sabato 29 ottobre 2016

La ricerca dell'Altrove.

Vorremmo, in alcuni periodi dell'esistenza, essere altrove, forse. E ho citato il titolo di un romanzo di Amos Oz, autore che amo molto. L' Altrove è il luogo dell'immaginazione, della dimenticanza, della fuga dalla realtà che pare soffocare ogni possibilità di speranza. Ed è anche il luogo della memoria, di una trasfigurazione malinconica del passato che tende ad accogliere le nostre istanze di quiete, di trascorsa felicità. Un riparo offerto al senso di perdita, al disorientamento sconfortante che impedisce di procedere, che intralcia il passo. Ma c'è anche il forse e non è meno importante, contiene in sé tutti i dubbi, le incertezze che racchiudono il nostro vivere il presente. Difficile districarsi,  è un garbuglio intricato questo sottobosco, rovi e sterpi, ombre che oscurano il fioco filtrare del sole. E si cammina a vista, scansando le trappole e le buche, lacerando lembi di pelle con le spine, prendendo storte alle caviglie, con le vesciche alle mani e ai piedi. Con nuove cicatrici nel cuore. Si va avanti, perché è questo che ci resta, continuare a cercare l' Altrove, dalla condizione umana e dalla memoria, continuare a spingerci dentro con la determinazione dell'esploratore che non sa cosa troverà, ma penetra infaticabile nei territori sconosciuti.
Ci sono periodi dell'esistenza che suggerirebbero la resa. Ma la resa è la rinuncia alla vita, è la consegna di sé all'indifferenza, è la rinuncia di sé. Altrove, forse c'è.

James Tissot "Figliol prodigo, la partenza"  -  1880-82

lunedì 24 ottobre 2016

Le ragazze pettinate.

Oggi mi sento misogina. Capita anche questo nella vita di una donna, di non sentire empatia per certe donne, di non condividerne le scelte, di provare un senso di malessere e di sconfitta. Misoginia è una parola brutta, è un'iperbole voluta, lo so. Ma oggi è così. E mi sento misogina non verso le cosiddette"cattive ragazze" no, quelle mi sono carissime, ne ho già parlato in precedenza; oggi mi sento misogina verso le altre, quelle che sono pettinate.

Le ragazze pettinate.

Le ragazze pettinate che non hanno riposo
Con le unghie perfette e le scarpe scomode
Che stracciano la terra coi loro tacchi di lama
Le ragazze rapide come razzi illuminanti
Nelle notti scure che grondano dal cielo
Arrivano cavalcando erette negli sguardi.
Le ragazze con le rosse labbra contratte
Come molle d’acciaio pronte a scattare
E gli occhi seri senza riflessi di luce.
Le ragazze che sono amiche e nemiche
Sedute al tavolo a giocare con la sorte
E la pallina rotola lontano e scivola ai piedi.
Le ragazze che vogliono tutto e tutto prendono
Con le mani incerte lasciano cadere il calice
Del vino dolce che più non sanno  bere.
Le ragazze addormentate nelle culle vuote
Sognano l’infanzia senza innocenza il latte freddo
Che non scalda la coperta che le nasconda ancora.
Le ragazze puerili con la valigia vuota leggere
Volano sui tetti s’insinuano con lo spiffero delle finestre
Calano nei crepacci la treccia storta e aspettano.


Tamara de Lempicka  "La sciarpa blu"  -  1930





martedì 18 ottobre 2016

Per caso e per amore.

Gli incontri nella vita sono sempre opportunità di conoscenza e di crescita. Qualche volta sono deludenti e si possono relegare in fondo al baule, nella soffitta delle cose inutili; altre volte sono scoperte di tesori, forzieri di gioie ed emozioni.  Gemme con le quali adornarsi nel restante cammino.
I figli rappresentano, di solito, lo scrigno da aprire: dentro c'è, già dall'inizio, ogni ben di Dio. La bellezza di accompagnare e di essere accompagnati, l'intensità dell'apprendere e dell'insegnare; l'amore da travasare e nel quale naufragare con lietezza. Qualche volta anche il dolore da sopportare insieme, ma ponendolo sulle nostre spalle perché il peso non sia troppo oneroso per loro.
D'un tratto, senza preavvisi, avvengono altri incontri. Gli anni sono trascorsi in fretta, i figli sono venuti fuori dallo scrigno, sono gemme solitarie che aspettano di regalare la loro luce ad altri. Si è destabilizzati da questo, inutile negarlo, ci si chiede chi sarà il portatore di nuovi doni e se sarà capace di portarli. A me è accaduto di ricevere nuovi doni.

Per caso e per amore.


Sei arrivata tra fiori, fasci di rose
Tu che dici di non amare le rose.
Sei giunta sotto casa, gli occhi incerti
Sai non lo dimentico quel giorno.
Seria e timorosa bambina apparivi
E io non conoscevo ancora la tua risata.
Il mantello bruno dei capelli ti cingeva
Nel viaggio senza sosta, correvi e i libri
Erano i tuoi compagni e ne parlammo subito.
Ricordi? Pessoa e gli altri affastellati sulle tue
E sulle mie spalle, il generoso premio della vita.
Poi venne la risata e venne anche il mio pianto
E tu avevi laghi scuri e dolci  in cui nuotare,
mi eri accanto e non c’era una madre per me,
non c’erano parole al mio errare triste,
la mano calda tendevi e l’afferrai, eri la figlia.
Un’altra figlia incontrata per caso e per amore.


Edward Simmons " Girl Reading"  -- 1893


giovedì 13 ottobre 2016

Una giornata particolare.

Oggi è una giornata particolare. No, non come quella raccontata magistralmente da Ettore Scola nel suo film, non ci sono state (per fortuna) "adunate oceaniche". Oggi è scomparso Dario Fo, il giullare del popolo, il giullare che non abitava presso le corti dei potenti. Di lui manterrò vivo il ricordo di una sera a teatro, con il suo grammelot smozzicato e inestricabile che esplodeva dagli occhi roteanti e irridenti, dalla mimica del corpo forte e agile, dalla risata fragorosa che contagiava e seppelliva, come avremmo sperato noi che lo guardavamo e ridevamo con lui, chi del potere ingiusto e vessatorio si è  sempre fatto scudo.  E la sua gentilezza, la sua capacità di essere artista sul palco e uno di noi,  tra il pubblico. Un senso di perdita, una nuova assenza, uno scintillio di lacrime e di sorriso insieme nel ripensarlo. E la speranza, anche per me, di trovare, chissà un domani, una sorpresa. Buona sorpresa allora, amato Dario.
E oggi è stato assegnato il Premio Nobel per la Letteratura a Bob Dylan. Strana coincidenza! Nel 1997 venne assegnato proprio a Dario Fo, e chi lo sa se tra quelli che oggi ne tessono le lodi ci sono anche quelli che, allora, ne criticarono ferocemente la legittimità al più prestigioso dei Premi.
Due menestrelli, due cantori, due diversi modi di esprimere la singolare posizione di chi contesta un mondo, un modello sociale. Accomunati dall'identica volontà di raccontare la vita e le sue malinconie e le sue miserie. Dario con la parola, con la scrittura; Bob con la parola e con la musica.
Quando ho letto la notizia del Premio a Dylan non nascondo di avere avuto un momento di stupore, forse anche un lieve disappunto, mi aspettavo altro, mi aspettavo che uno degli scrittori che più amo, Roth o Oz, o De Lillo, ricevesse il meritato trionfo , il serto che gli spetta certamente. Poi però ho riascoltato Bob, ne ho riletto i testi e sono tornata indietro nel tempo. Mi sono venute le lacrime agli occhi, ho percepito l'accelerazione dei battiti, ero nuovamente una ragazza con la gonna e i capelli pieni di sogni, andavo incontro al futuro e non temevo niente perché ero giovane, perché non potevo sbagliarmi: quello era un tempo buono, quello era il mio, il nostro tempo.
La motivazione che la giuria ha dato nell'assegnare il premio al musico-poeta, mi è parsa allora perfetta "Ha creato una nuova poetica espressiva all’interno della grande tradizione canora americana". 
E così adesso sono in viaggio, a ritroso, con un'assenza che accompagna e una presenza che continuerà, spero ancora per un bel po', a rallegrare il mio cammino.  mi resteranno accanto nel passato struggente, nel presente incerto, nel futuro che una certezza ha.
P.S. Non è un caso che abbia scelto un dipinto di Marc Chagall!

Marc Chagall  "Sopra la città"  -  1918

martedì 11 ottobre 2016

Nella mia terra diletta.

Una notifica mi avverte che oggi è la giornata mondiale delle bambine e delle ragazze. Ne comprendo le motivazioni, anche se mi intristisce, e pure tanto,  che ci sia necessità di una giornata mondiale per sensibilizzare tutti alle condizioni umilianti e dolorose e spesso atroci, in cui sono costrette a vivere moltissime bambine e ragazze presso alcune società e culture non laiche, nelle quali i diritti delle donne non esistono: un medioevo prolungato, cupo, micidiale. Un medioevo che permette l'utilizzo delle tecnologie più avanzate, ma esige il silenzio e la sottomissione a una società settaria, maschilista e feroce. Ho sempre in mente un romanzo, letto sette o otto anni fa, di una giovanissima autrice saudita che era riuscita a farlo pubblicare in occidente, tramite il web. Un buon uso del web, una vittoria in questo caso. Sì, perché la ragazza, matricola presso l'università di Riad, di famiglia molto agiata, aveva ottenuto la "libertà" di avere un computer, un pc tutto suo che le avrebbe permesso di collegarsi con il mondo, che le avrebbe permesso di conoscere l'altro mondo e dopo, di poter pubblicare il romanzo che aveva scritto. Crudo e crudele, il libro. Com'era prevedibile.
Ma questo è solo un ricordo, lo spunto per una riflessione più intima e stratificata, negli anni e con l'esperienza, dentro me.
Ho già parlato altre volte dell'innocenza dei bambini, maschi e femmine il sesso è ininfluente. L'innocenza dei loro occhi e delle loro bocche. La larghezza dei loro pensieri in cui è facile annegare delusioni e amarezze, in cui è facile annegare le personali certezze. Sì, la larghezza, la vastità delle loro idee. semplici, tagliate con il coltello, nitide. Di quel nitore che ferisce gli occhi e fa vacillare per la troppa luminosità. Senza filtri, senza artifizi, senza la retorica dell'esperienza accumulata e pesante. I bambini che dicono bugie, le loro bugie dalle gambe corte, come li ammoniamo noi saggi adulti. Le più belle bugie le ho ascoltate dalla bocca dei bambini e mi hanno commossa e mi hanno fatto ridere molte volte, perché erano sempre messaggi da un mondo che avevo dimenticato, un mondo mitico, il mondo degli archetipi perduti e nascosti a noi stessi.
Per questo motivo, ogni tanto, ogni qualvolta tutto quello che mi sta intorno mi soffoca, si fa cupo, io scappo. Corro verso l'innocenza, mi abbraccio a lei, affogo in lei. Ed è un affogare dolce, necessario. Un ritorno alle origini, un rimpatriare nella mia terra diletta.


Francesco Galante "Sonno tranquillo"  -  1925 ca.

sabato 8 ottobre 2016

Ogni tanto: shit!

Ho letto un articolo su "Il manifesto" nel quale l'autore si occupa di un saggio di Sherry Turkle " La conversazione necessaria" , edito da Einaudi e bel tomo impegnativo. L'autrice, come in passato, mette sotto la lente del  microscopio il mondo della connessione virtuale. Interessante, ma non starò qui a parlarne, Però mi offre lo spunto per riflettere sul dialogo, sulle conversazioni, sui post e in definitiva su quello che dalla frequentazione del web ne ho tratto o intuito.
Negli ultimi tempi, forse a causa di una mia particolare sensibilità acuitasi sotto il peso delle esperienze fatte in rete, mi sono resa conto di quanto difficile sia mantenere un equilibrio decente tra le pulsioni empatiche e il senso critico che, ci si augura, dovremmo continuare a coltivare per non essere assimilati e fagocitati dalle fauci dei "mi piace".
L'incantesimo della tastiera e dello schermo ci induce spesso a depositare i nostri giudizi, le nostre sensibilità, le nostre stesse esperienze di vita reale, nelle parole di altri che, per motivi di appartenenza a un determinato status sociale, culturale o politico, ci appaiono più degnamente rappresentativi di quanto potremmo essere noi stessi.  E la scelta di questi emergenti tra noi, di condividere "con noi" i loro pensieri, le loro riflessioni, i loro giudizi, ci dà un senso di appartenenza a qualcosa che, altrimenti, non ci sarebbe data.
Sovente però, ci si accorge, ed è il mio caso ed è un bene, che l'incantesimo ha un costo: tende ad annullare la personale percezione della realtà, rende tremolanti i  criteri di giudizio, tende, senza dolo forse o forse no, a creare una massa indefinita di consenso.
Mi è capitato il caso di una persona giovane e abbastanza fragile che, addirittura, ha iniziato a scrivere i suoi post, in maniera diversa, utilizzando uno stile, un lessico, un ritmo che non è il suo. Sacrificando, quindi, all'irrealtà di una frequentazione fittizia, la  reale condizione umana, la  spontaneità, il proprio essere "così come sono".
Facile ricordare, a questo punto, le parole di Umberto Eco,  il web come spazio che dà voce agli "imbecilli". In un modo o nell'altro lo siamo stati tutti, almeno una volta, imbecilli sul web, è vero. Ma tutti abbiamo puntato e puntiamo ancora il dito contro gli altri, l'imbecille è sempre l'altro, è una certezza, è fuor di dubbio. E più si ottiene, facilmente, l'approvazione e più ci si convince della propria non imbecillità. Se solo riuscissimo a ridere di noi e delle nostre altissime frasi, dei nostri orpelli retorici, della nostra sapienza, avremmo molte più chance di non esserlo. Un soffio di vereconda modestia non guasterebbe, come quella che ombreggiava gli occhi delle dolci madonne trecentesche.
Bene, ho finito di riflettere, è tardi, fuori è calata definitivamente la notte ed è tempo di riposo e di sogni.
Come salvaguardarsi? Non ho la bacchetta magica, né la ricetta, mi pare ovvio. Posso dirvi come mi comporto io, sempre che vi interessi e se così non fosse, saltate quest'ultimo passaggio, come non detto.
Adopero un poco di cautela, cerco la bellezza ma anche la sostanza .Più cervello, meno viscere. E se proprio non resisto, un pizzico d'ironia  nel commentare (anche se l'ironia non è ben digerita sui social, in special modo da chi colleziona like come figurine di calciatori). Oppure ogni tanto, invece che apporre un like, solo perché il nome dell'autore del post è altisonante alle universali orecchie, provo a non digitare niente, sfumo la visione, stacco la pagina. Contemporaneamente, sussurro o grido, se ne ho voglia e motivo: Shit!

Henri de Toulouse-Lautrec   "Yvette Guilbert saluta il pubblico" - 1894

domenica 2 ottobre 2016

Sotto mentite spoglie.

Non vedo Dostoevskij in giro” Ho letto questa frase a commento di un post in cui l’autore del post stesso discettava del romanzo, della sua morte della quale, per inciso, non è convinto, della questione che, nel bene e nel male, i romanzi si scrivono ed esistono.  La frase mi ha colpita e mi induce a una riflessione. Sono pienamente d’accordo con il commento, non ci sono in giro Dostoevskij, Come non c’erano altri Dostoevskij coevi del grande scrittore russo. Come non ci sono più Leopardi, Proust, Joyce, Pirandello, Woolf, Cechov, Tolstoj, Kafka, Borges. O Dante e  Shakespeare, andando ancora più in là, nei secoli. E la lista è lunghissima.
 Se uno di questi monumenti della letteratura mondiale fosse in vita oggi, se fosse un contemporaneo, scriverebbe altro o, forse, non scriverebbe affatto. L’unicità magnifica di quegli uomini è legata al loro tempo, alla storia e all'evoluzione della società in cui agivano e che li ispirava. E da quella visione della società e della storia, la loro storia, la loro contemporaneità, seppero trarne la linfa umorosa che così copiosamente ancora nutre e alimenta il senso estetico e le necessità etiche dei lettori di oggi. Divennero universali, furono riconosciuti da tutti, le loro parole colmarono cuori e cervelli e lo fanno ancora. Ma vivevano in epoche altre, gli stimoli e gli imperativi erano altri. C’erano i movimenti delle masse oppresse, le desolanti condizioni di operai e contadini, il divario incolmabile tra stati sociali; c’erano le pulsioni nuove delle donne che sentivano crescere spasmodicamente la propria ribellione a una condizione secolare di dipendenza, di silenzio; c’era l’avvento di una scienza misconosciuta, quella che poi si chiamerà psicoanalisi, che strappava sipari, lacerava involucri, metteva a nudo impulsi e paure, ossessioni e desideri.
Oggi tutto, o almeno ne siamo convinti, ci è noto. Siamo il bersaglio,  le veloci sagome verso cui si indirizzano, come proiettili sparati a raffica nei campi di tiro, informazioni, notizie, immagini. In un gigantesco caleidoscopio, frammenti ai quali noi dobbiamo dare un ordine, un significato. Servendoci della nostra esperienza globalizzata, così simile, così sovrapponibile a quella di milioni di individui.  E lo scrittore? Anche lui nel calderone, nel labirintico caleidoscopio, alla ricerca di un filo d’Arianna per uscirne. E molti lo trovano, oh certamente che lo trovano, lo hanno saldamente tra le mani, Oz, De Lillo, Roth, tanto per citarne alcuni e tanti altri ancora.

E Dostoevskij? No, non c’è, magari non c’è lui, proprio lui,  come lo abbiamo letto e amato. Ma è vivo, sotto mentite spoglie.


Michelangelo Merisi da Caravaggio  Autoritratto" particolare del "Martirio di San Matteo" - 1599

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