giovedì 24 aprile 2014

Non è paura di volare.

Dal finestrino dell’aereo Adele si sforzava di scorgere tra le nuvole su cui viaggiava la sagoma dell’isola. All’improvviso, i fiocchi di ovatta bianca si lacerarono e si dispersero rapidi  nell’azzurro, sbrindellati come stracci. Adele aguzzava la vista, schiacciando la fronte contro il vetro e  ne ebbe una visione fugace prima che altre nuvole grigiastre gliela nascondessero. Si lasciò andare contro lo schienale a occhi chiusi, cercando di controllare i battiti del cuore che voleva saltarle fuori dal petto. Paura di volare. Il titolo di un libro di un’autrice americana degli anni settanta che aveva suscitato scalpore e che lei aveva letto di nascosto, sottraendolo dalla libreria della madre. Anche Adele aveva sempre avuto paura di volare, ma non per l’essere sospesa in aria dentro  un’enorme scatola metallica. Ma proprio per la scatola metallica che le toglieva il respiro. No, la sua non era paura di volare e precipitare. Al contrario, era paura di  restare chiusa come una sardina in scatola, in eterno. Irrazionale come tutte le fobie, ma altrettanto spaventosa. Spinse la nuca con forza contro lo schienale e controllò il ritmo della respirazione. ‘Inspira con il naso, espira con la bocca. Uno due, uno due, uno due. Durerà ancora per poco, poi come ogni volta, mi abituerò. E nel frattempo, la hostess dirà che stiamo scendendo verso la pista e  sarò con Michelangelo. E dopo, ancora, me la caverò in qualche modo.’ Si rigirò verso l’oblò. Come odiava quel piccolo occhio cieco:  sotto c’era l’inesorabile bianco accecante.

Chiuse gli occhi, le orecchie e il cervello e si lasciò cullare dal panico.

Tratto da "L'assente" 

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