C'è uno scrittore israeliano che amo molto - insieme al connazionale Amos Oz - Abraham Yehoshua e oggi l'ho ascoltato in un'intervista esprimere il suo pensiero sull'Europa, su quell'idealità di Europa Unita che i padri fondatori avrebbero voluto e che non esiste nella realtà. Da scrittore magnifico e da israeliano eccentrico qual è Yehoshua parlava di un sentire comune, di leggi e diritti; e di società culturalmente e giuridicamente ed economicamente coese : parlava, insomma, di un'Europa Unita, unica, inviolabile, forte. I cui interessi non fossero rivolti alle dispute economiche-commerciali-mercantili che assumono sovente un aspetto grottescamente ridicolo, bensì a una solidale cooperazione tra gli stati membri, volta alla crescita e al benessere dei cittadini europei. E, ancora, si rammaricava della Brexit, ravvisando in essa i prodromi di una sconfitta catastrofica di quell'idealità europeista.
Mentre stavo a sentire mi rendevo conto che, con quella nitida e lapidaria semplicità - che incide nel profondo - il grande Yehoshua mi dava voce, faceva sì che anche io potessi parlare.
Erano quelle le parole che io ho sempre avuto dentro, che mi ruzzolavano nella testa; era quello, lo stesso senso di sbigottito sconforto quando appresi della decisione degli inglesi di uscire dalla UE. E mi sono ricordata di un altro sbigottimento sdegnato, da parte di alcuni, ogni qualvolta mi sono presentata come europea, italiana, siciliana. Sì, proprio in quest'ordine.
Invertendo il sentimento di molti, in questi tempi balordi soprattutto, che si proclamano con la mano sul cuore: siciliani (o padani, o sardi e via per tutte le regioni), e poi italiani, sì. Ed europei? Ma chi? Ma quando? Ma dove?
Io continuo ad amare Yehoshua. Mi rifugio nei suoi libri. Per continuare a vivere.
Emil Nolde "Natura morta con maschere" 1911
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