venerdì 29 marzo 2013

Il resto, solo nebbia.

Ieri ho ascoltato le parole d'accusa di una madre, pronunciate con un dolore composto, come quietato dagli anni trascorsi dalla morte di un figlio, come un ospite sgradito a cui ci si abitua perché è nella nostra casa. Solo l'incrinatura tremante del fiato tradiva la lacerazione visibile come quelle sul corpo del figlio. Il volto grande, i capelli un'onda scura sul pallore, l'immobilità del corpo, mi hanno riportato alla solenne bellezza di Andromaca. E questa immagine della tragedia greca si stagliava netta, in altorilievo, sull'illusorio fondale  di un coro stonato. Proliferavano le grida e le voci, i discorsi parevano perdersi nell'aria, spirali di fumo del braciere nel tempio, senza intaccare il dolore. Restava lì, presente e vivo, mi pulsava dentro come un secondo cuore. Una madre e il corpo morto del figlio. Il resto era solo nebbia.

martedì 26 marzo 2013

Lancia in resta e Buona Pasqua

Un marasma biblico, un'agitazione pervasiva. Mi pare che tutto stia scivolando nelle acque melmose di un acquitrino, senza via di scampo. Mi pare di assistere a medievali tornei, con cavalieri lancia in resta saettanti l'uno verso l'altro, ma i cavalli sono bolsi e i trofei spolpati. Mi pare di assistere a uno spettacolo teatrale, in un teatro con le poltrone sgangherate e il sipario sbrindellato, sul palco attori scadenti aspettano che il suggeritore dalla buca li tolga dal silenzio.
Eppure ognuno di noi continua la propria vita, saltellando per schivare l'acquitrino che potrebbe ingoiarli, districandosi come meglio sa fare per ogni giorno di questi mesi, anni orribili e volgari e ogni sera, ognuno di noi nel chiuso riparo della propria casa, accende il televisore, fa zapping, sceglie un canale e dimentica tutto, o almeno ci prova. E invece no, sono ancora lì, con le loro facce appese, i loro sorrisi falsi, c'è anche chi ormai ha il ghigno impresso sul muso come se la zecca di Stato glielo avesse coniato; sono sempre lì, nei talk show disprezzati e seguiti, conduttori e ospiti, tutti uguali, tutti rabbiosi, tutti ignoranti di noi e delle nostre vite. Solo uno non si fa vedere, ma noi lo sappiamo che c'è, c'è sempre anche lui, si  fa di carne attraverso il verbo degli altri, è seduto con gli altri, anche se agli occhi è invisibile. Eccolo, il Grande Suggeritore. Cerchiamo allora di sfuggire, cambiamo canale, ma è inutile, altri grugni e musetti ci ringhiano o miagolano e ancora governo, non governo, magistrati rossi o no ma comunque che scazzottano con alte cariche dello Stato e giornalisti che, invidiosi della bella baldoria, si fiondano nella mischia; e politici e politicanti e subalterni che si incendiano come cerini e poi Moody's che ci minaccia di bocciarci e mio Dio, vai a ripeterlo l'anno; e lo spread e la Merkel, no di quelli si parla un po' meno, meno male. E intanto con le vertigini che ci fanno ballare gli occhi, non vediamo il resto del mondo. Una dittatura strisciante qui, in Europa; il solito medioriente e chi ne parla più; i nostri vicini greci e chi lo sa come se la passano; e l'Africa poi e i bambini da salvare dalla fame. E va bene, dai, almeno per quelli, c'è il solito sms, per Pasqua, e che ci possiamo fare di più? Anzi, a proposito buona Pasqua.                      

sabato 23 marzo 2013

E io alzo il mio calice.

E sono qua a chiedermi ancora dove stiamo andando. Anzi no, dove siamo, qual è il tempo che stiamo vivendo e che senso c'è in quello che accade.
Una manifestazione di piazza per aggiustare il piedistallo di una vecchia statua dal sorriso di pietra corrosa; un'altra per distruggere quella statua definitivamente e disperderne il sorriso di pietra; una terza, su al nord, per dire che, basta, non c'è bisogno di treni sfreccianti per sentirsi più ricchi. E intanto questa piccola parte di mondo traballa ubriaca di parole che le piovono addosso e arranca cercando un appiglio a cui sostenersi, per non cadere. Un governo  che è l'ombra di un governo, c'è e poi scompare e poi ancora riappare nelle frasi di facce incerte che non  ci credono più neanche loro, un boccone neanche masticato e subito vomitato; un uomo vestito di bianco che deve essere Cristo tra i cristi. Un uomo onesto che viene spedito tra i monti e chi se ne frega se ha lavorato bene; due marinai a cui si è reciso l'elastico e doing, catapultati in India ad aspettare la loro sorte e anche qui, chi se ne frega di quello che pensano gli altri, un pensiero in meno e un dubbio in più. E nella polvere di pollini sospesa nell'aria di primavera, in questo sabato senza spiegazioni, tutto rotola inesorabilmente sospinto senza sapere da chi, né verso dove, né perché. Anche io rotolo, ma so dove vorrei andare e so da chi sono sospinta e perché. Nell'attesa prendo un calice, guardo l'arcobaleno che controluce lo colora, vi verso un poco di vino e alzo il bicchiere brindando verso il cielo del nord, là dove vive il mio amore.  

venerdì 22 marzo 2013

Tic tic tic sui tasti

I ricordi sono schegge nel cervello, frammenti di quadri, echi di frasi. Sono odori di stanze scomparse negli anni, colori suoni odori come cavalli al galoppo dissolti oltre la curva che porta al traguardo. Un suono sugli altri prende consistenza e tic tic tic fa la vecchia Olivetti, lettera 22, posta sul tavolo nero sotto la lampada con grappoli d'uva pendenti, nel disordine di fogli vergini e di alcuni vergati con la calligrafia appuntita che a volte non riconosco come mia. Fuori è quasi sera d'autunno, una tiepida sera senza troppe sirene né clacson, i lampioni e i neon sono già accesi giù nella strada. Penso ai passanti sconosciuti che camminano sotto  e mi rannicchio contenta e tic tic tic pesto sui tasti una poesia nuova.
I bambini irrompono gridando e la poesia continua, si fa di carne tenera.
Oggi la strada è un'altra, ci sono echi di sirene lontane, odori di altre stanze e la luce accecante di questo schermo. Ma soprattutto non ci sono bambini e non c'è poesia.  

martedì 19 marzo 2013

Se la festa c'è.

Un'altra festa che ci siamo dati ornandola di un nome universalmente conosciuto e amato. Ma io che sono allergica alle feste, sarà per via dell'età che mi rende un po' più cinica, oggi non sentirò ancora più amore per mio padre, né più rimpianto. Il dolore di una perdita c'è sempre e non ha bisogno del timbro di un datario per essere avallato. C'è e basta. Come l'amore per un padre ancora presente non ha bisogno che venga ricordato dal calendario, per esprimersi. C'è e basta. Perciò oggi lascio che siano i bambini a cantare le loro canzoncine, a consegnare doni e oggetti costruiti a scuola a padri che tirano su con il naso, cercando di trattenere la commossa gioia. E sono allegra se me li metto davanti agli occhi della mente, questi bambini, con i loro occhi composti e i gesti, per una volta, paterni. Sono loro a offrire qualcosa, sono i figli a dare quello che possono, quello che hanno imparato a dire e a fare, spronati dalla certezza o dalla speranza, a volte, di un bacio. Non so come la pensiate voi, ma per me è più la loro festa, dei bambini, che dei papà. Se festa c'è.

domenica 17 marzo 2013

Sull'altalena con un libro.

Travolta dagli eventi, scelgo il silenzio della carta. Solo il frusciare delle pagine di un libro, caratteri neri che corrono a compiere la loro storia, incuranti di me, ignoranti dell'oggi. Dolce è lo sprofondare nei pensieri altrui, solo la ricerca di un'emozione che non è mia, solo la curiosità estetica di una bella scrittura. E intanto il dolore reale si acquieta, si nasconde per qualche ora alla mia lente d'ingrandimento, diventa un microbo annidato nel cervello. Poi una canzone spezza le righe nere del libro ed eccola davanti, col viso pallido incorniciato dai riccioli bruni, la mia amata carnefice. Sorride alla vita, alla sua vita di cui non so niente e sorrido anch'io alla sua bocca di bambina. Riemergo e mi aggrappo alle pagine scritte, sul desktop spunta una giovane donna con la mano sul cuore, ascolto le parole che dice e la vita irrompe nuovamente. Che strana cosa starsene sempre in bilico tra il pianto e il riso, dondolo su quest'altalena che mi è stata portata in dono, tenendo stretto il libro perché non cada.

mercoledì 13 marzo 2013

Nel buio lucente

Il filo si riavvolge, si annoda e si attorciglia. Cerco di dipanare il groviglio che si è formato nei miei pensieri, di notte nel buio lucente di stand-by della mia stanza. Un frusciare contro i vetri macchiati da una pioggerella stizzosa mi distoglie dall'operazione quasi chirurgica e smetto di contare le ore e i minuti che mi restano, prima che si spezzi nuovamente. La rabbia cresce dentro insieme all'impotenza nel sapersi niente ed è giustoi così, dicono. Una figlia che vola via, libera dal tuo amore, una rondine tornata alla grondaia assolata prima del tempo; una rondine fuori rotta, ribelle al radar che le sta dentro. Torna e riparte quando il vento è benevolo, nera freccia puntata al sole freddo del Nord. Nel frattempo becca qua e là resti di cuore e carne, ingorda e innocente. Il filo è un nodo stretto, vorrei nel buio lucente, finalmente scioglierlo, ridurlo da me in minuti pezzi, ma i pensieri non hanno mani così abili e rimane impigliato al mio cuore.

giovedì 7 marzo 2013

Le parole sono anche farfalle.

Eterno, etereo, etnico più che etico. Aggettivi che io che amo scrivere, adopero spesso e li ho scelti così, per allitterazione, solo per pigrizia mentale. A noi donne piace parlare dell'assoluto in quanto eterno e viceversa e in genere è l'amore a essere ritenuto tale: è la parola stessa. amore, così tonda e gonfia a creare nell'immaginario femminile, la visione di un corpo curvilineo,, una circonferenza nella quale è pressocché impossibile distinguere il punto d'inizio dalla fine, un giro eterno dunque. Etereo è lo spirito che crediamo di possedere, svolazzante come un angelo, vaporoso come le nuvole: ecco che ci eleviamo (ancora una e iniziale) al cielo e il cielo è etere. Quanto a etnico, beh allora precipitiamo sulla terra, il termine è appuntito come una freccia, ma anche frusciante come un vestiro a fiori vistosi o a disegni tribali. L'aggettivo etico è sottile, nervoso. Mi rimanda alla memoria uomini severi e con il dito indice ammonitore, parrucconi d'altri tempi che scuotono il capo osservando la nostra maliziosa virtù.  Mi piacciono tanto le parole, le adoro, sì le adoro e le vedo saltellarmi intorno, aspettando che io le afferri, per poi sacrificarle, come farfalle trafitte, sulla pagima bianca.

lunedì 4 marzo 2013

La Storia siamo noi: una figlia lontana, il sorriso di un bimbo e una bassotta.

Mi attacco con pervicace volontà alla fiammella della speranza. Per non cadere, per non precipitare nel nulla di questo periodo storico. Perché Storia siamo tutti, cittadini scalpitanti e clown evocati e presunti, ma pare che non ce ne accorgiamo. Io spesso lo dimentico, vivo stupidamente, così, tanto per dire che faccio qualcosa. Leggo le notizie, mi aggiorno come si dice e mi lascio sopraffare dalla collera: poi una telefonata, il libro che mi sorride invitante sullo scrittoio e che ho trascurato di riprendere in mano, stornano il pensiero e annego in altro. Nel quotidiano sopravvivere. Nell'attesa di una figlia lontana. Nella tenerezza di un sorriso di bimbo o anche nella leccata sul viso di Matilda, la bassotta tedesca che mi ha preso il cuore. E per un po' ho una tregua, dimentico di essere nella Storia, dimentico tassi di disoccupazione, imprese che chiudono e licenziano, l'Europa che ci guarda con preoccupazione. Preoccupazione? Sono stufa di esserlo, preoccupata, sono stufa che altri lo siano per me: voglio un'altra Storia, con nuovi capitoli da scrivere senza buffoni di corte e senza re, senza fanfare di guerra e bandiere nazionali. Non so voi, ma comincio a preferire la mia storia, in attesa di una figlia che arriverà; della tenerezza di un sorriso di bimbo; della leccata sulla faccia di Matilda la bassottina tedesca che mi scalda il cuore.

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