venerdì 30 novembre 2018

Quel piccolo caffè.

Quel piccolo caffè nella strada stretta tra i palazzi così vecchi che sembrano alberi scortecciati male, rattoppati qua e là tra le modanature di pietra lavica; quel piccolo caffè che allarga il suo dehors accostandosi alle basole sconnesse della strada ed ecco s'immerge e scompare nel vociare, nei colori, negli odori aspri del mercato vasto e sporco della città. Se mi giro, mentre mi allontano con gli afrori pizzicanti le narici, c'è la maestosità della Chiesa del Carmine a schiacciarmi, con quella sua nobiltà settecentesca un poco sfranta.
Oggi ero lì seduta con la tazzina calda nelle mani e d'un colpo ero a Lisbona. Seduta a un tavolo di marmo nel caffè frequentato da operai e svelte donne affannate,sulla viuzza che si precipitava di sotto dove già respirava l'oceano. Le case attaccate l'una all'altra, i portoni corrosi di ruggine, i murales di qualche pittore giovane e sconosciuto. Il profumo di un dolce troppo dolce anche per me che ci vivo nella terra dei dolci; e poi quel vento appena nato dalle onde laggiù e il sentore che si appiccica addosso di pesce affumicato, di pepe, di cannella.
Il tram era affaticato, si sentiva dal sobbalzo e quando scesi mi accolse il ragazzo di Capoverde che cantava e pareva che piangesse. Io cercavo i suoi passi, ero nervosa, eccitata come se andassi al primo appuntamento con l'amore. Cercavo lui nel ristorante dai larghi portici bianchi dove raccontano si sedeva a mangiare; nelle piazzette così difficili da rintracciare, tutte serrate negli intrecci dei palazzi e delle corte strade; cercavo lui nella libreria disordinata e male illuminata e se spostavo un libro, minuscole scintille di polvere danzavano: vi scovai una sua foto e un vecchio manifesto che celebrava Camoes.
I miei amici erano frettolosi e mi prendevano in giro, gli apparivo un poco matta, ma io sapevo, sapevo che era là, in quella città di melodie del cuore. Sapevo che Fernando Pessoa passeggiava ancora per quelle vie, aguzzo e spiritato nella malinconia avviluppante di Lisbona.
Da allora è una città dell'anima e so che tornerò da lei.
E da loro, Pessoa, Saramago, Tabucchi.

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