Non mi piace la politica, non questa che ci mettono sotto il naso, così maleodorante che al confronto uno spruzzo di puzzola è Chanel 5.
Mi dà la nausea il grottesco gioco delle parti avverse che demoliscono la supposta credibilità dell'avversario-nemico a colpi di più o meno fantasiose menzogne, insinuazioni, manipolazioni retoriche, iperboliche e visionarie immagini di possibili catastrofi. Tattiche pedestri che assomigliano più ai dispetti tra bambini all'asilo, come la bandiera europea che viene rimossa per protesta. E con l'ausilio anche di pirati virtuali che si infiltrano nei circuiti virtuali per manovrare e distruggere consensi e dissensi. Un'epopea degna del peggiore Far West che tanto è stato amato da molti italiani. Ma la saga del Far West appartiene a un'altra Nazione, non è la nostra, noi avremmo altro cui attingere, qualcosa, per la miseria, dovremmo averla conservata nella memoria! Una storia plurisecolare, ricca di chiaroscuri come nei dipinti di Leonardo; di tenebre ma anche di violenti squarci di luci, come nelle tele di Caravaggio. E cultura e bellezza e stile. Tutto dimenticato, tutto fuori dalle nostre esistenze, cancellato. E poi noi abbiamo assunto il vizietto, da molto tempo, di essere gli epigoni di quelli che riteniamo essere degni di emulazione, le loro novità ci hanno sempre attirato come il più potente dei magneti, le loro mode, i costumi, le loro indiscusse abilità in molti campi delle tecnologie più avanzate ci hanno conquistati, sottomessi al ruolo vicario di compiacenti e accoglienti imitatori. Per mimesi camaleontica, ne assumiamo le sembianze. E così la politica e gli uomini e le donne che la rappresentano tra di noi - con poche malinconiche eccezioni - gongola e si pavoneggia, facendo la ruota nell'inchino al neoeletto e facendogli eco stridula e scomposta. E instancabilmente rissosi, inutilmente vociferanti, invitano il popolo a scindersi, a spaccarsi per difendere la Costituzione così come ci è stata offerta o per cambiarla in alcune parti. La Costituzione divenuta come il Nodo di Gordio attorno al quale tutti affilano le spade. Tutto il resto si perde, le domande restano senza risposte, i giovani disoccupati senza lavoro, i vecchi sempre più soli e arrabbiati, i diseredati sempre più ultimi. Ma il baccano resta, quello sì, è incessante e copre il Paese come una immensa coltre sporca e pulciosa.
Michelangelo Merisi da Caravaggio "Flagellazione di Cristo" - 1607-1608
giovedì 17 novembre 2016
venerdì 11 novembre 2016
Il giorno del Ringraziamento.
Nel turbinare frastornante, nelle voci concitate e distorte di questi giorni di novembre, nel vorticoso maelstrom in cui pare precipitare tutto e anche la mia vita, mi appiglio come posso a qualche fragile ricordo. E uno tra questi fragili ricordi ha un'origine: stamattina ho trovato sulla mia pagina social il post di una quindicenne che salutava, con un video, Obama. Una quindicenne come tutte le quindicenni di oggi, o almeno come vorremmo che fossero.
I giorni, che adesso sembrano risplendere di una luce dolce, di otto anni fa, quando si insediò alla guida del Paese più potente, un giovane uomo, un nero: un uomo di colore alla Presidenza degli Stati Uniti, di quel grandissimo territorio così variegato paesaggisticamente e sociologicamente da contenere in sé tutte le contraddizioni, nel bene e nel male, dell'intero pianeta. Un uomo di colore alla Presidenza di una Nazione che aveva vissuto il delirio del Ku Klux Klan, del razzismo esasperato e grottesco contro i neri e gli ispanici, che aveva conservato l'orgoglioso rifiuto delle minoranze etniche e religiose, che era ancora, profondamente avviluppato nelle spire di un puritanesimo reazionario e anacronistico. Paesaggi diversissimi, metropoli opulente e infinitamente povere al contempo, sterminate lande destinate alla vita dei meno fortunati, la provincia profonda percorsa da malesseri e ingiustizie antichi; i sobborghi ricchi e i ghetti miserabili. Tutto e il contrario di tutto. Mi era sembrato un segnale, un buon segno l'elezione di Obama, mi era sembrato che stesse per concludersi un periodo e che a quello ne sarebbe seguito un altro, ancora incerto ma promettente. Il cambiamento, quello auspicato, quello atteso. Non è stato così, ci sono stati errori, mancanze, delusioni. Ma il ricordo di quel giorno di novembre di otto anni fa mi sta dentro, una crisalide che poteva diventare farfalla, un battito d'ali che poteva diventare un volo verso il futuro.
Oggi c'è altro, c'è un uomo del passato che si metterà alla guida dell'immenso Paese e ci sono tutte le premesse perché chiuda le porte alla speranza di poter cambiare un poco, almeno in parte, questo pazzo mondo. Ma così hanno voluto e a me e ad altri resterà solo il ricordo di qualcosa che non è avvenuto.
Tra poco cadrà, come ogni anno, il Giorno del Ringraziamento, nel quale gli statunitensi ricordano i Padri Pellegrini, che giunsero nelle nuove terre, e il loro ringraziamento a Dio per il primo raccolto. Spero che si ritrovino nelle famiglie. davanti ai loro tacchini, lieti degli affetti e anche delle loro scelte. E per quelli che non fossero lieti della scelta, cosa posso dire? Cari amici d'oltreoceano che mi seguite, non mi resta che augurarvi buona fortuna, good luck my friends!
Vincent Van Gogh "Campi di grano" 1887
I giorni, che adesso sembrano risplendere di una luce dolce, di otto anni fa, quando si insediò alla guida del Paese più potente, un giovane uomo, un nero: un uomo di colore alla Presidenza degli Stati Uniti, di quel grandissimo territorio così variegato paesaggisticamente e sociologicamente da contenere in sé tutte le contraddizioni, nel bene e nel male, dell'intero pianeta. Un uomo di colore alla Presidenza di una Nazione che aveva vissuto il delirio del Ku Klux Klan, del razzismo esasperato e grottesco contro i neri e gli ispanici, che aveva conservato l'orgoglioso rifiuto delle minoranze etniche e religiose, che era ancora, profondamente avviluppato nelle spire di un puritanesimo reazionario e anacronistico. Paesaggi diversissimi, metropoli opulente e infinitamente povere al contempo, sterminate lande destinate alla vita dei meno fortunati, la provincia profonda percorsa da malesseri e ingiustizie antichi; i sobborghi ricchi e i ghetti miserabili. Tutto e il contrario di tutto. Mi era sembrato un segnale, un buon segno l'elezione di Obama, mi era sembrato che stesse per concludersi un periodo e che a quello ne sarebbe seguito un altro, ancora incerto ma promettente. Il cambiamento, quello auspicato, quello atteso. Non è stato così, ci sono stati errori, mancanze, delusioni. Ma il ricordo di quel giorno di novembre di otto anni fa mi sta dentro, una crisalide che poteva diventare farfalla, un battito d'ali che poteva diventare un volo verso il futuro.
Oggi c'è altro, c'è un uomo del passato che si metterà alla guida dell'immenso Paese e ci sono tutte le premesse perché chiuda le porte alla speranza di poter cambiare un poco, almeno in parte, questo pazzo mondo. Ma così hanno voluto e a me e ad altri resterà solo il ricordo di qualcosa che non è avvenuto.
Tra poco cadrà, come ogni anno, il Giorno del Ringraziamento, nel quale gli statunitensi ricordano i Padri Pellegrini, che giunsero nelle nuove terre, e il loro ringraziamento a Dio per il primo raccolto. Spero che si ritrovino nelle famiglie. davanti ai loro tacchini, lieti degli affetti e anche delle loro scelte. E per quelli che non fossero lieti della scelta, cosa posso dire? Cari amici d'oltreoceano che mi seguite, non mi resta che augurarvi buona fortuna, good luck my friends!
Vincent Van Gogh "Campi di grano" 1887
lunedì 7 novembre 2016
Nelle velate notti.
I ricordi del passato sono sentinelle, sono i guardaspalle che proteggono nei giorni difficili. Quando il cielo cala su di noi pesante e fosco, impietoso. Non ci sono vie di fuga, se non quelle indicate, con dolce fermezza, dai ricordi.
L’amore pazzo.
L’amore
affacciato agli occhi sta
Dentro
pupille fonde e buie di notti
Senza sogni
che non fossero anche i tuoi
Nelle piazze
antiche aspettavamo l’alba
E il vento
era molesto ma non importa
Non eravamo
soli a combatterlo era sconfitto
Dalle mani unite
sui capelli, i tuoi e i miei
Intricati di
sonno e di desideri pazzi
Pazzi
eravamo sulla soglia aperta a noi
Della vita
che serbava giochi di carte
E sfere
colorate fragili al tocco non credevamo.
Pazzi
eravamo nelle lunghe arrampicate in vetta
Pazzi bambini
volevamo essere gridando forte
Il nostro
amore e nessuno poteva ascoltarlo
Il nostro grido
era nascosto a tutti anche a noi.
Pazzi eravamo
nelle velate notti dell’amore pazzo.
Max Ernst "The Entire City" 1935
giovedì 3 novembre 2016
Non scendo agli Inferi.
Ciò che più mi lascia stupefatta è l'assoluta certezza di molti. L'inconfutabile, per loro, certezza di essere nel solco giusto, di trovarsi dalla parte corretta, di avere imboccato la via che, sicuramente, porta allo scopo. Che è, manco a dirlo, perfettamente aderente ai loro desideri - e a quelli di tutti - e alla giustezza delle cose. Senza che un insignificante dubbio gli morda la coscienza, senza che un microscopico tarlo gli rosicchi il cervello e l'anima. No, le loro convinzioni sono assertive, assiomatiche, non c'è spazio per il confronto, né per la discussione, con nessuno, neanche con se stessi, appunto. Come se avessero fatto tabula rasa di tutte le esperienze pregresse, di tutte le letture fatte (se le hanno fatte), di tutti gli incontri avuti durante il peregrinare perenne che è la vita. E i toni, poi, con cui esprimono la loro sicumera, sono un coacervo di furibonda risolutezza, di sprezzante acredine verso chi, al contrario, non ha le stesse idee, è esitante e crede nella forza del dubbio. Come me che del dubitare, con cautela e rispetto, ho fatto motivo del mio vivere. Il dubbio non come escamotage codardo per aggirare le scelte, ma come opportunità di ascolto, di confronto e di rispetto; il dubbio come forza a cui attingere, prima di precipitarsi per poi, magari, cadere.
So bene che non è l'atteggiamento che si richiede alla persona "vincente" e mai come oggi questo participio mi procura scontento e sgomento; so che si vuole il cambiamento, anche se non ho capito bene in che senso, e che deve avvenire in fretta, prima che sia troppo tardi - ma è già tardi, forse - e che il cambiamento deve essere preteso e che deve essere il popolo a pretenderlo. E qui si grida a gran voce alla democrazia, all'onestà, all'etica, in un boato assordante di voci sempre più esaltate, tanto da risvegliare i morti. Paradossale, grottesco il caso del redivivo Umberto Eco, per un inqualificabile, volgare errore di persona, tirato in ballo e ricoperto di invettive. E altrettanto paradossale e triviale che si azzannino le spoglie ancora calde di Tina Anselmi per ottenerne un consenso dall'Ade.
Tutto questo baccanale mentre la terra che calpestiamo continua inesorabile a rammentarci che è lei la più forte, che è lei ad avere la bilancia in mano o il filo delle Moire.
Io preferisco il mio cantuccio nebbioso dove ogni tanto penetra la luce fioca di un lumicino a rischiararmi e a confortarmi: i miei dubbi, aperti agli altri sono i compagni di viaggio che mi sono scelta. Per non scendere anche io agli Inferi della prosaica violenza che mi circonda.
Francis Bacon "Autoritratto" - 1971
So bene che non è l'atteggiamento che si richiede alla persona "vincente" e mai come oggi questo participio mi procura scontento e sgomento; so che si vuole il cambiamento, anche se non ho capito bene in che senso, e che deve avvenire in fretta, prima che sia troppo tardi - ma è già tardi, forse - e che il cambiamento deve essere preteso e che deve essere il popolo a pretenderlo. E qui si grida a gran voce alla democrazia, all'onestà, all'etica, in un boato assordante di voci sempre più esaltate, tanto da risvegliare i morti. Paradossale, grottesco il caso del redivivo Umberto Eco, per un inqualificabile, volgare errore di persona, tirato in ballo e ricoperto di invettive. E altrettanto paradossale e triviale che si azzannino le spoglie ancora calde di Tina Anselmi per ottenerne un consenso dall'Ade.
Tutto questo baccanale mentre la terra che calpestiamo continua inesorabile a rammentarci che è lei la più forte, che è lei ad avere la bilancia in mano o il filo delle Moire.
Io preferisco il mio cantuccio nebbioso dove ogni tanto penetra la luce fioca di un lumicino a rischiararmi e a confortarmi: i miei dubbi, aperti agli altri sono i compagni di viaggio che mi sono scelta. Per non scendere anche io agli Inferi della prosaica violenza che mi circonda.
Francis Bacon "Autoritratto" - 1971
Iscriviti a:
Post (Atom)