mercoledì 25 aprile 2018

Se guardo fuori

Ho ritrovato queste parole da me scritte qualche anno fa, E mi sono stupita, anche intristita e sul perché in questo caso, io dubbiosa e incerta per fede e per intima essenza, sono al contrario sicurissima: la cognizione dell'inesorabilità di ogni giorno, di ogni data, di ogni avvenimento che ci trascina, brutale, con sé.



Se guardo fuori

Mi inondavo di sole mi cadevano addosso
raggi obliqui
come lance spuntate e accoglienti
mi ci ficcavo dentro
correndo con scarpe che sollevavano
terra di lava nera
Il vestito volava tra le gambe
mi trascinava in un vortice di
fiori spariti dai ricordi
forse rossi o forse  azzurri
Portavo la treccia sulla spalla
era il mio fucile disarmato
che non avrebbe mai sparato
se non scintille al cuore
del mio amante
Ballavano assieme alle bandiere
la treccia e il cuore.
Ero allegra e cantavo
canzoni che non erano mie
erano d' altri uomini d' altre donne
Di tutti i ragazzi e le ragazze che
Avrei voluto incontrare risorti
Dalle mute lapidi.

Se guardo fuori mi viene incontro
la giovane che fui
nel sole a picco resta immobile
sorridendomi tace.
Vorrei che entrasse qui in questa casa
Ma l’ombra è fitta
E io m’oscuro.




Giacomo Balla "Ragazza che corre sul balcone"   1912




mercoledì 18 aprile 2018

Finché esiste

Torno alla memoria. Nella vita di ciascuno di noi tutto è riconducibile a questo oscuro e misterioso intreccio di cellule e altro di cui non si ha certezza, ed è la memoria. L'unico, universale viaggio che a tutti è concesso fare, a ritroso, il capitombolo, così lo chiamo da molto tempo. Tornare indietro, immergersi nel racconto che immagini e suoni e gesti rievocano incessantemente, senza tregua. Un caleidoscopio nella cui confusione cromatica è difficile districarsi, ci si fa strada a fatica, perché a un flash ne sussegue un altro, ancora più vivido, la visione ha contorni più netti. Citare il gioco delle scatole cinesi mi pare ovvio, ma è così: c'è sempre una più grande che ne richiama un'altra o viceversa. Un'alternanza di nuances, sfumature, incisioni, scorticature, che scaraventano il passato, la nostra storia, nel presente. Ci si scopre indifesi, spesso non si è ancora pronti, si è disarmati nell'affrontare quello che è stato, c'è tutta una vita, ci sono tante vite, tutte quelle che abbiamo vissuto e quelle di chi ha condiviso la nostra, le nostre. La vita non è una, piuttosto è sfaccettata, piuttosto è simile all'ovulo fecondato che si scinde in embrioni paralleli, gemellari. Difficile riacchiapparle nei ricordi, sguisciano via, si sovrappongono irridenti e dispettose, tutto è lontano, quasi si fosse perduto in uno spazio siderale spaventosamente ignoto. Sto cercando di riacciuffarlo, il mio passato, ed è un cammino irto di ostacoli, un cammino periglioso. Perché i miei occhi sono cambiati, perché la luce si è smorzata, perché la stanchezza è tanta, si è accumulata in una valigia piena di sassi da tirarsi dietro. Ma ci provo, continuo. Necessariamente, continuo. Forse rivedrò alcuni fatti e non ci sarà il raggio di sole a scaldarli; forse alcuni volti mi appariranno invecchiati, corrotti dal tempo e dalle mie esperienze. Certamente l'innocenza è perduta, ma la memoria, finché esiste, deve essere accudita con cura.


Bartolomé Esteban Murillo, Galiziane alla finestra, 1670, 


lunedì 9 aprile 2018

Inquietanti? Noi.

Mi si faceva notare ieri come sul Corriere venisse dato grande risalto alla vicenda di quella signora della Regione Trentino-Alto Adige, indagata per avere usato la legge 104 (benefici per l'assistenza in casa di anziani) al fine di poter trascorrere, con l'ignaro consenso dello Stato, allegre vacanze in esotiche località; e quante poche righe, sempre sulla stessa testata, si dedicassero a un blitz delle forze dell'ordine che ha assicurato alla Giustizia un pericoloso e latitante camorrista. Premesso che l'abitudine truffaldina e disonesta della signora è da perseguire secondo le leggi vigenti, trovo una notevole sperequazione nella maniera di dare rilievo alle due notizie.
E oggi leggo in un interessantissimo post quanto sia inquietante la presenza della Casaleggio nel M5s. Non voglio addentrarmi nella questione, non ne ho illuminanti conoscenze, solo molti dubbi e scarsissime certezze. Quello che mi colpisce è "l'inquietudine" che tale racconto riesce a provocare.
Ora, voglio dire: ma davvero sono queste le notizie inquietanti,  quindi, letteralmente, che dovrebbero e potrebbero toglierci la "quiete"? E allora il gas piovuto dal cielo su centinaia di inermi, a Douma in Siria? E il massacro che non si ferma, dei curdi, da parte di Erdogan? E il mai finito conflitto tra Israele e la Palestina, nella insanguinata striscia di Gaza? Non sono questi i fatti, continui, interminabili, che dovrebbero toglierci la serenità o quel che ne resta, o come cavolo la si vuole chiamare la nostra vita da occidentali smarriti e senza più discrimine? Perché è quello che abbiamo perduto, il discrimine, la capacità di discernere, di possedere criteri di giudizio, di dare peso e valore opportuni e congrui.
E non è colpa dei giornalisti, non è solo colpa dell'informazione (come suggerirebbero gli articoli citati sopra) il giornalismo, l'informazione - e mi riferisco a quella vera - fanno il loro mestiere, porgono al pubblico quello che il pubblico si aspetta, quello che vuole. Cavalcano le ondate, di volta in volta adeguandosi ai gusti-disgusti dell'opinione pubblica. Che si inquieta, si incazza della signora che fa le vacanze a sbafo e della Casaleggio o delle quadriglie e tarantelle dei politici. Ma non si inquieta del sangue e della morte lontani, non ci riguardano e, anche perché no? ci siamo abituati, a quelle guerre e a quelle morti.
In conclusione, rifletto.
Sì, provo inquietudine, la provo per me e per chi mi è caro, e per tutti. Perché siano noi ad averla assorbita l'inquietudine, siamo noi, con la nostra acquiescenza silenziosa e passiva e vagamente annoiata, a essere diventati inquietanti.


Mario Sironi  "L'idolo"  1955

mercoledì 4 aprile 2018

L'aprile che non c'è.

Dovrebbe essere primavera, aprile è entrato da poco e invece pare che si prolunghi un interminabile inverno, non particolarmente freddo nell'isola, ma senza slanci di nuovi profumi, senza tepori improvvisi, Come un brivido lungo che percorre il corpo anche se fuori c'è il sole. Una strana primavera, davvero strana. Com'è strampalato il mondo, sballottato, una pallina sul tavolo da ping pong in una partita senza fine e ansiosamente imprevedibile. Sobbalzi del cuore, sbalzi di umore. E la certezza che quell'aprile non tornerà.


L'aprile che non c'è.



Che tu non ci sia è una certezza nella nostra casa
la nostra casa era un’altra
e odorava d’aprile perché camminavi
scalza
sul pavimento di legno chiaro
e t’arricciavi il ricciolo al davanzale
leggendo il libro che ti piaceva
leggere col sole battente.
Che tu non ci sia è una certezza nella nostra casa
la nostra casa era un’altra
e s’avvampava dei tuoi scherzi
e dei tuoi bronci
nelle stanze entrando e cantando
le tue canzoni in inglese sciolto
e abbracciavi il mondo
urlando
se la tua squadra vinceva.
Era un aprile della nostra vita
era anche aprile di umori
conosciuti
a noi che mai eravamo soli
Era l’aprile percorso dall’aria
tiepida
come una brioche da addentare
era l’aprile delle notti
spalancate
ad aspettare il grido del chiù.

Il vento corre tra il limone e il mandarino
la zagara non ha  ancora
il cuore rosso
Tre nuvole in cielo hanno contorni umani
s’affacciano i vostri volti
d’un altro tempo.
Giro le spalle al giardino
ho freddo
e non è aprile.



Edward Hopper  "Night windows"  1928

















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