martedì 31 gennaio 2017

La stanza è piena di parole.

Le stanze vuote sono così vive di odori e rumori e musiche . Li percepiamo non appena apriamo una porta, quella porta che  non è mai chiusa. Ed è facile, se siamo  attenti, se  tratteniamo il fiato, a occhi chiusi, sentire e vedere le parole che sempre racchiudono

Avevi un ricciolo che sfiorava il cielo.

Abbiamo parlato di me e di te,
di libri anche, dei libri che ami di più
sospesi sul tuo letto come Madonne
a vegliare i tuoi sonni irrequieti.
La tua stanza chiusa, la polvere balla nell’aria,
mi accoglie e mi sotterra di parole
fatico a farmi largo sfrecciano nell’ombra
s’illuminano nel ,raggio della finestra.
Mi inseguono nel corridoio, s’infilano ovunque
Piccole capinere capricciose mi stordiscono
E precipito allora nella tua assenza
Fin quando la porta non scatta nel buio.
Abbiamo parlato di tutto, di te e di me
Dei quartieri vecchi che ti piacciono sempre
Delle tue gambe che corrono in giro ridendo
E avevi un ricciolo che sfiorava il cielo.


Pablo Picasso "Donna che legge"  1935

giovedì 26 gennaio 2017

La pietà stanca.

Siamo prossimi al giorno della Memoria e tutta la stampa, tutta l'informazione ne parlerà, come ogni anno; e non mancheranno quelli che parleranno di retorica, di enfasi, di uso politico di una tragedia universale. Io sono profondamente convinta che l'Olocausto debba entrare a far parte delle nostre vite, sempre; che la memoria di quello che è accaduto nel secolo scorso debba vivere dentro di noi, partecipare delle nostre scelte, condizionarle. Ma non pare essere così, non per tutti, non dappertutto. Solitamente sono contraria alle commemorazioni, ma se anche per un solo giorno ciascuno riesce ad accostarsi a quei ricordi laceranti - in senso reale, di carne e ossa, di vite spezzate, di umanità defraudata del diritto di essere umanità - allora sì, ognuno, e penso soprattutto alle generazioni più giovani, ha l'opportunità di vedere, di capire, tramite un film, un documentario, una lettura, cosa accadde. Non avrà risposte certe, non avrà spiegazioni soddisfacenti, ma saprà di cosa si è capaci, noi esseri umani.
E spero comprenderà anche il significato della parola Pietà. Questo termine antico e sacro che pare essere stato dimenticato, che non è attuale, che viene allontanato spesso come una debolezza, un anacronistico sentimento da escludere, perché il cammino che si è intrapreso è altro. Oggi il mondo mi pare voglia altro, non c'è tempo né spazio per la pietà, gli individualismi hanno ripreso a marciare trionfalmente e le nuove comete hanno le facce risolute di uomini e donne forti, mascelle scolpite, sorrisi e occhi come aspri ghiacciai. Sono i nuovi potenti, sono le nuove voci, campane a martello, che chiamano perché tutto vada secondo un disegno voluto, sventolato sul furore cieco di chi non sa dove andare e sceglie col fiuto dell'animale braccato.
La pietà oggi fatica: diceva Cesare Pavese "Lavorare stanca." Anche avere pietà stanca. Ma ne vale la pena, ne vale la pena.

Michelangelo Buonarroti "Pietà Rondanini"  1552-1553

sabato 21 gennaio 2017

C'è sempre.

Penso al dolore che la neve non può nascondere ai nostri occhi, penso alla sofferenza di chi si accorge di essere solo, senza altro se non la propria vita.
E mi afferro, per non mettermi nell'angolo più scuro e lì piangere, mi afferro all'amore, che c'è sempre.

Il mio dolore, il mio amore

Esacerbante
Come il morso notturno alle viscere
Come il pulsare in gola dell’arteria ansiosa
Così è il mio dolore per te
Così è il mio amore per te.
Nel dormiveglia nervoso
Ti spio a occhi chiusi,
sfioro il tuo naso con dita cieche

Dormi amor mio, che io non parlo.


Gustav Klimt  "Il bacio"  1907

giovedì 19 gennaio 2017

Nel silenzio.

Come una sottile lama di precaria certezza, come un disagio nutrito dalla colpa di essere seduta qui al riparo. Così sento le mie parole e i miei pensieri rivolti ai paesaggi travolti dagli squarci , agli abitanti sconfitti dalla neve e dal sisma.

Nel silenzio

Mi è sconosciuta quella parte dello strano istmo
nel mare teso, stravagante scelta delle viscere terrestri,
non ho fissato gli occhi sulle città di tenero tufo,
sui campanili delle chiese in preghiera al cielo.
Non ho calpestato le valli operose e i dirupi selvaggi,
i declivi di boschi abbarbicati alle montagne pulsanti,
non ho incontrato le greggi e i buoi di quelle antiche
transumanze, non ho parlato con i pastori dei libri.
Però li sento nell'oltraggio che s'abbatte su di loro,
li sento nell'ululato della mente atterrita , vacilla
il cuore a occhi chiusi, vacilla il pensiero fragile filo
pronto a spezzarsi ingoiato dal vento sismico.
Però li vedo, ora li vedo, stagliarsi nel chiarore abbacinante
con le ombre nere che scavano crepacci nella fronte
e gli sguardi duri, chiodi di ferro fiero inflitti alla terra,
e i gesti di solitario lavoro, nel silenzio siamo fratelli.


Giovanni Fattori, Il salto delle pecore, 1886, 


venerdì 13 gennaio 2017

Addomesticarsi.

I rapporti umani si consumano, allacciandosi e disperdendosi, come in un ballo, come in un'antica danza d'altri tempi, con le braccia delle dame e dei cavalieri tese a sfiorarsi e le crinoline ondeggianti e i sorrisi fissi e gentili sulle labbra.
Sono epifanie terrene, a volte inconsistenti proiezioni del nostro scontento, di una solitudine che scava gallerie nell'anima come la cieca talpa.  Come in un ballo, si incontrano mani e volti, ci si immerge nel ritmo e via verso una nuova sinfonia di sguardi, di parole, di gesti.
I rapporti tra umani sono sfaccettati come minerali, più o meno preziosi. Ieri, per fare un esempio, ho ascoltato e guardato Trump e ho capito che io non potrei mai avere un qualsivoglia rapporto umano con il tinteggiato e bolso pistolero. E ho capito anche, però, che in moltissimi hanno creduto e continueranno a credere di poter intrecciare un rapporto con il vecchio e indefesso procacciatore di balle. A ciascuno il suo, ognuno è libero di scodellarsi la minestra come meglio pensa e vuole.
L'esempio mi è utile per chiarire, appunto, che non siamo tutti disponibili agli altri, che le sfaccettature del minerale di cui si è fatti non sempre coincidono con quelle di altri. Ciò non significa che dobbiamo smussare le nostre per cercare una coincidenza di spigoli e facce. Basterebbe semplicemente l'osservazione e l'accettazione - senza condivisione - dell'altro, freddamente e con disincantata osservazione.
Tutto si complica quando i rapporti umani sono accompagnati e sorretti da vincoli di amicizia e di parentela e succede - perché succede sì -  che qualcosa si incrini, che una crepa si apra nella comunione di interessi e di valori fino a quel momento ritenuta incrollabile. In questo caso entrano in gioco i sentimenti e con i sentimenti il freddo della ragione va a farsi benedire. Scattano i meccanismi di autodifesa perché non si vuole la delusione, l'inattesa perdita di criteri sui quali si fondavano quei rapporti. Si annaspa alla ricerca dei motivi, ci si interroga, ci si punisce e ci si assolve, una miscellanea di impulsi stravaganti e antitetici che finiscono con il produrre solo l'amarezza di un rimpianto o di un rimorso. Non c'è una ricetta per salvarsi dalle malinconie di un rapporto amicale che si sfilaccia come un tessuto liso. C'è anche in questo caso l'accettazione, dolorosamente sofferta, delle diversità. E la consapevolezza che negli affetti si deve, se necessario, addomesticarsi, rendersi miti. Senza per questo rinunciare a se stessi.




Pierre-Auguste Renoir "Bal au Moulin de la Galette  -  1876

sabato 7 gennaio 2017

Un'altra esperienza.

L'esperienza della neve, nella mia vita, è legata ai viaggi. Ad altre montagne, maestose e gentili, che mi hanno regalato momenti di assoluta gioia e bellezza. Un poco più a nord, ovviamente. Ma la neve sulla Montagna, di lava nera e di fuoco, è un'esperienza altra. Unica.



La neve.

La Montagna se la tira sui crepacci
Come un copriletto nuziale di pregiata trina
Vi si stende sotto mugolando spesso
e le ginestre fingono di dormire.
Corre la neve sui boschi di betulle
Scortecciate dalla vampa estiva
Vola a celare le orme della volpe rossa
E  ingentilisce il nido del falchetto.
Generosa la Montagna spande la neve,
non è parsimoniosa, la dà alle case
dell’uomo aggrappate ai suoi fianchi
come i cuccioli affamati delle volpi.
Soffia la neve in stelle ghiacciate
S’addossa alla città col mare in fondo
Ora è silenzio, ora è attesa, la città immobile
Annusa l’odore bianco, di madre.


Edvard Munch "Tempo di neve nel viale"  -  1906

giovedì 5 gennaio 2017

Allo specchio, sempre.

Mi è capitato di tutto nel vecchio anno, appena sepolto; e nel tutto ci sono incluse le cose buone e quelle cattive. Diciamo pure che la mia vita ha ricalcato le orme del pessimo andazzo planetario: sono un'abitante di questa Terra molto coerente.
Ho avuto così modo di riflettere ancor più sulle persone, di avvicinarmi con maggiore curiosità e con maggiore disponibilità ad alcuni; ho avuto delle esperienze incomparabili, ho provato, con la carne e con lo spirito, l'affetto e la solidarietà: il bene mi è stato vicino, almeno quanto il male. Ho scoperto nuovi amici e amiche, ho trascorso una serata indimenticabile perché mi ha permesso di tuffarmi nella sofferenza, ma anche nel coraggio di chi la affronta ogni giorno, sorridendo agli altri. E ho avuto modo, in questo percorso che è sempre di crescita, nonostante gli anni addosso che cominciano a pesare,  di esperire ancora una volta, che alcune persone non sono soggette ai cambiamenti, restano immobili, restano attaccati a quell'aspetto interiore, a quella forma che hanno assunto da sempre. La mia non vuole essere una critica malevola, è una constatazione, triste forse. Queste persone appartengono alla categoria dei narcisisti. Uomini e donne che parlano solo a se stessi o per se stessi, che ascoltano esclusivamente la propria voce, che guardano solo se stessi, con amoroso languore. Uomini e donne che non rinunciano alla supremazia dell'essere, sempre e in ogni frangente i migliori, così nel bene come nel male. Non si fermano davanti a niente, non arretrano mai, prendono coraggio dalle loro immagini riflesse nello specchio - spesso si rimirano, basta un vetro, un cristallo per occhieggiarvi dentro - accendono un immaginario riflettore sulla ribalta della loro esistenza. Sono gli attori senza un vero copione, recitano a braccio seguendo le visioni di una realtà distorta, che è solo la loro.
Mi incantano, non lo nego, mi affascina il loro potere di afferrare nell'orbita inconsistente che li circonda molti di noi. Sono seduttivi.  Mi inteneriscono anche, sono propensa a giudicarli fragili e incerti di sé. Ma queste loro fragilità, questo loro incedere con graziosa superficiale incertezza, riesce a causare dolore. C'è nel narcisista una volontà di schiacciare e di opprimere che rasenta la crudeltà. Ed è di questa che dobbiamo, alla fine, temere.

Christoffer Wilhelm Eckersberg .  "Donna allo specchio"  1841

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