martedì 30 maggio 2017

Nel bene e nel male.

Ieri sera, senza volerlo veramente perché ero distratta dalla mia proverbiale, in questo scorcio di primavera, fiacchezza fisica e mentale, ho sentito la notizia dei guai giudiziari che hanno sprofondato nell'ombra più oscura  l'ex Presidente della Camera dei deputati, Gianfranco Fini. E a tal proposito ho anche ascoltato la dichiarazione rilasciata da un suo ex sodale di partito, notoriamente gentiluomo, tale Francesco Storace:" Se l'induzione al suicidio non fosse un reato, gli direi di spararsi". Ora, lungi da me volere entrare nel merito della questione, Fini se la vedrà con la giustizia qualora ne fosse provata la colpevolezza; e ancor più lungi da me il volerne assumere una qualsivoglia difesa, se ci fossimo incontrati nei trascorsi anni, avremmo duellato all'ultimo sangue. Ma, come sempre mi accade quando la slealtà e la codardia intralciano il mio cammino, ritengo Storace, se non passibile di pena, passibile di ignominia e di disgusto.
Mi accade poi, proprio in questi giorni, di imbattermi sulle immacolate pagine di Facebook in episodi di equipollente, nauseante inciviltà e stortura morale. Tutto o quasi è ammesso, ormai, sui social. Purtroppo. Si discute di incitamento al bullismo, alla pornografia, alla pedofilia, all'omofobia, al razzismo religioso. sessuale, etnico, ci si indigna. Perché sono sempre gli "altri" a macchiarsi dell'infamia. Poi però può succedere - e succede . che uno stimato e seguito "professore", un signore possibilmente dedito a interessi sublimi quali la letteratura, succede che questo signore si diletti a insultare e a dileggiare altri. E qual è la reazione? La risatina, il like, la condivisione gongolante, soprattutto se il bersaglio è reo di un discreto successo.  E questo perché? Semplice, lapalissiano: è uno di noi, tra noi, è un contatto e, come tale, va onorato.
Scatta il fenomeno, tipico dell'italiano medio e miserabile, del riconoscimento, il riconoscimento di sé e dei propri vizi e delle proprie frustrazioni.  Allora l'insulto, l'offesa personale appartengono a tutti, la condivisione diventa corale responsabilità.
Ci si affanna a sostenere che i politici diano il cattivo esempio, che siano i grandi corruttori d' anime. No, no. Essi sono il riflesso, ben delineato, degli italiani. Nel bene e nel male. Dovremmo imparare a detestarci almeno quanto, a parole, diciamo di detestare i politici.

Emil Nolde  "Natura morta con maschere"  1911

lunedì 22 maggio 2017

Succede.

Succede di tutto in questo vecchio mondo.  Succede che il Presidente della più grande potenza si rechi in pellegrinaggio in Arabia Saudita e, alla stregua di un venditore di elettrodomestici, venda a quel paese armi per centodieci miliardi di dollari, ben sapendo dell'uso che gli emiri ne faranno. E dallo stesso pulpito si improvvisa reverendissimo pastore di anime, predicando pace e fratellanza. Succede anche che intrattenga rapporti capricciosi come quelli intercorrenti tra due fidanzati gelosi con l'amico-nemico dell'altra superpotenza. Oggi si litiga, domani si bombarda, dopodomani si tresca e si amoreggia. Insomma tutto alla luce del sole, con il resto del pianeta che, a seconda dei casi, tira un sospirone di sollievo, plaude al rinnovellarsi dell'affettuosa complicità oppure, con maggiore frequenza, semplicemente tace. Assiste e tace. Al massimo bofonchia, al massimo storce la bocca. E nello Yemen si continua a giocare al massacro; in Siria il dittatore che gode dell'appoggio di uno dei due rivali-amici se la ride e continua a torturare; ma anche a combattere contro l'Isis, che a sua volta viene armata dall'Arabia Saudita e, forse, dal Qatar; e le armi da dove arrivano? Ma da chi gliele vende, lapalissiano. Il gioco delle tre carte, insomma. O forse meglio,  la chiusura del cerchio, perfetto simbolo della logica matematica.
In mezzo a tutto questo c'è l'umanità, cioè noi. C'è il ciclo epico delle migrazioni disperate e dissestanti; c'è l'Europa che sbanda da sinistra a destra e poi pare ritrovare una specie di equilibrio. Che è poi sempre lo stesso, quello che i padroncini (perché i padroni sono altri) si possono permettersi e ci possono offrire per la sopravvivenza. Precaria, incerta, ma è meglio che niente.


Artemisia Gentileschi "Giaele e Sisara"  1620

venerdì 19 maggio 2017

Sogno 2012

Da un sogno del 2012.




Ma sì, è giunto il tempo di chiudere la porta, di sbarrarla con robusti catenacci perché i ricordi non possano più penetrare. Finito è il tempo della nostalgia, delle recriminazioni, dei rimpianti e dei rimorsi, parole che stritolano la mente e il cuore. Via dalle stanze buie, dagli odori grevi del passato, via verso la luce netta che c'è altrove, nell'incanto di occhi sconosciuti, nell'attesa di un sorriso appena nato.
Adele è lì adesso, dove è giusto che sia. Il giorno e la notte si confondono in una girandola di colori e suoni, è la vita nuova che palpita e lei la accoglie con grazia leggera.
Tilde è libera infine. Esce dalla scura tenebra che l'ha cinta e vola con ali di fiori verso l'eterna favola che da sempre ha cercato.
Una cortina di gemme preziose lieve nasconde i loro segreti.

Gustav Klimt "Danae"  1907 - 1908

domenica 14 maggio 2017

Oggi e ogni giorno.

Non scrivo una lode alle mamme, madre lo sono anche io e non ho bisogno di lodi.
Oggi una mia amica ha scritto un post dedicato alle donne che non sono madri e mi è arrivato, questo sì, come un regalo. Perché essere madri, diventarlo non è una benedizione calata dal Cielo, non è un'offerta sacra, è solo una scelta e spesso anche un caso. E molte donne, nel passato e oggi, hanno scelto di non essere madri; e molte altre hanno scelto di esserlo; molte altre ancora lo sono divenute, fortuitamente, senza volerlo davvero e lo hanno accettato.
Non voglio parlare di quelle donne che hanno vissuto e vivono la maternità come un insopportabile fardello, di quelle donne madri che amano i figli di un amore corrotto dal male di vivere, dal disagio che provano guardandosi allo specchio, lo specchio deformante del sentirsi inadeguate, umiliate, come se percepissero il loro corpo violato. Sono donne irrisolte, fluttuanti ancora in un limbo oscuro di sensazioni infantili, di paure ancestrali, di angosce terribili. Per queste donne l'essere madri è il perseverare di un incubo, il proseguire nel buio atroce che si portano dentro,come una colpa.
Le altre, le giovani donne e anche quelle che giovani non lo sono più e che hanno scelto di non esserlo, quelle donne le amo particolarmente. Perché non sempre è stata una scelta di opportunismo o di libertà. Io la voglio chiamare una scelta, piuttosto, di libertà imposta: imposta dalla precarietà del lavoro, dall'impossibilità di progettarsi in un futuro, come donna che lavora e che è madre. Il tessuto sociale è uno straccio liso, sdrucito e non è facile vivere il proprio ruolo, già non è facile l'inserimento nel mondo dell'occupazione, essere poi mamme duplica e triplica e quadruplica gli sforzi e i bisogni. Le giovani donne di oggi,sono ruscelli prosciugati, sono praterie disseccate, sono alberi infruttuosi, E non è che ne siano contente, non tutte. Non quelle che non hanno scelto, ma sono state scelte da una società incrudelita e profittatrice.
Oggi penso alle madri che non sono più madri. Penso alle Madri di Plaza de Mayo, penso a tutte le mamme che non hanno avuto più i figli, scomparsi, uccisi, dimenticati da una giustizia che non è giustizia. E penso alle madri delle tante giovani donne uccise da chi avrebbe dovuto rispettarle e amarle. A queste madri e ai loro figli e alle loro figlie sono vicina, oggi e ogni giorno.


Pablo Picasso " Maternità, madre e figlio" 1903

mercoledì 3 maggio 2017

Le Bellezza degli occhi.

Oggi mi va di parlare di bellezza. Sì, della bellezza, quella con la b minuscola, quella dei tratti che colpiscono lo sguardo di chi osserva, quella di un corpo ben fatto, armoniosamente inserito in questa società che della bellezza, dell'estetica ha fatto il suo totem.
Un bel viso femminile deve corrispondere a canoni precisi, inalienabili, supremi. Tratti regolari, labbra ben disegnate, orecchie piccole, capigliatura fluente e luminosa, possibilmente che lasci scoperto il volto. Un bel corpo femminile deve avere due o tre punti ben torniti, ma senza esagerare. Che tutto rientri nei limiti del buon gusto, per carità. Le fanciulle così dotate hanno certamente più probabilità di accedere ai cuori maschili, ma anche, ahimè, ai posti di lavoro migliori. Perché l'estetica richiede anche la forma e la maniera di saper indossare adeguatamente un tailleurino, una camicetta, un pantalone marca la differenza. La libera scelta nel vestirsi non è concepibile. Bisogna adeguarsi alla richiesta di bon ton.
Io però, oggi, voglio soffermarmi sugli occhi, sullo sguardo di queste giovani e vincenti amazzoni. Gli occhi, lo specchio dell'anima, da sempre questa frase ci perseguita. Ed è una banalità senza tempo. Se così fosse, gli occhi di queste affascinanti pulzelle, sarebbero vuote cornici di abissi senza fondo: splendenti iridi azzurre, brune, verdi, sovrastanti bocche dolcemente schiuse, nasini francesi, incorniciate da soffiici chiome - meglio se ordinatamente lisce, senza i riccioli che tanto instillano disagio con il loro perpetuo ribellarsi a spazzola e pettine! - rosse, bionde, more. Iridi infantilmente spalancate, iridi sfuggenti maliziosamente all'obiettivo, iridi artefatte, esteticamente ad hoc (atte allo scopo di agguantare qualsivoglia preda). E dietro, o al fondo, niente, l'anima non balugina, non traspare. Sono iridi coperte dalle intenzioni, iridi costruite per i profili, anche social, con i quali si vuole incidere, come in un preistorico graffito, la propria presunta personalità, il proprio carattere. Quasi sempre, questo "profilo"  ricercato dai più, quasi sempre osannato e glorificato, sempre sui social, da una messe di like adoranti.
Io preferisco l'altra Bellezza.  Che volete, sarà perché sono donna, sarà anche perché in gioventù sono stata decentemente gradevole e non me ne accorgevo e non puntavo sul mio bel faccino o sulle mie curve. Amo i volti intensi, amo i volti che parlano. Che raccontano la loro storia. Amo gli occhi pieni, straripanti di dubbi e di dolore, ma anche di gioia e di luci, questi occhi hanno mille piccole lucine dentro, se li guardate naufragherete in un oceano marezzato di stelle.
Amo la Bellezza severa e non ammiccante, chiassosa nei colori e dolente negli sguardi e nelle movenze. Amo la Bellezza delle donne fragili, cariche di incertezze e di lacrime, segregate dagli altri; le amo queste donne che ancora non si sono compiute, che non si sentono accolte come vorrebbero e meriterebbero. Le amo come amo la Medea di Euripide e l'Antigone di Sofocle; come amo Bach e Beethoven. O come una poesia di Leopardi, che sempre mi brucia e mi commuove.
E gli uomini? Eh, no. Purtroppo spesso, gli sciocchi seguono, segugi scodinzolanti, l'usta più facile, quella che sa ben nascondere la vacuità della condiscendente preda. Non tutti, non tutti, vivaddio.

Eva Gonzalès  "Ritratto del mattino"  1876

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