lunedì 28 aprile 2014

La cesura.

Poi di colpo ogni cosa prende forma. Ogni parola detta, ogni movimento del corpo, ogni cenno delle mani, ogni tremito della bocca. Come il flash di una vecchia macchina fotografica, talmente accecante da riprodurre le espressioni fisse e stupite dei nostri nonni, la realtà circostante si illumina. I coni d'ombra magicamente si dileguano, il bianco e il nero sono i non colori netti che determinano gli oggetti e i pensieri. Lo si percepisce in ogni singola molecola di questo nostro corpo, nella carne viva, che la verità è chiara, è venuta alla luce. I pensieri circolano nelle nostre vene, si mescolano al sangue, si coagulano nel cuore, sotto lo sterno. Un grumo dolente, ma la verità non è mai senza sofferenza. La impone, la offre nell'amaro calice che prima o poi tutti assaporiamo.
E non deve spaventarci, non deve essere allontanata o reietta nella solitudine. Va accolta come la figlia perduta e poi ritrovata, perché noi stessi ci eravamo perduti, voltandole le spalle, e poi ci siamo ritrovati.
Penso alle nostre vite, bolle di sapone fragili e trasparenti. Penso alla paura di toccarsi, come se il contatto potesse diventare una contaminazione. Penso ai silenzi nelle nostre case operose di quotidiane banalità;  penso ai silenzi dell'anima che restano tali, fino a quando non avviene la cesura. Il trauma della verità. Penso ai sotterfugi e alle menzogne per negarle la vita e non sappiamo che neghiamo la vita a noi stessi.
Un amico mi ripete spesso che le parole possono essere pietre che feriscono, ma dopo si tramutano in mani carezzevoli. Le parole, mi esorta, sono fonte di dolore. Ma danno anche la guarigione.
Vorrei parole di verità, vorrei ascoltarle, vorrei imparare a dirle anche io.


Dora Maar  -   1930 ca.  fotomontaggio

giovedì 24 aprile 2014

Non è paura di volare.

Dal finestrino dell’aereo Adele si sforzava di scorgere tra le nuvole su cui viaggiava la sagoma dell’isola. All’improvviso, i fiocchi di ovatta bianca si lacerarono e si dispersero rapidi  nell’azzurro, sbrindellati come stracci. Adele aguzzava la vista, schiacciando la fronte contro il vetro e  ne ebbe una visione fugace prima che altre nuvole grigiastre gliela nascondessero. Si lasciò andare contro lo schienale a occhi chiusi, cercando di controllare i battiti del cuore che voleva saltarle fuori dal petto. Paura di volare. Il titolo di un libro di un’autrice americana degli anni settanta che aveva suscitato scalpore e che lei aveva letto di nascosto, sottraendolo dalla libreria della madre. Anche Adele aveva sempre avuto paura di volare, ma non per l’essere sospesa in aria dentro  un’enorme scatola metallica. Ma proprio per la scatola metallica che le toglieva il respiro. No, la sua non era paura di volare e precipitare. Al contrario, era paura di  restare chiusa come una sardina in scatola, in eterno. Irrazionale come tutte le fobie, ma altrettanto spaventosa. Spinse la nuca con forza contro lo schienale e controllò il ritmo della respirazione. ‘Inspira con il naso, espira con la bocca. Uno due, uno due, uno due. Durerà ancora per poco, poi come ogni volta, mi abituerò. E nel frattempo, la hostess dirà che stiamo scendendo verso la pista e  sarò con Michelangelo. E dopo, ancora, me la caverò in qualche modo.’ Si rigirò verso l’oblò. Come odiava quel piccolo occhio cieco:  sotto c’era l’inesorabile bianco accecante.

Chiuse gli occhi, le orecchie e il cervello e si lasciò cullare dal panico.

Tratto da "L'assente" 

lunedì 21 aprile 2014

Con le parole di un'altra.

Resta l’inverno
Nella fronte pulsante
Con tre rughe scolpite
Nel marmo dell’anima.
Stenta la primavera
A chiamare il sole
Offesa dai cupi
Nembi della memoria.
Poi verrà l’estate
E una nuova storia
Delle tristi stagioni
Chiuderà il ciclo.

Desiderio di sole. Fuga dal freddo che persiste indecente nelle rose macchiate d'oidio nei vasi di coccio allineati sul terrazo bagnato; che sferza la pelle, nell'alba grigia col vento della montagna nera di lava e di fumi. Lo lascio scorrere come il tempo, le notti fredde che mi accompagnano sotto il piumone incontro all'estate. Incontro alla speranza di un cuore caldo, di calde parole.


Dal diario di Adele 

giovedì 17 aprile 2014

Un aprile lontano.

E poi si torna indietro, si fa il viaggio all'incontrario, ripercorrendo a ritroso tutta una vita fino a raggiungerlo quel punto fisso, una stella nascosta tra le altre più brillanti. Ce n'è voluto di tempo, tanta storia nella vita di ognuno di noi, anche troppa. Ma poi è arrivata la nostra cometa personale a illuminare lo spazio, la camera oscura dove vivono i ricordi perduti.

I ricordi stanno dietro un velo spesso, impolverato dagli anni trascorsi senza ritorno. Cercano spazi di luce per emergere dal sonno imposto e si insinuano nelle pigre ore di un giorno qualunque. Irrompono e scombinano l'ordine voluto, la monotonia cercata e accettata, ricreando il Caos primordiale. Come una ventata calda del sole di un aprile lontano, la panca di pietra sotto l'ombra segreta del parco dove i baci non erano visti; come la pelle bruna delle mani d'artista sulla tua pelle, fredda e sudata. Come il volo di mille farfalle nelle vene dei polsi e nella pancia piatta di ragazza, le tanto cantate farfalle a cui non credevi. Il velo si chiude di nuovo alla luce, la polvere ricade nelle pieghe fitte dell'anima. Un attimo, un attimo ancora.

venerdì 11 aprile 2014

Adolescenti, innocenza e violenza.

Senza cedere a facili moralismi, senza voler etichettare nessuno, mi pongo alcune domanda. Ben consapevole che non saprò darmi risposte adeguate. L'unica cosa che posso provare a fare è quella di scavare dentro me stessa, di allungare l'occhio su chi mi sta vicino per trovare un barlume di luce.
Il fatto è che mi sento annientata dalle notizie che riguardano gli adolescenti di oggi, in particolare quei fatti permeati di una violenza inaudita, della quale sono vittime e carnefici.
Il recente episodio del sedicenne svizzero ucciso a Roma durante un "gioco" con i coltelli al posto del pallone o del Risiko o di qualunque gioco elettronico; oppure l'episodio avvenuto a Pittsburgh in USA del ragazzo che fa strage nella sua scuola con un coltello portato con sé da casa. Da casa sua, dove si presume abitasse con genitori, in un nucleo familiare. E ancora,  il nuovo divertissement degli adolescenti americani  ( da qualche tempo sbarcato anche nella nostra penisola), il knockout game che consiste nello sballo prima e  dopo nel colpire con  un pugno chiunque  capiti a tiro, la nuova Febbre del sabato sera, altro che Tony Manero ancheggiante al ritmo dei Bee Gees. E il bullismo di cui sento parlare anche dai miei adolescenti, da quelli che vedo allungare ogni anno di più, a cui conto i nuovi brufoli, dei quali scorgo le incertezze nelle parole e nei comportamenti, ma sempre con quella innocenza che si tengono addosso come la coperta di Linus, quasi una protezione contro i mali del mondo.
Guardando loro, i miei adolescenti e leggendo quello che accade ad altri come loro, mi interrogo. E se non so rispondermi in maniera sociologicamente soddisfacente, so per certo che una parte della loro colpa è nostra. Abbiamo sbagliato in qualcosa, ci siamo persi anche noi insieme a loro, li abbiamo accompagnati per strada con gli occhi ciechi, brancolando come loro nel buio. E forse abbiamo lasciato la mano che ci porgevano, vuota senza la nostra forza. Forse gli abbiamo trasmesso solo le nostre debolezze, le nostre fragilità più oscure. Credo che quegli adolescenti, quelli che finiscono sulla cronaca sbattuti sulle nostre facce addolorate, non rappresentino altro se non il nostro lato oscuro. Quella parte di noi stessi, compressa e feroce, che non vogliamo vedere.

martedì 8 aprile 2014

Brevemente sulla Pasqua.

Quando ero molto giovane, ma proprio ragazzina, la Pasqua era la mia festa preferita. Non il Natale, come si potrebbe pensare per tutti i bambini, con il carico di doni che porta con sé (ma già che allora erano esigui e sempre di necessità), bensì la Festa che festeggiava l'imminenza della bella stagione. E non perché questo stava a significare la fine del periodo scolastico, la scuola mi piaceva, ma sempre per il mio nascente spirito romantico che sentiva l'aria vibrare di nuovi suoni e colori. Avevo anche una vaga percezione del significato religioso di essa, più che altro dovuta ai discorsi di due vecchie zie di mia madre, che a un'effettiva conoscenza. Ero, di già, un'anima volatile, nel senso che avrei voluto avere le ali per poter spiccare il volo e allontanarmi dalla terra. Ma la terra mi teneva avvinta anche allora, mi seduceva e il cielo mi appariva distante. Sono sempre stata molto più vicina alla terra che al cielo, ahimè, anche se aspiro a diventare un angelo con tanto di arti piumati e una veste con la greca in fondo ricamata col filo d'oro.
Negli anni ho imparato ad amare tutti quelli che hanno dato se stessi per una buona causa e ho amato anche il Figlio di Dio. Ma come fosse un fratello dapprima e poi un figlio.
La Pasqua che sta per venire avrà il buon odore della mia infanzia  e il sapore dolce di un amore possibile che non è mai diventato assoluto e salvifico per me.  La Pasqua che sta per venire non mi porterà nessun uovo, non lo vorrei. Sarebbe vuoto, senza la mia sorpresa.

Pablo Picasso - Colomba

venerdì 4 aprile 2014

Un accenno di primavera è nei bambini.

Ieri c'era un accenno di primavera. Un sole che ha tardato a riscaldare l'aria intorno, a farsi strade nel grigio di un cielo novembrino. Poi gli alberi nel parco si sono illuminati e gli uccelli hanno cominciato a cantare con più foga. A mezzogiorno si poteva andare al mare, il vento sapeva di salsedine e i ragazzi e le ragazze ruzzolavano fuori dalle scuole in magliette colorate, con le braccia nude. La campagna aveva ancora l'aspetto dimesso del trascorso inverno, ma già nel giardino antico i fiori sono esplosi, forse proprio ieri. Stavo seduta a parlare e non erano parole leggere quelle che correvano intorno a me e a mia sorella. Erano parole intrise di pene e di ricordi, di vecchie canzoni che non sentiremo più. Un filo d'ironia condiva le nostre frasi, come sempre, noi in equilibrio precario tra il riso e la malinconia.
D'un tratto eccoli che arrivano. Le due principesse bambine, i due pirati gentili, le due tenere adolescenti e lui il giovane conquistatore, il biondo re normanno. Allora di colpo, tutto comincia a suonare, a roteare, a tingersi di rosa e azzurro e tutto è leggero e trasparente. I bambini hanno questo potere, i bambini hanno l'innocente inconsapevolezza che li porta in giro per il mondo, che li porta nel tuo mondo e lo accende di sole. Non so, in effetti, se sono i bambini a penetrare nella tua vita o se sei tu a ottenere il permesso di entrare nella loro. Forse, con naturalezza, ti schiudono una porta perché tu possa varcare la soglia. So che è bello, so che ti rende migliore. So che ti accorgi che puoi ancora ridere.
Ecco, la Primavera la sento così, la vedo così. Un riflesso di foglie e di cielo negli occhi dei bambini, un'eco morbida nelle loro grida di gioco, un profumo lieve nei loro movimenti.



Vincent Van Gogh  - Iris (dettaglio)

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