martedì 11 ottobre 2016

Nella mia terra diletta.

Una notifica mi avverte che oggi è la giornata mondiale delle bambine e delle ragazze. Ne comprendo le motivazioni, anche se mi intristisce, e pure tanto,  che ci sia necessità di una giornata mondiale per sensibilizzare tutti alle condizioni umilianti e dolorose e spesso atroci, in cui sono costrette a vivere moltissime bambine e ragazze presso alcune società e culture non laiche, nelle quali i diritti delle donne non esistono: un medioevo prolungato, cupo, micidiale. Un medioevo che permette l'utilizzo delle tecnologie più avanzate, ma esige il silenzio e la sottomissione a una società settaria, maschilista e feroce. Ho sempre in mente un romanzo, letto sette o otto anni fa, di una giovanissima autrice saudita che era riuscita a farlo pubblicare in occidente, tramite il web. Un buon uso del web, una vittoria in questo caso. Sì, perché la ragazza, matricola presso l'università di Riad, di famiglia molto agiata, aveva ottenuto la "libertà" di avere un computer, un pc tutto suo che le avrebbe permesso di collegarsi con il mondo, che le avrebbe permesso di conoscere l'altro mondo e dopo, di poter pubblicare il romanzo che aveva scritto. Crudo e crudele, il libro. Com'era prevedibile.
Ma questo è solo un ricordo, lo spunto per una riflessione più intima e stratificata, negli anni e con l'esperienza, dentro me.
Ho già parlato altre volte dell'innocenza dei bambini, maschi e femmine il sesso è ininfluente. L'innocenza dei loro occhi e delle loro bocche. La larghezza dei loro pensieri in cui è facile annegare delusioni e amarezze, in cui è facile annegare le personali certezze. Sì, la larghezza, la vastità delle loro idee. semplici, tagliate con il coltello, nitide. Di quel nitore che ferisce gli occhi e fa vacillare per la troppa luminosità. Senza filtri, senza artifizi, senza la retorica dell'esperienza accumulata e pesante. I bambini che dicono bugie, le loro bugie dalle gambe corte, come li ammoniamo noi saggi adulti. Le più belle bugie le ho ascoltate dalla bocca dei bambini e mi hanno commossa e mi hanno fatto ridere molte volte, perché erano sempre messaggi da un mondo che avevo dimenticato, un mondo mitico, il mondo degli archetipi perduti e nascosti a noi stessi.
Per questo motivo, ogni tanto, ogni qualvolta tutto quello che mi sta intorno mi soffoca, si fa cupo, io scappo. Corro verso l'innocenza, mi abbraccio a lei, affogo in lei. Ed è un affogare dolce, necessario. Un ritorno alle origini, un rimpatriare nella mia terra diletta.


Francesco Galante "Sonno tranquillo"  -  1925 ca.

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