Stanotte ti
ho sognata. 24 agosto 2019
Era il liceo, mamma?
Era quel portone che varcavo
senz’ ancora coscienza di me
che camminavo distratta
per i vicoli e i cortili
ammassati nella miseria
della città vecchia
senza scampo né suoni?
Non ricordo campane
né echi di rondini
solo brusii di bambini
e di ragazzi pallidi
dalle scarpe sgraziate.
E richiami di madri
dal ventre gonfio
di figli e di fame.
Era quello il tempo, mamma?
Ti ho scorta dritta davanti a me
non avevi le spallucce incassate
di quell’ultima casa straniera.
Eri dimessa negli abiti color
della pietra, di pietra porosa
ti crollavano addosso
in un collasso di muscoli e tendini.
I capelli appiattiti sul sommo del capo.
D’ucello schiacciato
nel nido
Ti ho riconosciuta varcare l’ingresso
e abbrancare le scale di marmo
tutta una ellisse salivi e io dietro.
Oh, mamma quel bianco
immortale palazzo
per corridoi e sale blindate
percorrevi e cercavi, cosa cercavi?
Rovistando nel tempo passato,
com’è stato difficile seguire
i tuoi esili piedi.
Mi perdevo e ansimavo
tremavo nelle ossa
di uguale colore
di uguale tremore
della pietra che si sgretolava
a ogni tuo passo.
Cammino nella scia della
tua polvere, mamma.
Poi mi hai guardata
con quel tuo sguardo
d’altro celeste.
Ho fretta, mamma, ti ho detto
e ci siamo lasciate
in silenzio.
C’era un turbine d’intorno
una velatura di massi
che rovinavano sulle selci
m’offuscava gli occhi.
Ora correvo giù in un gorgo
di scale - la tua ellisse, mamma -
il palazzo ondeggiava e sbatteva
ora s’era
scurita la pietra
era calata la notte e io, oh se lo sai,
ho paura della notte, mi acceca.
Uscivo alla luce.
Nascevo di nuovo da te, mamma?
Fuori c’è il
respiro del mare,
una strada in leggera discesa
e tu eri lì ferma,
la mia sentinella.
Dove vai, mamma ti ho chiesto
E tu eri muta e aspettavi
Vieni con me, mamma,
andiamo da Erica,
andiamoci insieme ti ho detto.
Tu hai sorriso e mi hai offerto la mano.