“Non vedo
Dostoevskij in giro” Ho letto questa frase a commento di un post in cui l’autore
del post stesso discettava del romanzo, della sua morte della quale, per
inciso, non è convinto, della questione che, nel bene e nel male, i romanzi si
scrivono ed esistono. La frase mi ha
colpita e mi induce a una riflessione. Sono pienamente d’accordo con il
commento, non ci sono in giro Dostoevskij, Come non c’erano altri Dostoevskij
coevi del grande scrittore russo. Come non ci sono più Leopardi, Proust, Joyce,
Pirandello, Woolf, Cechov, Tolstoj, Kafka, Borges. O Dante e Shakespeare, andando ancora più in là, nei
secoli. E la lista è lunghissima.
Se uno di questi monumenti della letteratura mondiale fosse in vita oggi, se fosse un contemporaneo, scriverebbe altro o, forse, non scriverebbe affatto. L’unicità magnifica di quegli uomini è legata al loro tempo, alla storia e all'evoluzione della società in cui agivano e che li ispirava. E da quella visione della società e della storia, la loro storia, la loro contemporaneità, seppero trarne la linfa umorosa che così copiosamente ancora nutre e alimenta il senso estetico e le necessità etiche dei lettori di oggi. Divennero universali, furono riconosciuti da tutti, le loro parole colmarono cuori e cervelli e lo fanno ancora. Ma vivevano in epoche altre, gli stimoli e gli imperativi erano altri. C’erano i movimenti delle masse oppresse, le desolanti condizioni di operai e contadini, il divario incolmabile tra stati sociali; c’erano le pulsioni nuove delle donne che sentivano crescere spasmodicamente la propria ribellione a una condizione secolare di dipendenza, di silenzio; c’era l’avvento di una scienza misconosciuta, quella che poi si chiamerà psicoanalisi, che strappava sipari, lacerava involucri, metteva a nudo impulsi e paure, ossessioni e desideri.
Se uno di questi monumenti della letteratura mondiale fosse in vita oggi, se fosse un contemporaneo, scriverebbe altro o, forse, non scriverebbe affatto. L’unicità magnifica di quegli uomini è legata al loro tempo, alla storia e all'evoluzione della società in cui agivano e che li ispirava. E da quella visione della società e della storia, la loro storia, la loro contemporaneità, seppero trarne la linfa umorosa che così copiosamente ancora nutre e alimenta il senso estetico e le necessità etiche dei lettori di oggi. Divennero universali, furono riconosciuti da tutti, le loro parole colmarono cuori e cervelli e lo fanno ancora. Ma vivevano in epoche altre, gli stimoli e gli imperativi erano altri. C’erano i movimenti delle masse oppresse, le desolanti condizioni di operai e contadini, il divario incolmabile tra stati sociali; c’erano le pulsioni nuove delle donne che sentivano crescere spasmodicamente la propria ribellione a una condizione secolare di dipendenza, di silenzio; c’era l’avvento di una scienza misconosciuta, quella che poi si chiamerà psicoanalisi, che strappava sipari, lacerava involucri, metteva a nudo impulsi e paure, ossessioni e desideri.
Oggi tutto,
o almeno ne siamo convinti, ci è noto. Siamo il bersaglio, le veloci sagome verso cui si indirizzano,
come proiettili sparati a raffica nei campi di tiro, informazioni, notizie,
immagini. In un gigantesco caleidoscopio, frammenti ai quali noi dobbiamo dare
un ordine, un significato. Servendoci della nostra esperienza globalizzata,
così simile, così sovrapponibile a quella di milioni di individui. E lo scrittore? Anche lui nel calderone, nel
labirintico caleidoscopio, alla ricerca di un filo d’Arianna per uscirne. E
molti lo trovano, oh certamente che lo trovano, lo hanno saldamente tra le
mani, Oz, De Lillo, Roth, tanto per citarne alcuni e tanti altri ancora.
E
Dostoevskij? No, non c’è, magari non c’è lui, proprio lui, come lo abbiamo letto e amato. Ma è vivo,
sotto mentite spoglie.
Michelangelo Merisi da Caravaggio Autoritratto" particolare del "Martirio di San Matteo" - 1599
Michelangelo Merisi da Caravaggio Autoritratto" particolare del "Martirio di San Matteo" - 1599
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