Le parole sono pietre, è
vero. Io aggiungo anche quelle non dette sono pietre. I vuoti della memoria o
meglio, del cuore, sono pietre, macigni posti l’uno sull’altro a formare un
muro possente e invalicabile. Le parole hanno un peso, non sono superflue, non dovrebbero
esserlo; hanno un significato preciso, vengono alla luce senza timore , con
coraggio ed esprimono la gioia o il dolore dell’esistenza, danno voce ai
sentimenti, anche un bambino lo sa. Eppure ci sono persone che le tengono in
bocca come fossero caramelle alla frutta, le gustano, le assaporano e le
sputano con noncurante superficialità: così la parola amore diventa scipita, perde la tonalità rosso
vermiglio e si squaglia in un pallido rosa; e la parola amicizia viene gettata
tra le erbacce e genera ortica; e ancora la parola gratitudine è un cencio
grigiastro, destinato al macero.
Ci sono poi le parole non
dette, i macigni. Quelle se ne stanno acquattate tra i denti, mute e si nutrono
di paure, ma anche di invidie e rancori. Balenano impazienti nel gesto della
mano nervosa, nel tic di un muscolo, nel guizzo di un sorriso a metà.
Vorrebbero venir fuori, ma non possono, la prigione che le racchiude ha le
porte di acciaio. Come il cuore di chi le conserva.
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