mercoledì 31 luglio 2013

Senza traumi e contusioni.

E poi arriva una canzone dal passato e le prospettive assumono tonalità differenti. La voce di Ivano Fossati che recita, accompagnandosi con il pianoforte, "La costruzione di un amore" si insinua, con discrezione dapprima, nella mia atmosfera di umidità rarefatta, come di nebbia calda e liquida e sto parlando dell'aria che circola, uno spiffero dalla finestra, il mio occhio sulla città notturna, e della mia mente offuscata da una ridda di pensieri e parole non dette. Si insinua lentamente, la canzone, e resto ad ascoltarla senza respiro e non mi accorgo più della notte, non sento più il frusciare delle auto che scorrono per la via, del suono triste di una ambulanza. "Spezza le vene delle mani" la costruzione di un amore, mi esplode dentro, mi afferra per i capelli, mi scuote le braccia, tende i miei nervi e sono come senza ossa e cartilagini. Scorre il mio sangue più veloce nelle vene, linfa corrotta, scorrono lacrime dai miei occhi. Il passato riaffiora ed è beffardo, mi sorride e scappa, si nasconde alle mie mani, inafferrabile. Mentre le note calano verso il finale, scendendo verso il buio, penso che vorrei, vorrei capire. Ancora capire, perché non lo so, non so cosa sia la costruzione di un amore. E credo che non lo sappiano in tanti, come me. Credo che nessuno abbia voglia di lasciarsi spezzare le vene delle mani, oggi, e neanche le ossa e i tendini se per questo, né spaccarsi la testa. Credo che la poesia di Ivano Fossati sia meravigliosa da ascoltare, ma difficile da comprendere, vorrei che non fosse così. Temo (e spero proprio di essere smentita) che l'amore ai tempi della fretta, sia un take away, un consumo sbrigativo e se non  è gratificante, si cambia bottega. Con qualche rimorso e qualche rimpianto forse, ma senza traumi e contusioni.

lunedì 29 luglio 2013

Continuo a imparare.

L'esperienza del dolore è intima, forse quella più desolatamente intima che si ha nel corso della vita. Quante volte ognuno di noi ha pronunciato la frase "tu non puoi capire, cosa provo"? E siamo convinti di questo nostro muto soffrire, siamo certi della nostra solitudine interiore, ci si sente spersi in un deserto di emozioni, come privati di ogni forma di sussistenza, in balia del gorgo buio che, nostro malgrado, ci attira e ci risucchia. C'è però, a volte, la luce che tenta di illuminare quel cunicolo vertiginoso e, a volte, riesce a dilatarlo, a renderlo un vortice, sì dolente, ma riverberante di colori e di suoni e di parole. Ieri ho fatto esperienza del dolore che si illumina e riflette luce anche sugli altri, il dolore che si trasforma e da muto ritorna a parlare e racconta di sé e della speranza di tramutarsi, ancora tramite le parole, in serena quiete. Il dolore condiviso, il dolore non taciuto, aleggiava ieri in quella calda campagna stesa al sole, attorno al tavolo dove pranzavamo un pasto leggero e bevevano birra ghiacciata, in bilico tra le risate e le lacrime. I bambini correvano e gridavano ignari, un alito ogni tanto giungeva benevolo a rinfrescare la pelle bollente, i fiori sciupati parevano esalare un ultimo profumo, mentre parlavamo ed era naturale, era così "umano" in questi tempi che di umano hanno ben poco, parlare e provarlo il dolore, sentirlo nelle frasi di quei due ragazzi. Quando sono rientrata, non ero triste. Ero diversa, ancora una volta. Quei due ragazzi, un giovane padre e una giovane, tenera madre, mi avevano insegnato qualcosa.

venerdì 26 luglio 2013

Sognerò di loro.

Notte di luglio, afosa e impietosa per chi, come me, detesta il calore del buio, questo nero mantello che si stende sulla città insonne soffocando il respiro. Osservo le cupole, sagome imperfette in lontananza e so che oltre c'è il mare, ma non mi arriva il suo odore. I lampioni sono false stelle, come le speranze che sento svanire. Due macchie gialle si allargano nell'oscurità come occhi di gatto e sono le mie visioni corrose della realtà, quello che mi resta da immaginare. Allora faccio un capitombolo e torno al prato del mattino trascorso con i miei bambini, a giocare senza fretta e senza troppe parole, schizzandoci con l'acqua e ridendo forte a ogni goccia caduta per caso sulle loro labbra semiaperte, come gole di uccellini nel nido. Dal retro della casa vengono correndo i cani, amorevoli e goffi e l'unico suono è, per alcuni attimi, il loro uggiolare allegro. Non penso a niente, dimentico ogni ansia, permetto al vento di spettinarmi come se avessi anch'io cinque o sei anni. Dimentico ed è quello che voglio. Intanto i bambini mi trascinano per mano, mi afferrano e mi abbracciano, sento i loro baci e sento il vento e il sole e tutto si confonde, baci vento sole diventano un'unica sensazione. Tra poco, stanotte, sognerò di loro.

martedì 23 luglio 2013

In un frammento di memoria.

Le notizie non aspettano che tu sia pronto a riceverle, non quelle brutte. Arrivano e basta. Ti cadono fragorosamente addosso, spezzandoti in una miriade di frammenti di specchio, ogni frammento di te riflette un ricordo, in un gioco di luci abbaglianti e di ombre nere. 
Rivedo la casa grande, ero talmente piccola io forse, la stanza ricolma di libri, pregna degli odori della scrittura e della polvere dei libri allineati negli scaffali; rivedo il salotto con il pianoforte e il divanodi pelle in po' usurato dagli anni, con i quadri che macchiavano le pareti coi loro colori a olio, su su fino al tetto: rivedo il barattolo in cui galleggiavano le amarene, quasi liquefatte dal caldo, nello sciroppo rosso. Il barattolo se ne stava poggiato sul marmo della finestra prospiciente il piccolo giardino e veniva aperto per dissetarci, una bibita di ghiaccio tritato e succo rosa che era il premio alla passeggiata per arrivare fin lì. In sottofondo le chiacchiere della nonna e della zia, autorevoli voci delle donne anziane della famiglia; e l'improvviso spezzarsi di quelle voci, l'irrompere di uno scroscio di risate, quelle dei cugini più grandi, quella di un cugino di mio padre, il più giovane dei cugini, il più vicino a noi. Alto, bello, forte. Più tardi lo avrei visto come un imperatore romano, come Adriano, il mio prediletto. E noi bambini e ragazzi poco più che bambini, continuavamo a giocare, a scorrazzare giù per la strada senza pericoli, se non quelli di un ginocchio sbucciato, in attesa di essere richiamati e speravamo sempre in un film all'arena o in un cono. Io correvo un po' meno e se correvo, mi sbucciavo un ginocchio, ero un'inguaribile pigrona e preferivo i libri e le parole alle corse in giardino. Ora mi restano i ricordi e sono tanti per una bambina, ma non sono pochi anche per una donna quasi vecchia. Quella casa con i suoi abitanti è con me, assieme ai miei fratelli. Niente può togliermela, neanche una notizia che mi spezza in miriadi di frammenti.

sabato 20 luglio 2013

Vorrei la luce.

In questi giorni, ieri e oggi, cadono gli anniversari di due fatti - della strage di V. D'Amelio a Palermo e dell'assassinio di Carlo Giuliani a Genova - che hanno in comune una stessa matrice e uno stesso effetto: l'oscurità, le tenebre che lo Stato ha posto, come un sudario, su di essi. Sulla strage in cui perse la vita il giudice Paolo Borsellino e con lui la sua scorta, crediamo di sapere tutto: immagini impietose, per oltre vent'anni, ci hanno mostrato ogni cosa, lo scempio, la devastazione, le urla, il silenzio dopo lo strazio, le riflessioni, i commenti, le corone di fiori, le commemorazioni, le proteste, i processi. Mai la verità, quella no. Quella tace, imbavagliata, forse dimenticata come un ostaggio nelle mani dei rapitori, che nessuno cerca più perché non si sa dove cercare o non si vuole più cercare,
Della morte di Carlo ho un ricordo sfocato. Vivevo quei giorni del G8, come tutti quelli che non erano a Genova, attraverso i filmati e le parole che arrivavano sui teleschermi. Suscitavano in me quelle immagini, un annichilimento rabbioso, un continuo ondeggiare tra opposte emozioni, la voglia repressa di essere lì con quei giovani assieme ai miei due ragazzi, di partecipare, sfilando nei cortei allacciata alle loro mani, che mi facessero loro da guida; e, all'opposto, la rassicurante certezza di averli  al mio fianco a guardare quelle immagini che sempre più si tramutavano in violenza, nel rifugio della non partecipazione. Poi arrivò, contraddittoria, la notizia del ragazzo morto, di Carlo Giuliani, steso sul selciato di quella piazza di Genova che non conoscevo, immobile nel suo sangue. E fu come vedere mio figlio o mia figlia, fu come essere lì accanto a quel corpo senza più vita né sogni né futuri passi né corse né gioie né parole. Ero lì, muta in quella piazza sconosciuta piena di grida e di morte. E dopo ancora, tutto il resto, ancora odio e ancora sangue, Tutto è sfumato nei miei ricordi, l'ho già detto, va verso il buio silenzioso di uno Stato senza memoria. Io vorrei la luce, io la aspetto ancora.

mercoledì 17 luglio 2013

Un ultimo sogno.

E volo via, mi lancio verso mete sconosciute o amate e omesse dalla mia vita, per una scelta ormai custodita tra vecchie foto e biglietti scaduti. Scorgo con gli occhi della memoria paesaggi imbevuti di acqua, cieli scoloriti con nuvole che si tuffano nel mare come cavalloni in tempesta e cavalloni che dal mare salgono al cielo in un unico ribollire e tuonare e scrosciare. E giro vorticosamente su me stessa, come in una danza di dervisci, con le braccia allargate a contenere tutto il verde che mi circonda. Mi risveglio e sono nella mia estate sudata e sciroccosa, meno che gli altri anni, ma sempre qui sono e il respiro del mare si fa strada a fatica nella notte cittadina. Sono qui, in questo mio Paese che si dibatte nelle incertezze e nella stupidità di molti, sono qui, dopo aver sognato di esserne lontana, altrove troverei le stesse difficoltà è probabile, la crisi (questa nuova peste medievale che si aggira per l'Europa, falce alla mano, come in un dipinto di Bruegel il Vecchio) è dappertutto. Ma non proverei vergogna di me, non mi sentirei connivente di chi insulta e deride altri solo perché hanno la pelle di colore diverso o altro credo o altre usanze; non proverei vergogna per l'accettazione abulica che mostriamo nei confronti di chi corrompe e si lascia corrompere; non proverei vergogna per questa mia amata e sventurata terra in mano a predatori rapaci che continuano a divorarla con il nostro silenzio. O forse ne proverei di meno, quel tanto che mi basterebbe per andare avanti, per tornare a guardare gli altri senza diffidenza e rabbia. Sarei straniera in terra straniera, lascerei ai miei occhi la gioia di colmarsi di  altri occhi, ignoti a me e pieni di promesse. E se queste non venissero mantenute non me ne curerei, non mi sentirei tradita, non sarebbero gli occhi della mia terra, sarebbero solo quelli di un ultimo sogno.

domenica 14 luglio 2013

L'amore platonico? No, grazie.

Le relazioni umane sono talmente complicate che mi verrebbe voglia di tramutarmi, come la moglie di Lot, in una statua di sale. Però poi il sale, a lungo andare si scioglierebbe e con lo scirocco che c'è, non durerei a lungo, sparirei in una scia di acquetta sapida. Continuerò a scervellarmi allora, tenterò di inerpicarmi per gli scoscesi sentieri della comprensione umana, anche se rischierò di rompermi l'osso del collo. Un aspetto che mi stuzzica e al quale solleciterei le risposte di chi fosse, eventualmente, interessato, è l'eterno gioco a rimpiattino dell'amore. Gioco che mi vede abbastanza neutrale, un arbitro che forse non incorrerà negli epiteti soliti destinati a lui. Ci sono amori infatti che mi estasiano, mi lasciano, letteralmente, a bocca aperta: sono gli amori che, un tempo, venivano romanticamente (aggiungo ipocritamente) chiamati platonici, riferendosi non tanto o non solo  alla filosofia del grande greco, ma soprattutto alla differenza tra questi amori casti e quelli vissuti con il placet di Eros, perciò peccaminosi e impuri (la letteratura dei secoli passati ne è piena, degli uni e degli altri). Gli amori platonici, asessuati, puri, estetizzanti, sopravvivono. Ne ho sotto gli occhi qualcuno, forse uno, va bene uno, ma ce l'ho e mi fa sbarrare gli occhi, mi sbalordisce, mi incuriosisce. Ma non mi commuove, non mi emoziona. Ne percepisco la freddezza, la voluta assenza, il vuoto della carne nella carne. L'incompletezza, dunque. Non sono sufficienti le parole, non bastano promesse di perenne fede a un sogno irrealizzato, ci vuole altro, ci vogliono gesti di pelle calda, movimenti dettati dalle viscere, e le parole che diventino grida e anche insulti e il sudore che sappia di  carezze. Qualunque tipo di amore è intriso di umori e di gesti, si nutre di gesti, non può farne a meno: l'amore della madre per il bambino e viceversa, l'amore per l'amico o l'amica, tutto è corporeo, pregno di carne, di sangue, di vita. L'amore assente, romanticamente platonico, non ha vita, è morto. E' un ectoplasma senza linfa e si alimenta di qualche ricordo e di moltissime menzogne. Menzogne che rivolge a chi gli presta ascolto ancora e ancora, per non farlo morire.

Gli amanti 1927 Renè Magritte

giovedì 11 luglio 2013

Le ciliegine sulla torta.


L'altra sera ho assistito a chiusura del tg, come fosse la mitica ciliegina sulla torta (però in senso positivo, stavolta), alla passeggiata nello spazio del nostro astronauta galleggiante nell'etere sopra di noi. Il direttore del tg sfoderava un sorriso carico di entusiasmo e, in effetti, ne aveva ben donde, dopo le notizie che aveva esposto prima, con aria compunta e mesta. Ma io non ho esultato, io no. Come non avevo esultato, da ragazza, alla visione dei cosmonauti americani che camminavano sulla Luna, allora più per motivi legati al mio giovanile e leopardiano romanticismo che per altri. Oggi, è diverso, non c'è niente che mi sproni a sentirmi romantica, soprattutto dopo aver ascoltato le notizie che arrivano da tutti gli angoli del pianeta e dalla nostra Italia in particolare. Poco prima avevo assistito alle solite pantomime inscenate in Parlamento dai nostri ineffabili e sfrontati politici (voltastomaco), ne avevo ascoltato   le dichiarazioni folli, insensate e ricattatorie (che governo è mai questo? un'accozzaglia di umori e deliri personali sotto l'egida del sospetto reciproco); avevo appreso il declassamento dell'Italia da parte di Standard & Poor's    alle famigerate BBB ( la lettera B è proprio una iattura per noi!); avevo visto il carico di vite umane approdare a Lampedusa e ancora l'Egitto, bomba a orologeria del Mediterraneo. Alla fine, l'astronauta.
Che ieri era già scomparso, relegato dentro la navicella a fare i suoi giri - non mi pronuncio sull'utilità di queste missioni - sommerso dalla quotidiana bagarre nel Palazzo, dall'ennesime dichiarazioni di tutti (che noia, che menzogne), dall'Egitto ancora, dalle agenzie di rating (al diavolo, volentieri) e infine dall'ultimo "imbarazzo" del nostro governo circa l'espulsione dall'Italia, avvenuta nel mese di maggio e non si sa in quali circostanze, di una signora e della sua bambina, rispettivamente moglie e figlia di un dissidente kazako. La vicenda presenta, ovviamente, dei lati oscuri, tutti da chiarire, come assicura il nostro stimabilissimo Governo. E questa era la ciliegina sulla torta offerta dal tg che ho seguito ieri sera. Una ciliegina dal gusto amaro, anzi tossico.

lunedì 8 luglio 2013

Pietre e macigni.

Le parole sono pietre, è vero. Io aggiungo anche quelle non dette sono pietre. I vuoti della memoria o meglio, del cuore, sono pietre, macigni posti l’uno sull’altro a formare un muro possente e invalicabile. Le parole hanno un peso, non sono superflue, non dovrebbero esserlo; hanno un significato preciso, vengono alla luce senza timore , con coraggio ed esprimono la gioia o il dolore dell’esistenza, danno voce ai sentimenti, anche un bambino lo sa. Eppure ci sono persone che le tengono in bocca come fossero caramelle alla frutta, le gustano, le assaporano e le sputano con noncurante superficialità: così la parola amore  diventa scipita, perde la tonalità rosso vermiglio e si squaglia in un pallido rosa; e la parola amicizia viene gettata tra le erbacce e genera ortica; e ancora la parola gratitudine è un cencio grigiastro, destinato al macero.
Ci sono poi le parole non dette, i macigni. Quelle se ne stanno acquattate tra i denti, mute e si nutrono di paure, ma anche di invidie e rancori. Balenano impazienti nel gesto della mano nervosa, nel tic di un muscolo, nel guizzo di un sorriso a metà. Vorrebbero venir fuori, ma non possono, la prigione che le racchiude ha le porte di acciaio. Come il cuore di chi le conserva. 



sabato 6 luglio 2013

Il bacio allo specchio.

Non ho saputo resistere alla tentazione, l'occasione è troppo succulenta , un vero manicaretto. Oggi, come ho appreso dagli immancabili post con annesse foto eloquenti ( il più bello quello che ricorda i mille baci alla Lesbia di Catullo), si celebra la giornata "mondiale" del bacio. Dopo un primo attimo di sbalordimento, in cui mi sono chiesta se avessi o meno le traveggole, ho verificato la reale portata dell'evento e cioè che in data odierna tutti avremo, planetariamente, l'obbligo di baciarci, pena la sensazione di una altrettanta planetaria solitudine. Ora capisco che viviamo in tempi in cui i rapporti sociali tendono a deteriorarsi presto, a diventare un usa e getta senza riciclaggio; capisco che la coppia etero o omo che sia, ha sempre meno probabilità di sopravvivenza, vuoi perché il tempo pare abbia un motore da Ferrari e non si riesce ad acchiapparlo per inventarsi uno spazio intimo, (per coltivare fiori, letture e amori), vuoi perché ci vuole spirito di sacrificio e di adattamento  (anche di questo necessita un rapporto amoroso) e non si può aggiungerne ancora di sacrifici e di adattamenti a quelli che già si trovano nel percorso  a ostacoli della vita; capisco anche il generoso gesto dell'ideatore (chi è?), nato di certo sotto l'impulso benefico di Venere, ma non ce la faccio a prenderla sul serio questa giornata, mi suscita un'ilarità un tantino triste (perdonate l'ossimoro). Penso a chi non ha nessuno da baciare, i vecchi negli ospizi, gli homeless per le strade, i carcerati e i bambini abbandonati. E a tutti loro mando il mio bacio virtuale, ma pieno di affetto. Un bacio si può dare, a ben pensarci a tutti, non è esclusivamente quel gesto legato alla sfera deli'erotismo, un bacio può essere casto e pietoso, può essere scanzonato e amichevole. Può essere l'inizio della vita, come quello che si dà al figlio appena nato. Baciamoci dunque e baciatevi.   Se poi si è egocentrici, cinici, affetti da un assoluto, implacabile narcisismo, a tutti questi e  a quelli ch non amano queste effusioni, do un consiglio: se non avete bocche o guance a portata delle vostre labbra, se non vi va di sbaciucchiare a destra e a manca, mettetevi davanti allo specchio, fissatevi con passione e stampatevi un sonoro, amorevole bacio sulla superficie d'argento. Non so quanta gioia ne ricaverete, ma lascerete un bel segno sul vetro. Umido ed effimero.

martedì 2 luglio 2013

Riflessione di una malpensante.

Mi ha colpita, ieri sera, la rimonta di Letta (Enrico) nell'indice di gradimento da parte degli italiani, ha guadagnato dalla scorsa settimana tre punti, se non erro, ma non è questo il punto, non è importante se la sua buona fama si sia arricchita di uno o due o tre punti. Lo stupore è il perché. Forse perché il Governo ha rimandato il pagamento dell'IMU a tempi migliori (si fa per dire)? Forse è perché l'IVA per ora è rimasta immutata, anche qui aspettando la stangata? O forse, più semplicemente perché gli italiani, notoriamente brava gente e soprattutto amanti del quieto vivere, si accingono alle spasimate vacanze? Io che sono notoriamente cinica e malpensante, mio malgrado devo dire, propendo per quest'ultima possibilità. Il profumo del mare, il mare dei Vanzina più che altro, con tutte le beatitudini che sottintende crea una disposizione dell'italico animo all'ottimismo, al "peggio di come siamo messi!" al "meglio questo governo che un altro" o ancora, ed è il massimo "chi si contenta, gode". E infatti, la gens italica si accinge a godersi le sudate ferie, i più fortunati al mare o in montagna o anche in campagna (questi ultimi hanno tutta la mia invidia); i meno fortunati, una moltitudine, in città a  esercitare lo struscio estivo sull'asfalto bollente delle vie, o a rinfrescarsi in qualche climatizzato centro commerciale dove le offerte solleciteranno desideri e rimpianti. Le vacanze, giusta ricompensa dei lavoratori, avranno quest'anno un sapore un poco amaro, temo, ma sempre vacanze saranno per chi un lavoro ce l'ha e sa di dover riprendere la routine, passato il caldo. Per gli altri, sempre una moltitudine, che il lavoro lo cercano e non lo trovano o che lo hanno perduto, le ferie non cambieranno niente, loro sono i forzati delle vacanze, prigionieri di questo eterno peregrinare alla ricerca di cancellare dalle loro esistenze, la parola vacanza, che significa appunto mancanza e nel loro caso è parola appropriatissima. Saremo perciò, tra breve, tutti in festa, privi di ansie e di preoccupazioni, il presente ci apparirà azzurro come il bel mare nostrum (iperbole!) e continueremo a far risalire nel nostro gradimento il Letta giovane.
Poi verrà settembre, le prime piogge, forse qualche alluvione (speriamo mai), le imprese e le fabbriche riprenderanno a dire che non ce la fanno più, lo spread si riaffaccerà a ricordarci, con l'altalena che tanto gli piace, che siamo a rischio, le agenzie di rating -avvoltoi- ci minacceranno e noi ripenseremo che, tutto sommato, sarebbe meglio un altro governo, un altro premier e via discorrendo.
Le vacanze finiranno così per tutti, politici (?!?), cittadini lavoratori, bambini e ragazzi che torneranno a scuola. Le vacanze continueranno, immutabilmente odiose, per chi un lavoro non lo ha mai avuto, per chi lo ha perso. Solo per loro.  

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