giovedì 30 agosto 2018

La bellezza - e la forza - del chiaroscuro.

Nel corso della vita si commettono molti errori di valutazione. Dei fatti e delle persone. Ci si dibatte in un incessante annaspare alla ricerca di una verità, ben sapendo che non potrà mai essere quell'assoluta nitidezza di pensiero alla quale aspireremmo. Sarà, alla fine, la nostra verità. Sarà il ritratto a mezzobusto delle persone, lo scorcio di un evento, il flash di un incontro a metà strada.
Ci si accorge di avere sbagliato quasi sempre troppo tardi,  quando l'impulso illogico e l'istinto di conservazione hanno preso il sopravvento sul placido e sereno giudizio. Non si è mai abbastanza adulti da riuscire a sotterrare del tutto la conturbante, attraente e fallace impetuosità della giovinezza. Ne so qualcosa, in questi giorni di riflessiva solitudine parzialmente e lietamente interrotta da una telefonata con una donna che ha il mio medesimo sentimento della vita e delle persone. Sentimento che mi trascina, spesso, in un gorgo di dubbi e di malinconici rimpianti. Ma in egual modo anche mi sprona alla cernita, al vaglio  di quello che cerco e desidero nell'amicizia (come anche nell'amore, in fondo).
E quello che vorrei, anzi pretendo, nell'amicizia è la spontaneità dei gesti, delle parole, degli intenti. Ripuliti d'ogni traccia di gelosie, piccole invidie, diffidenze, permaloso puntiglio, stupide rivalse. Tutti stereotipi vecchi come il cucco nei rapporti umani, nefasti all'amicizia perché la deriva e lo sconfinamento nella palude infetta dell'ipocrisia sono a due passi. Mi viene da definire queste amicizie, taroccate e inquinate, come borderline, pronte a sfidare il precipizio e a giacervi.

Abbiamo esordito io e questa bella, buona amica, con il confidarci le recenti reciproche delusioni. Forse ci aspettiamo dagli altri quello che non è una ricchezza per loro, forse ci aspettavamo l'arricchimento di una scoperta e invece abbiamo ottenuto la polvere di un giacimento esaurito. Abbiamo parlato a lungo, con leggerezza, prendendoci un po' in giro per le nostre piccole manie e fobie, ridendo tanto e con gusto, quel gusto tondo, succoso, fecondo che è del ridere delle stesse cose.
E quando abbiamo chiuso, il peso dei miei giudizi affrettati m'è crollato addosso. Tutto è relativo, tutto è marginale.
Ammetto di avere sbagliato, nei giorni appena trascorsi, nel giudicare chi m'era inviso - e solo momentaneamente - per la puerilità di una frase, di un commento, di un post su Facebook, senza ascoltare le molteplici ragioni del cuore e del cervello. Che dopo - appunto -  mi hanno ricordato la sincerità (quanto fastidio può procurarci, vero?) l'attaccamento caparbio e onesto ai propri valori (che è anche il mio), la bizzarra sensibilità e la inaspettata, repentina gentilezza, concrete e tangibili. Chiaroscuri, ombre e luci che ci connotano come esseri umani. E migliori di coloro che pretendono d'essere a tutto tondo, rigorosamente impettitii e zelanti, sorridenti e gravi, senza un filo d'autoironia, senza  possedere la bellezza - e la forza - del dubbio.


Michelangelo Merisi " Il bacio di Giuda " 1602

domenica 19 agosto 2018

Sospesa

Irrazionali, senza risposte sono i sogni. Ancora più le immagini notturne che definiamo incubi, quelle che prendono corpo nelle veglie alterne ai brevi sonni accaldati dell'estate. E anche la realtà si trascolora, si muta, diventa un incubo dal quale non v'è risveglio.


Sospesa

Sospesa accanto a voi
torco le caviglie sulle pietre
e vi corro dietro 
mille faville s’alzano in volo 
un muro di fuoco spento
Là al fondo del tempo fermato 
c’è il mare
che nessuno vedrà ribollire 
di vita asciugato
Perché piovono sassi dal cielo
e lacrime d’acqua 
nel lavacro di fango.
Neri corvi frullano e s’abbattono 
e ghermiscono
S’afferrano e strappano
laboriosamente assidui
ferocemente becchini 
delle sepolture.
Calerà la sera, calerà 
la silenziosa ombra
Resterà un frullare d’ali scomposto
Là in fondo ci sarà il mare 
del  nostro ferragosto.
Sospesa vi inseguo ancora 
e voi parlate
I sassi rotolano sotto i piedi scalzi
Vi chiamo ancora 
e poi non c’è altro.


John Everett Millais. "Ophelia" 1851 - 52


venerdì 10 agosto 2018

Verso una luce nuova.

Vorremmo riprenderlo quel tempo. Vorremmo riacciuffare tutto lo smarrimento doloroso delle assenze, rotolare con  quello, affacciarci alla soglia del passato e salutare chi non c'è. Vorremmo riprendere la vita nelle mani, stringerla forte perché non sfugga.
I miei sogni si svolgono quasi sempre in cielo: di notte, blu e luci sotto e sfreccianti saette accanto. Sogno di essere appesa al cielo assieme agli amori miei, le mie donne, i miei ragazzi, sospinti dal vento lungo un filo che non è invisibile, è una treccia lucente bianca. Chagall non mi ha influenzata, mi sono trovata io nei suoi colori. Ero un'adolescente e dormivo nel cielo di notte e ho continuato a farlo. Ecco perché le stelle cadenti di queste notti non sono una novità, le conosco tutte, da molto.
Però ogni anno ne voglio una, di stella, e non arriva mai.
Voglio una stella tutta mia, voglio la mia stella. Che sia buona con le persone che amo; che sia gentile con chi soffre; che sia generosa con chi ha bisogno. Voglio una stella che pulisca il cielo con il suo chiarore d'innocente bellezza, che illumini l'oscurità di chi non riesce a vedere. 
Questa notte voglio una stella da regalare.
Poi mi perderò dentro alle onde scure, prive d'ogni suono, senza vibrazioni.
Non importa, è tempo di volare via verso una luce nuova.


mercoledì 1 agosto 2018

Me molesta..

Qualche giorno addietro ho detto a un'amica che sentivo la necessità di scrivere , lo faccio di frequente, parlo tra me et moi, parlo a chi ha piacere e cura di prestarmi la propria attenzione.
Sono giorni di fastidiosi , nauseabondi incontri, l'atmosfera è tutta satura di velenose scorie, una poltiglia purulenta di afa e di tossiche parole a stillicidio e a raffica di mitraglia, su queste pagine infette, sui media. La tossina è, come spesso accade, quella rilasciata dall'infestante erba dell'ipocrisia. A tutti i livelli, in tutte le bocche o quasi. C'è la volontà malefica e imperversante di negare l'evidente declino della civiltà fin qui, faticosamente e non del tutto compiutamente, acquisita. Negare che in questo Paese, in questo momento storico sciaguratissimo, vi siano segnali allarmanti di xenofobia, è roba da pornografi che si battono il petto in confessione, di mercanti che fanno la cresta a clienti e allo Stato e piagnucolano al Tempio. Menzogne alle quali i più aderiscono con complice esaltazione pur sapendo che il vero sta altrove. Io leggo e ascolto e il fastidio mi cresce dentro, mi brulica addosso, tanto da non riuscire a essere la donna spontaneamente ironica che sono sempre stata. Il fastidio cresce, aumenta, dilaga dentro di me, mi annienta. E così si acuiscono le intuizioni, si decuplicano le antenne sensitive e mi allontano quando la molestia diventa intollerabile.
C'è un aspetto, in particolare, in tutto questo movimento di pensieri e parole che mi disgusta ulteriormente ed è l'atteggiamento tenuto nei confronti dell'attualità da alcune " perle" del web. In particolare da quelli/e che si definiscono o vengono acclamati quali poeti. E magari, chissà, lo sono. Ma il loro dialogare, sovente quotidiano! per versi e per palpiti  asetticamente roseo, è rivolto all'estremizzazione dell'io, anche se appunto palpitante d'amore e di bellezza e di platonici oppure carnalissimi slanci. In passato, talvolta, sono calati dall'Empireo amoroso giù, ad aggirarsi negli angiporti dei miserabili, ma era sincera commozione? Era partecipazione del cuore e dell'anima? Perché chi scrive e in special modo, chi ha un seguito di fan, di estimatori, di adoratori ben cospicuo, dovrebbe avvertire l'imperativo morale di levare la propria voce, di parlare, di gridare il proprio sdegno. Forse non è facile, forse si dispiacerebbe a qualcuno, forse gli adoratori vogliono esattamente quello che leggono, non altro, non in quelle pagine, non da quella voce vogliono altre parole. Peccato. A mio avviso ( mi sbaglierò, sì) la loro credibilità sbiadisce, s'accuccia scodinzolante e fedele alle attese.
Io no, io leggo le parole dello sdegno e della pietà; altro, oggi, mi annoia. O, come si dice in un idioma che mi è sempre più caro, me molesta.

Frida Khalo "Diegp nella mia mente" 1943

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