giovedì 26 dicembre 2013

Diario di Natale.

Finito il frastuono del cuore, memorie e ricordi archiviati, restano i piatti da riporre e le tovaglie rosse da appendere al sole che non c'è. L'odore del Natale resta ancora nelle stanze, permane un aroma di dolci burrosi e di cannella, stagna sulle larghe brattee dell'euforbia squillante, retaggio vivo della festa. L'abete (ecologico? e quando si dovrà smaltire, dove andrà, tra i rifiuti speciali?), scintilla inesorabile, almeno per un'altra settimana. Fino a che ci sarà lei, la mia ninfa bella e infedele. Infedele a me. Scapperà volando verso la città straniera che l'ha accolta con freddo affetto. E che lei, la mia ninfa, adesso ama. Io tornerò alla mia vita di sempre, fitta di finti impegni, fitta di letture e di scrittura inutile, reciterò la mia parte. E penserò a lei e aspetterò il prossimo aereo e il prossimo Natale. Intreccerò una ghirlanda con filo d'acciaio e bacche di mirtillo per incatenarla. O catturerò un pettirosso e lo chiuderò in gabbia. E lo libererò con lei e li vedrò volare via insieme.

Dal diario di Adele.


Il mio Natale

L’albero se ne sta
In salotto
Finto e brillante.
Non porta appeso
Niente di me.
Le sue sfere di vetro
Conservano il tuo
Codice genetico.
Le serberò con cura
Nella carta bianca.
In attesa di un altro
Natale con le tue
Mani che sfiorano
Le mie stanche.
Non farò auguri
Li voglio da te.
Non avrò doni
Da scartare
Li voglio da te.
Non ascolterò
Canti e preghiere
Sola senza di te.
E’ il mio modo
Di amarti, di darti

Il Natale.


Salvador Dalì   Natività acquerello 1964

giovedì 19 dicembre 2013

Il sale della Terra. I bambini.

Oggi  voglio pensare ai bambini. Idealmente a tutti i bambini della Terra. I bambini sono il sale di questo nostro pianeta, senza di loro ogni azione, ogni attesa sarebbe sprecata A loro regalo questa mia favola e anche se un po' lunga, potranno leggerla o potrete leggergliela voi, mamma papà nonni, poco alla volta.
Buon Natale piccoli e buon divertimento con Lalà.

                                La favola di Lalà.





C’era una volta in una città senza nome di un Paese senza nome, una bambina di nome Lalà. Strano nome direte e avete pure ragione, ma il fatto è che questo nomignolo le era stato dato dalla mamma a causa della curiosità che la piccola mostrava per ogni cosa: là, là guarda, là, là ho visto, là, là ho sentito…
Lalà, non avendo né fratelli né sorelle, stava spesso affacciata alla finestra della sua cameretta a guardare il cortile e gli altri bambini che erano lì sotto a giocare. Ma più dei suoi piccoli amici osservava il cielo, il grande albero che cresceva al centro del cortile, le aiole lungo i muri, la fontana che mandava un allegro suono di acqua saltellante. Quello che vedeva la incantava, era il paesaggio a cui era abituata, anche se con il passare dei mesi e degli anni (pochi in verità, perché era  piccina) si era accorta che qualcosa stava cambiando.
Il cielo si era sbiadito, da celeste era diventato grigiolino; l’albero era spelacchiato come la testa di un nonno e non c’erano più nidi di passeri e pettirossi tra i suoi rami; i fiori nelle aiole spuntavano magrolini e pallidi come se avessero una brutta influenza; e nella fontana l’acqua era torbida e non faceva più un buon profumo di montagna.
“No, no,” scuoteva i riccioli Lalàà, parlando ad alta voce con se stessa “ qui c’è qualcosa che non va. Bisogna pensarci bene, bisogna darsi da fare. Ed è inutile parlarne ai grandi, hanno sempre tante cose da fare! Nemmeno se ne accorgono! Corrono sempre di qua e di là come formiche. Però formiche stupide. Sì, non dovrei dirlo e neppure pensarlo, ma i grandi sono un po’ sciocchi e amano cose sciocche. Si arrabbiano e gridano per niente e non vedono più gli alberi e gli uccelli, non guardano il cielo. Che scemi!”
 Non ne parlava perciò con nessuno, neanche con la mamma, e andava a letto pensierosa e un poco, solo un poco però, triste.
 Un pomeriggio, la mamma le diede il permesso di scendere in cortile. Lalà lasciò il coniglietto bianco che non la abbandonava mai sul letto a riposare e si precipitò giù. Non trovò nessuno. Il cortile era vuoto e silenzioso, non c’era vento e neanche freddo. A dire il vero non c’era né caldo né fresco, proprio niente. Solo silenzio, niente fischi di passeri, niente fruscio di foglie. Ma già, quali foglie? Il vecchio albero ne conservava, ormai, alcune di un verde polveroso che parevano sul punto di staccarsi. Lalà sospirò e si diresse verso le aiole, avrebbe scavato fra le zolle di terra per trovare qualche vermetto o avrebbe ispezionato i fiori alla ricerca di una coccinella.  Neanche lì trovò qualcosa, i pochi fiori stavano a testa in giù, come se facessero fatica a sostenere il peso dei petali e la terra secca e  dura le si sbriciolò tra le dita, quasi graffiandola. Meglio lasciar perdere, non avrebbe trovato né vermetti né coccinelle. Camminando sulla pietra, saltello dopo saltello, arrivò al grande cancello che dava sulla via. Clang clang, wroom wroom, perepepepe perepepepe,  driiin driiin, bruum bruum  mille rumori le caddero addosso.  Lalà corse a rifugiarsi nel cortile, spaventata da quel baccano. Ma la curiosità era troppa e piano piano, a  passi cauti tornò sulla strada e quello che vide non le piacque per niente. La mamma le proibiva di andare per strada da sola e quando erano insieme le raccontava tante belle storie e alle domande di Lalà sulla sporcizia dei marciapiedi, sui sacchi di immondizie traboccanti, sulla puzza dei gas di scarico delle auto, rispondeva con una carezza, un sorriso non proprio grande, con una nuova storia di boschi e fiori e animaletti in libertà, tanto per distrarla. Ora Lalà era sola, senza la mamma e tutte quelle cose belle erano scomparse dentro al libro delle favole posato sullo scrittoio; al loro posto, gli occhi di Lalà vedevano solo spazzatura nei sacchi aperti da gatti affamati, cartacce svolazzanti al posto di rondini; e il nasetto annusava puzza di veleni di strega, invece che profumo di fiori.
Girò le spalle alla strada e rientrò nel cortile, avrebbe giocato, fino all’ora della merenda, con i pesci rossi nella vasca. Si sedette sul bordo e guardò tra le muffe verdi che ricoprivano l’acqua, la agitò con la mano: niente, nessun guizzo, nessun amico pesce, morbido e scivoloso da sfiorare. Allora comprese. Anche i pesci erano tornati nelle pagine dei libri, li avrebbe trovati lì, sorridenti e paffuti, pronti a raccontarle la loro storia. Risalì in casa e nei grandi occhi brillavano piccole stelle d’argento.


 Nel suo lettino Lalà dormiva con il coniglietto bianco, era stanca ma aveva fatto una certa fatica a chiudere gli occhi e la mamma aveva avuto un bel da fare, seduta accanto a lei, a leggerle una favola lunghissima. Ora il sonno era arrivato, leggero come piume di pulcino le accarezzava le palpebre chiuse. 
Lalà sogna una foresta di alberi forti e alti e uno spiazzo di erba costellata di fiori e farfalle in volo che si scontrano con piccoli uccelli verdi dal buffo cappellino. Uccelli verdi? Berrettino? E poi cosa è questo suono, chi bisbiglia vicino al letto? Lalà apre gli occhi, si mette a sedere stropicciandoli per cacciare via il sonno e aguzza lo sguardo nel buio dorato della sua stanza. Per fortuna la mamma le lascia sempre accesa una lucciola nell’angolo e là, sì, sì, accanto al lumicino, c’è qualcosa che si muove! Ma cos'è?  Uno scricciolo di bambino pare, una creatura minuscola che agita le mani in segno di saluto.
“Chi sei? Come sei entrato?  Ti ha fatto entrare la mia mamma?” chiede Lalà
“ Oh, no! Io vado ed entro dove voglio, sono bravissimo nel farlo e nessuno riesce ad accorgersi di me! Mi chiamo Fluff e sono uno… uno…”
“Uno cosa? Un elfo dei boschi? Uno gnomo no. No, non hai la barba! E allora, chi sei?”  
“Uno spiritello, ecco!  Io sono uno spiritello della Terra, della Regina Terra.”
Rispose finalmente, con tono d’importanza, il buffo esserino.
“E cosa vuoi da me? Non capisco. Mi svegli con i tuoi sospiri e non mi dici niente! E dai, non startene impalato nell’angolo, non ti mangio io, sai? Non aver paura, avvicinati. Io sono Lalà:”
A dire il vero, il cuore le batteva forte, ma non voleva dargli a vedere che un pizzico di paura in effetti lo provava. 
Lo spiritello inciampò nel tappeto di lana azzurra e per poco non finì addosso a Lalà: Tutti e due fecero un salto d'un metro e mezzo per lo spavento.
“ Ooops!!! Scuuusa! Ehm, dunque Lalà, io ho sentito, passando per caso qua vicino, che tu sei triste per tutto quello che succede di brutto nel mondo. E ho deciso di darti una mano. Ecco. Se lo vuoi, ma devi volerlo veramente, le cose potranno cambiare.”
Anche Lalà si era ripresa dalla fifa e ora lo ascoltava piena di interesse.
“Certo che lo voglio! Dimmi cosa devo fare, dimmelo ti prego, sono così felice e così curiosa!”
Fluff si era inerpicato sul lettino, era alto quanto il palmo della mano del papà di Lalà, e il berretto gli calava di continuo sugli occhi  facendolo sembrare più un fungo che un nanetto.
“Bene!  Tu devi solo VOLERE che il tuo desiderio si avveri e pensare con tutte le tue forze, con tutto il tuo cuore che anche gli altri bambini come te, più grandi e più piccoli, di qualunque colore abbiano la pelle, gli occhi, qualunque lingua parlino, siano anche loro come te desiderosi di vivere in un mondo diverso. I vostri cuori devono diventare un solo cuore, i vostri pensieri un solo pensiero. Al resto ci pensiamo noi! Perché non crederai che sono solo, io? - Pfui fischiò -  “Siamo moltissimi, siamo un esercito. Ma un esercito senza brutte armi.”
Lalà lo aveva ascoltato attenta e con gli occhi sgranati, la boccuccia era diventata una O così perfetta che la maestra  ne sarebbe stata orgogliosa.
“ Sì, va bene. Lo farò, sarò un solo cuore e un solo pensiero. Ci riuscirò, ci riuscirò, ci riuscirò…”
Gli occhi si richiudevano nel sonno, la lucciola nell’angolo illuminava appena il visetto serio tra i riccioli sul cuscino. Un lieve battito d’ali,un sussurro e Fluff vola via.

I folletti o gli spiritelli della Terra sono molto veloci, anche se spesso inciampano in un capello e ruzzolano giù dalle grondaie e dai comignoli perché sono distratti e curiosi. Così per l’appunto, anche Fluff si precipitò, un po’ volteggiando nel blu del cielo, un po’ scivolando pericolosamente giù per i fianchi dei monti, a cercare gli amici; e lasciandosi trasportare appeso alle nuvole e strillando a squarciagola, riuscì a raggiungerli tutti, o quasi. Soltanto Gronf non si presentò all’appuntamento che Fluff aveva dato presso la Stellapiùlucente, sì proprio con tutte le lettere attaccate. Ma già, di lui non ci si poteva fidare, era sempre l’ultimo ad arrivare, così cicciottello e svaporato.
In un batter d’occhio, Fluff ordinò ai compagni di fare e rifare in tondo  e girare e rigirare per tutto il mondo, di entrare in ogni casa, ogni capanna, ogni tenda, camper o qualunque cosa dove ci fosse un bambino o una bambina, meglio se più di uno. E che ogni folletto entrasse nei sogni dei bambini e li facesse sognare la stesso identico sogno: un unico cuore, enorme. Un unico pensiero d’amore per la Regina Terra.
Via! Via! Come piccolissime astronavi saettano i folletti e volano per il cielo e poi atterrano silenziosi ed entrano nei sogni di tutti i bambini. 
Nella notte buia, tra le stelle e la faccia sorridente della luna, un cuore si allarga, si allarga sempre di più, diventa talmente grande da riempire la volta celeste.
Pum pum pum fa il cuore e questo suono è più dolce di una ninna nanna.  
                                                                                                                                   Ed eccoli ancora in viaggio: che notte di stanchezza per i nostri folletti! Ora volano in alto, sfondano le nuvole e bussano al Castello di Maltempo. In verità hanno un po’ paura, gli abitanti non hanno un bel carattere, anzi alcuni sono proprio terribili. Ma coraggio, bisogna osare.
Il pesante portone si spalancò con un boato fragoroso, il Gran Ciambellano Tuono li accolse con un brontolio sinistro, mentre Saetta e Lampo, due Cavalieri secchi e nervosi, proprio due tipi elettrici, spingevano Fluff e gli altri spiritelli nella sala del trono. Finalmente, tra una scossa e un ruggito, i malcapitati folletti, alquanto malconci, giunsero davanti al Re Maltempo, talmente immenso che la testa si perdeva tra nuvoloni neri.
“Cosa volete dunque? Come osate entrare nel mio castello?” disse il Re con un vocione che scuoteva le mura e faceva roteare vorticosamente i lampadari di ghiaccio appesi al soffitto.
“Mio Re, Eccellentissimo Signore di tutta l’atmosfera! Umilmente mi presento, con i miei amici!  Sono Fluff il folletto inviato dalla Regina Terra per chiedervi una grazia, un favore, un…”
“ Bando alle ciance, so già ogni cosa! - lo interruppe il Re - e anche se mi disturbate non poco, non posso rifiutarmi di aiutare la mia cara amica. Tempi oscuri sono questi per lei e spesso anche per me! Vi confesso che anche io sono turbato da quello che avviene laggiù, mi rende inquieto e mi fa perdere la bussola, perdindirindina!” E il Re Maltempo emise un ruggito ancora più forte, così forte che un cristallo di ghiaccio si staccò dal lampadario e per poco non seppellì Fluff. 
“Oh! Mio magnifico e generoso Signore, allora accettate di venirle  in soccorso?” 
Fluff era in un brodo di giuggiole, cioè era felice nonostante il pericolo che aveva appena corso, e smaniava per l’impazienza.
“Certo, piccolo amico, ecco ora ti presento coloro che ti aiuteranno.”
A un cenno della mano di Re Maltempo, sbucarono dalle nuvole bianche, grigio chiaro, grigio quasi nero che arredavano la sala come tende drappeggiate ai finestroni, alcuni personaggi bizzarri e chiacchieroni. 
Il Re Maltempo fece le presentazioni, a ogni colpo del suo scettro di cristalli di ghiaccio apparivano, sfilando ordinatamente, i Cavalieri e le Nobili Dame di corte.

“Ecco la Signora Grandine, ehm… un po’ sovrappeso e  anche rumorosa ... Questa è Madame Neve, gelida e bella, non c’è che dire!
E ancora, Miss Nebbia, zitella- sorry- single inglese, svagatella e alquanto miope. La soave Signorina Pioggia, a volte sa essere veramente insistente, ma la riteniamo tutti un ottimo toccasana!
E ancora,  Messere Vento,  purtroppo soffre di attacchi di asma furiosa, poverino! E per chiudere vi concedo i Cavalieri Lampo e Saetta - dai quali è meglio stare alla larga, essendo sempre su di giri - accompagnati da Tuono, il mio amato  e brontolone Ciambellano. Se poi aveste bisogno di qualcosa di più… speciale, potrei offrirvi anche Ciclone e Bufera, ma sono tipi poco raccomandabili e non so se vi conviene averli appresso.”
Il Re concluse la presentazione dei suoi sudditi con un sospiro tanto profondo da squassare il tetto. E una cascata di batuffoli di nuvole lo ricoprì alla vista dei folletti.

                                                                               
 Le stelle si spensero una a una, la luna si nascose dietro a una grossa nuvola biancastra. Il cielo cominciò a rombare, pareva che migliaia di cannoni sparassero tutti insieme. Fulmini scoppiavano a zigzag nel nero della notte rischiando di incenerire i folletti che si erano riparati sotto gli alberi delle grandi foreste.
Pioggia, Grandine, Nebbia e Neve, precedute da Vento, si lanciarono a velocità supersonica giù verso la Terra, filando dritto verso i bersagli. Non toccavano niente nel loro furibondo cammino, le città e gli alberi, le capanne e le foreste rimanevano intatti a dormire nella notte. Muovendosi insieme come un gigantesco serpente raggiunsero i Palazzi dove gli Uomini Cattivi abitavano e il Cavaliere Vento con un potente soffio scardinò il portone e tutti insieme, penetrarono dentro con grande frastuono, dleng dleng, swish swish, uuuuh uuuuh, e acchiapparono gli Uomini Cattivi che, nell’udire quel fracasso di vetri rotti e porte divelte, scappavano di qua e di là, urlando e chiedendo pietà. E c’era il Signore delle Guerre che tentava di lanciare una bomba; l’Uomo delle Acque Inquinate che versava liquidi  puzzolenti; l’Uomo dei Pesticidi che spruzzava spray velenosi; l’Uomo dei Soldi che offriva grosse pepite d’oro; e infine, i piccoli, pasciuti Uomini del Potere che correvano gemendo, portandosi dietro la poltrona in cui erano stati seduti e da cui non riuscivano a disincagliarsi.
Una baraonda, un finimondo. Fino a quando l’ultimo di questi stupidi uomini non venne lanciato incontro al nero della notte. Roteavano vorticosamente, i cattivi uomini, su per la volta del cielo, proiettati dai poderosi calci nel sedere di Pioggia, Grandine, Nebbia, Neve e Vento. E Lampo e Saetta, marciando al ritmo della musica di Tuono, li accompagnavano verso la loro nuova dimora: la Stella Nera, l’unica stella invisibile del firmamento.
I folletti osservavano con il naso insù e strizzando gli occhi potevano vedere le fasi finali della battaglia. Nebbia, Grandine, Pioggia, Neve, Vento e Lampo e Saetta seguiti da Tuono e… Gronf??? Ma che ci faceva lui lassù? Neanche il tempo di scambiarsi un’occhiata esterrefatta che il suolo attorno a loro sobbalzò: Gronf era atterrato su una pianta di rovo e strofinandosi il culetto indolenzito, li fissava pieno di fierezza.
A volte i gesti di eroismo arrivano da quelli che riteniamo meno affidabili.

     
 Il cielo cominciava a tingersi di rosa acceso, quando un pettirosso si posò sul davanzale della finestra di Lalà e prese a fischiettare allegramente.

Lalà si stiracchiò a lungo, non aveva voglia di svegliarsi, ma quel cinguettio così insistente le fece spalancare gli occhi. Si sentiva un poco stanca, come dopo un brutto sogno, ma la curiosità era troppa. Infilò le ciabatte e lesta lesta andò a spalancare le ante della finestra.
Un raggio d’oro liquido e profumato la colpì in pieno viso. Strizzando gli occhi per la luce guardò in alto e vide un cielo di zaffiro splendente, con due o tre nuvolette vaporose, simili ad agnelli, che navigavano. Una miriade di rondini schiamazzava attorno alle grondaie dei tetti vicini in cerca di un posto dove fare il nido e abbassando gli occhi verso il cortile, le venne incontro l’albero tutto ammantato di verde. Nelle aiole i fiori esplodevano con i colori dell’arcobaleno, accarezzati da farfalle e coccinelle. L’acqua della fontana zampillava e Lalà sapeva che ora sarebbe stata fresca e odorosa di pulito.
La voce della mamma interruppe l’incanto;
“Lalà, piccola mia, come mai sei già in piedi? Stai male? Hai fatto un brutto sogno, forse?”
Lalà corse ad abbracciare la mamma e ridendo rispose:
“Oh no mamma, al contrario, ho fatto un sogno bellissimo!  Sto bene, sto benissimo. Vieni, mamma, siediti qui accanto a me sul letto. Ti voglio raccontare una storia.
E Lalà iniziò a raccontare.     



lunedì 16 dicembre 2013

Tra Facebook e Lawrence d'Arabia.

Capita di tutto nella vita, è risaputo. Capitano le cose buone e purtroppo le cattive. E te lo aspetti pure, lo metti in conto e vai avanti o torni indietro sui tuoi passi. Ti interroghi, ti chiedi dov'è che hai sbagliato, quando è che sei caduta; oppure ringrazi il cielo per l'improvviso e provvido regalo che ti ha elargito. Quello a cui invece non si è mai preparati e io non lo sono, lo confesso, è l'evento insipiente, stupido, che non ti suscita quasi nessuna emozione, ma che proprio per questo motivo ti sbalordisce. Capita di essere cancellati da Facebook. Va bene, direte voi, e che sarà mai! Giusto, niente di trascendentale, niente che possa renderti le notti insonni. Però, c'è un piccolissimo però, una macchiolina, un neo molesto. Quando chi ti ha cancellato è una persona a cui sei legata da affetto antico, allora sì, la prospettiva cambia, ti fai un lungo e periglioso esame di coscienza, ti autodenunci e ti processi: vuoi sapere il perché della condanna in contumacia, ti senti il timido Franz Kafka alle prese con un fantomatico tribunale. E indagando scopri che è perché sei come sei, perché dici quello che vuoi dire e lo dici con le parole che conosci; perché non ti accontenti della banalità della condiscendenza; perché non ami la menzogna; perché hai delle opinioni. Insomma perché nonostante tu sia una donna e per giunta in età (presunta) mentalmente pensionabile, tu osi avere un cervello. Magari non troppo ponderoso, magari non acutissimo. Ma sempre di cervello si tratta e non di gallina, ma di essere femminile. Bene, sono interdetta, anzi stupefatta. E anche un poco, ma solo un poco, delusa.
Capitano cose così sul web, miracoli del web! Poi capita anche di apprendere che se ne è andato il grande Peter O'Toole e ti rattristi, lo rivedi sul cavallo nel deserto, ne scorgi gli occhi celesti e il volto gentile e ironico e gli auguri buon viaggio Peter, buon viaggio Lawrence d'Arabia. E ti senti più sola senza quell'irlandese un po' pazzo di cui ti eri innamorata da ragazzina. Capitano tante cose nella vita, alcune sono insignificanti soffi d'aria. Altre sono dolcemente tristi, lontane tenerezze di un tempo.

mercoledì 11 dicembre 2013

Metto la scatola in soffitta.

Ѐ tempo di lasciarsi tutto alle spalle, di chiudere in una scatola recenti ansie e delusioni, infiocchettarla con un nastro rosso e oro di natalizie attese e riporla in soffitta. Nella soffitta della memoria, insieme alle tante scatole chiuse da anni e che, di tanto in tanto, vado a rovistare in cerca di un volto, di una frase, di un profumo.
Altri giorni si preparano, altri volti rivedremo presto, altre frasi accompagneranno lo scandire delle ore; nella casa solitamente silenziosa, si riverseranno benevole ondate di rumorosa allegria, le stanze risuoneranno di molti passi, le porte delle vuote camere si riapriranno, alla luce del giorno, con l'aroma del caffè e dei biscotti a forma di stella o di abete e sarà uno sciamare, ciabattando, di capelli arruffati e occhi dolci; la sera, quelle porte si richiuderanno discrete sui nostri sogni. Ci sarà il tempo per parlare, ci sarà l'attimo di guardarsi dentro tacendo; ci sarà il tempo per abbracciarsi prima di fuggire nuovamente in altre vite. Fuori tutto resterà immutato, oltre la cinta di mura che ci stringe. Ma quello sarà il mostro tempo, la nostra gioia e al dolore, allo smarrimento, all'ansia del dopo, penseremo in seguito, lo vivremo quando sarà il momento. 
Ora è tempo di essere meno soli, di provare a essere felici, per un attimo, per poche ore, per pochi giorni. 


Lucy MacGillis   -   La soffitta

domenica 8 dicembre 2013

In pieno marasma.

Ma dico, va bene che l'opposizione deve fare il suo mestiere, cioè quello di contrastare l'azione di Governo quando questa non soddisfa le istanze dell'elettorato di riferimento (lapalissiana presa per i fondelli), ma insomma un minimo di decoro, di dignità, di autodisciplina non guasterebbero. Anzi, si imporrebbero. E invece che succede? Succede che, udite, udite, due partiti o movimenti (il termine partito è ormai del tutto squalificante sinonimo di cloaca) stanno dalla stessa paste della barricata, strepitando perché si vada subito al voto e si determini l'impeachment della prima carica repubblicana. Ora, senza nulla togliere alla legittimità delle richieste (non entro nel merito), una domanda sorge spontanea, simile a una pratolina vezzosa nel mese di aprile: ma che ci fanno due "movimenti" all'apparenza così dissimili tra di loro, a battagliare alla baionetta, uniti contro un comune nemico? quale singolare affinità c'è tra la squisita signora Santanchè e il mite e goffo Crimi? Anche qui, l'arcano è assoluto. Anche perché, fino a pochi giorni fa, i pentastellati si assicuravano con vigore la debacle di Berlusconi, si appuntavano al viril petto la medaglia al valore per avere cacciato via dalle aule parlamentari il "delinquente" (parole loro)! E adesso si dimenano nella trincea assieme all'insolito alleato, sbraitando a squarciagola, con le narici frementi d'un rinnovato orgoglio. Tutto questo, mentre lo Stivale è percorso da rigurgiti di rabbia, da proteste, da azioni di rappresaglia, un marasma sociale ambiguo, illuminato solo dalla livida luce di chi mesta nel torbido. Ma questo è un discorso altro, ben più serio e pericoloso delle istanze di due partiti (pardon, ma è una vecchia abitudine) che vociferano. Stiamo a vedere, aspettiamo. Anche se la pazienza scalpita, anche se l'istinto provoca un prurito alle mani, anche se la gola duole per le parole taciute. Per civile educazione, per dignità, per una forse stupida, ostinata lealtà verso noi stessi e questo Paese. E non posso fare a meno di rimpiangere i miei calpestati ideali.

Giuseppe Pellizza da Volpedo     Il Quarto Stato   1901

giovedì 5 dicembre 2013

Espiazione collettiva.

La parola di oggi è espiazione. No, state tranquilli, non è per via dell'atmosfera natalizia che mi rende particolarmente incline al mea culpa o al desiderio di purificazione, no. Mi è tornato in mente un famoso libro di Ian McEwan, letto un bel po' di anni or sono e che già allora mi era sembrato appropriato ed estensibile, come concetto, alle nostre umanissime vigliaccherie e ai nostri errori più o meno cercati con puntiglioso volere. Ed espiazione è un termine inclusivo di ogni colpa, da quella veniale a quella mortale, tanto per citare la mia educazione religiosa, messa in soffitta da molto tempo. La parola mi è balzata incontro in questi giorni, con virulenza inaspettata, ascoltando e vedendo i nostri politici in affanno, alla sempre più disperata ricerca di convincere chi presta loro orecchio, che a tutto vi è rimedio, che le cose andranno meglio, che bisogna solo scegliere da che parte stare; insomma la continua, stucchevole campagna elettorale che non ha mai fine, nella canea delle aule del Parlamento (ieri e oggi insulti a destra e a manca); nelle televisioni ormai luogo di turbolenze che i meteorologi o i piloti di linea neanche si sognerebbero; sui quotidiani, anche essi siti di risse tra opposte fazioni e guai a capitare con il nevrastenico di turno, ti bastona con lapidarie e spesso incongrue (quando non illeggibili sintatticamente) risposte ai commenti che hai osato fare. E fino a pochi giorni fa, almeno eravamo certi di averlo un Parlamento, non il massimo, censurabile accozzaglia di individui d'ogni risma, ma un Parlamento c'era. E invece no, manco a dirsi: i giudici della Corte Costituzionale  hanno riconosciuto l'illegittimità. della legge elettorale meglio nota con il magnifico ed eloquente nome Porcellum. Ergo, tutti i signori e le signore che siedono comodamente nelle loro poltrone, sono degli abusivi, in quanto eletti, presumibilmente per legiferare, per mezzo di una legge incostituzionale. Bene lor signori, avanti per il prossimo giro! E intanto noi attendiamo il nostro, il giro di boa col vento in poppa o se volete il prossimo giro di roulette. Aspettiamo che le feste passino, si deve festeggiare il Natale e poi il Capodanno e anche la Befana, e dopo allora si vedrà, si discuterà, ci si accapiglierà, ci si insulterà ancora e forse, alla fine, avremo una legge elettorale, matterellum o porcellinum o un ibrido tra un matterello e un porcello. Sospiro di sollievo innalzerà i nostri apneici toraci. Dicono, promettono da tutte le parti che così sarà.
Nel frattempo, a proposito del tema che avevo scelto e che si è perso nei meandri della scrittura, propongo  ai nostri politici una solenne cerimonia di espiazione collettiva; ecco sì, potrebbero profittare delle meritate vacanze natalizie per purificarsi. Magari astenendosi dal partecipare nei salotti di Vespa, Floris, Santoro e di tutti gli altri che li inseguono; potrebbero astenersi dal farsi intervistare dai giornalisti delle prestigiose testate; ma soprattutto,  potrebbero astenersi per due settimane dal commettere quei peccatucci veniali che, magicamente, li porterebbero alla ribalta nuovamente. Non è chiedere troppo, in fin dei conti: i nostri politici e le nostre gentildonne della politica ne avrebbero un giovamento spirituale, espiando si monderebbero delle loro miserie. E  anche noi ci purificheremmo. Da loro.


Renato Guttuso  -  Il comizio  1962
 

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