giovedì 29 agosto 2013

Le bandiere aspettano. Irridenti.

Le bandiere a strisce multicolori tornano ad aggirarsi sul web, con la scritta Pace che campeggia irridente sui blu e gli arancioni, Qualcuno più previdente l'avrà già tirata fuori da qualche cassetto e se ne sta poggiata molle e sgualcita, per essere messa ai balconi. Non l'abbiamo mai voluta la guerra, siamo un popolo di bonaccioni, ci piacciono le cose pacifiche, amiamo il gustoso sapore del cibo e l'aroma biblico del vino, amiamo la musica e il riposo, amiamo il sole e la guerra lo oscura il sole, la guerra è fumo che annebbia. Siamo pacifisti per inclinazione e cerchiamo di stornare gli occhi dal sangue, in Siria i massacri si susseguono quotidianamente da oltre due anni e ogni tanto è arrivato uno scatto, un filmato, minacce alla pace sempre più a rischio. Ma tutto taceva ugualmente, gli occhi si riempivano di orrore e si svuotavano immediatamente dopo, correndo a cercare le ultime immagini degli eterni cowboys nostrani. E così non solo noi, in un afflato planetario, tutti i popoli mai così uniti stornavano gli occhi. Poi le armi tradizionali, i mitra, le granate incendiarie, i missili, cessarono di esploderci davanti e al loro posto iniziò ad aleggiare nel'aria satura del fumo dei mortai e delle bombe, un ben più micidiale terrore, spietato e incontrollabile perché invisibile. Se non nei corpi accatastati, se non nei volti dei bambini addormentati senza le favole. Allora scattiamo in piedi, ci agitiamo indignatissimi, facciamo la voce grossa, chiediamo ispezioni e conferme. E la bandiera torna a sventolare, timida e spaventata, con scarse speranze di essere vista, perché tutti sappiamo che la guerra si dovrà portare al dittatore feroce (adesso è una belva da abbattere, prima cos'era? uno scoiattolo, un criceto da tenere in equilibrio sulla ruota?). Le bandiere a strisce multicolori aspettano, ancora avvolte al bastone, aspettano la prossima guerra umanitaria, tristi e irridenti.

domenica 25 agosto 2013

Correrei incontro alla vita.

A volte vorrei possedere un intruglio, una pozione magica che mi facesse tornare giovane, non indietro nel tempo, ma giovane con i giovani di oggi. Vorrei essere come loro, forse più alta di quello che sono (l'evoluzione è anche nei centimetri in più), sicuramente con qualche tatuaggio e un piercing discreto (ma dovrei dimenticare la mia naturale ripulsa a sottopormi a manomissioni di qualsiasi tipo), di certo disorientata e traballante su zeppe da 12 centimetri, o forse più stabile con scarpe da ginnastica e jeans sdruciti. Mi chiedo come sarei, mi interrogo, cosa farei dei miei anni migliori - così si diceva - e non mi viene in mente niente. Niente di diverso da quello che sognavo di fare da ragazza, niente di eccezionalmente differente. Avrei più conoscenze nello studio e anche più competenze; parlerei due o tre lingue, frutto delle mie esperienze all'estero; avrei amici per tutto il globo terracqueo, i social network aiutano a superare le barriere della timidezza e delle geografie impossibili; avrei una visione della vita fluttuante, non rigida e ordinatamente diritta, ma tutta pieghe e onde e increspature, un po' come il mare che è inquinato ma ci si tuffa dentro lo stesso. Sarei più cinica, mi chiedo, guarderei agli altri con diffidente disincanto, senza aspettarmi niente, se non fregature? Forse, sì. E camminerei spedita, correrei davanti alla mia vita, non lascerei a lei la staffetta. Ecco, questa è l'unica e reale differenza, mi dico mentre  immagino di tracannare la pozione miracolosa, io vorrei avere il coraggio. Il coraggio di scegliere chi dovrò essere, il coraggio di decidere cosa vorrò e soprattutto cosa non vorrò (credo che sia più importante), il coraggio di non tacere, di non assentire e di non asservirsi, per pigrizia o indecisione, alle altrui aspettative. Dimenticavo, ed è esaltante, vorrei essere giovane ancora perché non dovrei più dire questo l'ho già fatto, questo mi è già accaduto, questo l'ho già sentito dire: avrei occhi, orecchie, labbra intatti e, in tal senso, innocenti. E dopo, correrei, andrei al galoppo, senza redini e cavaliere (vi pare un'allusione?), incontro alla vita, la mia.

Foto di Richard Avedon

mercoledì 21 agosto 2013

Stavolta mi metto a urlare.

Oggi sono molto, molto arrabbiata, sono nera come il cielo che si è schiantato sulla città in un'orgia di lampi, gocce grosse e fitte. tuoni e vento con voce da licantropo tanto per non farci mancare niente. Eppure, all'inizio sono stata felice, la pioggia mi è amica e mi allarga il cuore, la pioggia è vita, penso da sempre. Sì, la vita. E ho iniziato a ripercorrere questi ultimi mesi e poi gli ultimi giorni e le immagini che mi scorrevano innanzi erano desolanti. L'Egitto e i suoi morti in piazza, la Siria con le foto di bambini morti soffocati per l'uso del Sarin, gli sbarchi dei disperati sulle nostre coste e sei di loro, tutti ragazzi, annegati a pochi passi dalla riva, davanti a un lido balneare della mia città; e poi gli immancabili incendi a devastare il già devastato patrimonio boschivo della penisola e i canadair che non si trovano, però in compenso avremo gli F35 per difenderci. Per difenderci da cosa? Dagli alberi? Dai boschi? E sempre le notizie luttuose delle donne ammazzate perché ci sono uomini che credono di essere i padroni delle loro vite; e la crisi e i disoccupati e i ragazzi che vengono in vacanza e poi se ne scappano di nuovo via, perché tanto qui non c'è niente e altrove, forse, avranno qualche opportunità e non dovranno sentirsi mendicanti in patria o scrocconi in famiglia.
Sono arrabbiata. Sì, la vita penso. E mi scorrono davanti agli occhi le immagini di due ragazzi investiti e lasciati per strada, senza che il vigliacco/a di turno (mi manda in bestia la locuzione "pirata della strada" i pirati di Salgari e dei film della mia infanzia erano intrepidi avventurieri) si sia fermato per prestare soccorso; e ancora mi si materializza davanti il pescheto in collina, quasi montagna in realtà, che a ottobre rosseggiava di foglie, e ora non c'è più, sterminato dalle ruspe di un cantiere per far posto a un complesso residenziale "nel verde", ma quale verde, imbecilli schifosi? O la strada per il mare, il mare che languisce e che solo in inverno respira, verso la costa più a nord, la strada che corre tra giardini antichi, giardini segreti, celati da muri a secco, massi di pietra lavica posti nei secoli l'uno sull'altro con le piante selvatiche a ingentilire il nero della pietra, muri a cingere case di campagna, possenti come fortezze, squadrate e belle come le nostre donne di un tempo e oggi in pericolo, sinistri cartelli annunciano, anche qui, la costruzione di "nuovi complessi residenziali" e qualche gru si affaccia tra gli aranci e indica il cielo. Ma quale cielo, ma che cielo è mai questo?
Poi, nel pomeriggio all'ora del caffè, arriva un giovane amico di mia figlia e racconta la sua storia di più che precario, di più che sfruttato.
Sì, la vita è questa, mi dico e ho voglia di urlare. E intanto i nostri politici litigano su Berlusconi e c'è chi fonda l' Esercito di Silvio e c'è chi promette le barricate, i più duri e puri. Vadano tutti all'inferno.
No, la vita non può essere così, non è solo questo. E stavolta mi metto a urlare.

martedì 20 agosto 2013

Nuvole e inquietudine.

Non so perché ma quest'anno provo un'inquietudine anonima nell'attesa che l'estate ceda il posto al più amato, da me, autunno. Dovrei sentirmi in pace aspettando le prime piogge, le ho sempre aspettate con una gioia manifesta che urtava il buonumore vacanziero dei più, scrutando inutili addensamenti di piombo, qualche nuvola scappata dal gregge fitto di quelle del Nord, che si prendeva gioco delle mie speranze di acqua e di frescura. Lo scruto anche oggi questo cielo biancastro d'afa e qualche nuvola c'è sulla montagna e forse arriverà anche sulla città a lavare la pietra nera delle strade, a togliere il fuoco dai corpi e l'arsura dalle piante. L'autunno è ancora lontano, ci saranno ancora mesi di sole e di mare, qui nell'isola l'autunno è tiepido, si colora lentamente e il mare respira di sollievo, sparite le barbare orde. Io però so che mi porterà via qualcosa, mi toglierà un pezzo di vita, frenetica e irrequieta; porterà via con sé il mio personale uragano d'amore e di ansie.
Resterò incollata a questo scorcio d'estate, a questi pochi giorni silenziosi, senza parole, perché devo tacere. La mia libertà è soffocata dalla libertà del mio amore. Questa è la lezione che ho appreso in questi giorni di questa ennesima estate di selvaggia bellezza e la mia inquietudine si stempera, trascolora senza avere risposte.

venerdì 9 agosto 2013

Liquefacendomi, buone vacanze.

Al riparo dal caldo -  Stige è il fantasioso nome che i più che fantasiosi addetti ai lavori hanno appioppato alla nuova ondata di calore -  con il climatizzatore che ronza come se avessi in camera uno sciame di api, rifletto e sono le ultime riflessioni perché poi anche il mio cervello si prenderà un po' di riposo. Oddio non è che non penserò a niente, ma penserò ad altro. Penserò al mare, se avrò voglia di andarmi ad arrostire a fuoco vivo; penserò all'amica da andare a trovare assolutamente nella casa in cima alla montagna (pena la cancellazione, la mia, dall'albo d'oro delle preferenze); penserò a un'allegra tavolata di nipoti e figli venuti giù per le vacanze; penserò anche un po' a me stessa, mi guarderò qualche volta, di sfuggita però, allo specchio e forse mi sentirò decentemente donna. Ecco ho già pensato troppo, il cervello non riposa mai, non ci sono ferie per lui.  Bene, allora mi asterrò solo dai pensieri cattivi, quelli riguardanti la politica per esempio, le infinite diatribe, le querelles senza via d'uscita, le accuse e le ritrattazioni, le bugie dette dai nostri Pinocchio privi del fascino  del caro burattino di legno e privi della collodiana saggezza. Già è tanto, già è concedergli, al mio cervello, una dose massiccia di ossigeno da usare per scopi più nobili, come quello di iniziare a leggere un altro libro o forse riprendere in mano un classico che da adolescente mi aveva annoiata a morte. In ogni caso ammazzerò questi giorni di vacanze, in un modo o nell'altro, li ammazzerò nell'otium letterario e nell'ozio torpido di questa estate rovente che volge al declino. Sempre che non sia questa estate rovente ad ammazzare me, liquefacendomi sotto gli ardenti raggi del dio Helios. Buone vacanze.

sabato 3 agosto 2013

E gli avi scendono dai quadri.

Non mi sento particolarmente sconvolta dalla notizia, è andata come era giusto che andasse. Non ho stappato bottiglie, non ho intonato peana, mi sento appagata, un poco. Anche se so che le mene e i traffici continueranno, il brulicare delle termiti è incessante e la regina sarà ben protetta. Però, per qualche ora (per qualche giorno?) mi illuderò di vivere altrove, in un luogo dove le regole sono regole e i malfattori restano malfattori. Agosto è cominciato così dunque, tra una doccia fredda per snebbiare il cervello dal piombo del solleone e un impegno serale, in una casa in collina, alle pendici del vulcano un tempo verdeggianti di vigneti e dopo, per lo più, terreno fertile per la speculazione edilizia. Delle vigne della mia infanzia rimane qualche terrazzamento abbarbicato alla montagna e mi pare un monolito arcaico, un menhir isolato a testimoniare che la civiltà, quella vera, è passata anche per i fianchi del mio ruggente drago. Ma la casa è sempre lì, con le sue porte schiuse sul giardino selvatico, con la cisterna dal secchio arrugginito, con le sue stanze, una dietro l'altra, ombreggiate e cariche di libri e quadri di trisavoli e nonni e zii che mi fissano incuranti di me, perché non mi conoscono. Nella notte che cala veloce e tiepida siamo in tanti, tre o quattro generazioni, e siamo ammaliati dalla voce narrante e la storia si snoda e prende corpo e i trisavoli e i nonni e prozii e prozie scendono dai quadri e si svelano a noi. Tracanniamo sorsi freddi di zibibbo e marsala, per un po' l'unico suono è il tintinnio dei bicchieri e dei cucchiaini che mescolano le granite di gelso e limone e di mandorla e pistacchio: c'è un'aria buona, un buon profumo che i ventagli spargono in giro e il caldo del giorno appena trascorso si affievolisce fino a dileguarsi nell'oscurità fuori dal cancello. Il presente non ci tocca, non ci sfiora, per alcune ore. C'è solo questo giardino e il passato che lo riempie tutto e non lascia spazio ad altro; la televisione non c'è, la radio tace. Per poche ore sono dimentica di tutto. Sono felice.

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