro voglio solo dire di non cedere alla paura, di non provare umiliazione perché non ci si sente umiliati da una bestia che tenta di morderci o ci assale;  voglio dire di portare la loro femminilità come una bandiera, issata e sfolgorante sulle teste di chi vorrebbe calpestarla; di continuare a essere donne coraggiose, tenaci e sicure di se stesse.
Hanno tentato di tutto, nel corso dei secoli, ci hanno violate e arse sul rogo, ci hanno accusato di copulare con il diavolo,  ci hanno oltraggiate e mortificate. Hanno cercato di renderci deboli e spaventate, in tanti e da più parti lo hanno fatto. E abbiamo resistito, abbiamo percorso strade impervie, ma siamo arrivate, ci siamo anche noi. Ci siamo, noi donne, sempre. E non saranno alcune centinaia di bestie bestie a ricacciarci indietro.
In mio soccorso, a riscaldarmi il cuore arriva la Poesia, come spesso mi accade, amica discreta. Un incontro casuale sulla tv, una discussione felice su Dante. E al Sommo Poeta affido il mio pensiero, il mio amore per tutte le donne offese e oltraggiate.



4




8



11



14

Ne li occhi porta la mia donna Amore,
per che si fa gentil ciò ch’ella mira;
ov’ella passa, ogn’om ver lei si gira,
e cui saluta fa tremar lo core,

sì che, bassando il viso, tutto smore,
e d’ogni suo difetto allor sospira:
fugge dinanzi a lei superbia ed ira.
Aiutatemi, donne, farle onore.

Ogne dolcezza, ogne pensero umile
nasce nel core a chi parlar la sente,
ond’è laudato chi prima la vide.

Quel ch’ella par quando un poco sorride,
non si pò dicer né tenere a mente,
sì è novo miracolo e gentile.

Dalla  "Vita Nova" 


Francisco Goya, Streghe in aria, 1797










sabato 2 gennaio 2016

Breve elogio dell'inverno.

Dicono che è arrivata la neve, al nord. L'anno nuovo porta con sé lo splendore soffice del ghiaccio, dopo giorni di sole ammorbato dallo smog, dalle nebbie chimiche.  Come in un romanzo letto parecchi anni or sono, l'inverno ha disertato le feste, ha bussato alle nostre case dopo. Da sempre ho la sensazione che la natura stia ad ascoltarci, sa quando è necessario dare un segnale a noi umani, proprio come dà il segnale alle altre bestie che la popolano. Finito è il tempo dei bagordi, finite le notti che si trascinavano verso quella più lunga; ora, in un lento dipanarsi di ore fredde, riprenderemo a vivere le consuete attività, senza rutilanti luci, senza alberi infiocchettati, senza calici impugnati a sfidare il futuro e a minacciare il passato. Per un po' di tempo, per quello che volgerà alla mite stagione, l'inverno ci farà compagnia. Sarà quella del tepore ritrovato alla sera, sarà quella delle domeniche inerti davanti ai televisori, sarà quella del libro sul comodino, da leggere prima di sprofondare sotto l'ingombro di coperte e plaid. Nei giardini e negli orti, nei vasi del mio terrazzo, le piante fingeranno di dormire, brulicando di linfa per la bella stagione; le gattine si prepareranno a miagolare d'amore nei cortili e qualche cane abbaierà alla luna, ché gli apparirà più grande e misteriosa nelle notti invernali. Nei palazzi del potere, ovunque, si giocherà l'eterno bingo, i politici non sanno che la tombola finisce con le feste. Dopo si dovrebbe essere seri, si dovrebbe smettere di estrarre i numeri che vogliono. L'inverno è una stagione severa, ma può diventare anche una stagione proficua: può essere lungo quanto una pace lunga; può diventare fervido quanto un formicaio, se c'è il lavoro per le formiche; può essere accogliente quanto una casa amica; può essere allegro quanto i bambini allegri; può essere giovane, infine, se ci sono i giovani. Dimenticavo: può essere silenzioso, di quel silenzio bianco della neve, quanto le bocche chiuse, cucite con refe d'acciaio, degli stolti.


Vincent Van Gogh  "Minatori nella neve" 1878 - 1880 ca.

Lettori fissi