sabato 23 marzo 2013

E io alzo il mio calice.

E sono qua a chiedermi ancora dove stiamo andando. Anzi no, dove siamo, qual è il tempo che stiamo vivendo e che senso c'è in quello che accade.
Una manifestazione di piazza per aggiustare il piedistallo di una vecchia statua dal sorriso di pietra corrosa; un'altra per distruggere quella statua definitivamente e disperderne il sorriso di pietra; una terza, su al nord, per dire che, basta, non c'è bisogno di treni sfreccianti per sentirsi più ricchi. E intanto questa piccola parte di mondo traballa ubriaca di parole che le piovono addosso e arranca cercando un appiglio a cui sostenersi, per non cadere. Un governo  che è l'ombra di un governo, c'è e poi scompare e poi ancora riappare nelle frasi di facce incerte che non  ci credono più neanche loro, un boccone neanche masticato e subito vomitato; un uomo vestito di bianco che deve essere Cristo tra i cristi. Un uomo onesto che viene spedito tra i monti e chi se ne frega se ha lavorato bene; due marinai a cui si è reciso l'elastico e doing, catapultati in India ad aspettare la loro sorte e anche qui, chi se ne frega di quello che pensano gli altri, un pensiero in meno e un dubbio in più. E nella polvere di pollini sospesa nell'aria di primavera, in questo sabato senza spiegazioni, tutto rotola inesorabilmente sospinto senza sapere da chi, né verso dove, né perché. Anche io rotolo, ma so dove vorrei andare e so da chi sono sospinta e perché. Nell'attesa prendo un calice, guardo l'arcobaleno che controluce lo colora, vi verso un poco di vino e alzo il bicchiere brindando verso il cielo del nord, là dove vive il mio amore.  

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