venerdì 6 luglio 2018

Ma anche io.

Avevo scelto. Avevo scelto di tenere per me le parole che mi erano divenute urgenti ed ero orgogliosa della mia scelta. Poi, oggi, mi arrivano altre parole. Di chi si dice tenace, di chi rivendica il proprio giudizio critico senza tempeste emotive, senza tiri al bersaglio. Con civile obbedienza al proprio ruolo di intellettuale, di nocchiero delle altrui opinioni. E dietro uno spontaneo coro di assensi. Anche il mio. Perché ognuno è in diritto di esprimersi come vuole, perché ognuno è libero di mettersi  come gli piace nei confronti del mondo e della società e quindi dei fatti, assumendo la posizione che più gli viene comoda.
Ma anche io, a maggior ragione io che non sposto niente, nessun pensiero, nessuna riflessione. Se non le mie, se non le mie ragioni che appartengono solo al mio cuore.

Per vivere ci vuole molto poco
si deve tirare il respiro
gonfiare i polmoni d’aria
Per camminare senza squarciarsi
i piedi macinati
scarpe ci vogliono, scarpe
anche di tela e gomma
Per allontanare il sole a picco
basterà un cappello
di cotone, di paglia
con la visiera se si è ragazzi
che amano lo sport
Se si ha sete ci vuole l’acqua
la birra e il vino e le altre
bevande rinfrescanti
sono un capriccio
di cui possiamo fare a meno
Se c’è fame basterà del pane
il riso e il latte per i più piccoli
le proteine verranno dopo
se ci sarà fortuna
se ci sarà un dopo
avremo anche la frutta della terra.
E per dormire?
Ci vorrebbe un tetto
 una capanna, un letto
di erba o di piume
non importa purché la schiena
si stenda tutta e ci sia il riposo.
Il lavoro dei campi delle zolle
rivoltate con le mani
non spaventa
la luna sorge enorme e
mette fine alla fatica-
Sta in quelle baracche la paura
Sta nel grido di dolore
delle nostre donne
Sta negli occhi chiusi dell’aguzzino.
In fondo poi c’è il mare.
che è felice madre
per chi è forte e sa nuotare-
Scintilla e brulica di ombre
sopra e sotto
e siamo ora stretti
abbracciando la fune che ci lega
“Il viaggio è lungo”  ci dice qualcuno
e la terra invece è di fronte
e si respira l’odore della morte.
Un’onda grande, un flusso bianco
nelle orbite aperte sbarrate
a guardare un’ultima volta
quell’infinito azzurro.


Vittorio Matteo Corcos  "Sogni" 1896 ca.





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