martedì 27 gennaio 2015

Stupore.

C'è chi  vede, nelle parole di altri, la parabola della banalità più banale e si cimenta nell'esporre un decalogo, di sublime architettura linguistica, per svelarne la pochezza di intenti e la superficialità del sentimento; c'è chi se la prende con i talk show politici e non si capisce perché, i talk show contengono tutto e il contrario di ogni cosa, sono scatoloni da riempire di parole e di gesti e l'unico appeal che dovrebbero avere è la speranza che ci sia la libertà di poter dire quello che si vuole e che si pensa; c'è chi vince le elezioni in Grecia, dissotterrando la parola "solidarietà" e tutti giù il cappello, eccoli a spellarsi le mani negli applausi e a molti di questi non gliene frega niente della solidarietà, anzi sono stati proprio quelli che hanno celebrato, ben volentieri, il suo funerale; c'è chi, al contrario, non si spella le mani per la vittoria di Tsipras e lancia velate (neanche tanto) minacce e sono gli uomini fumodilondra, impettiti e devitalizzati come un dente, dell'Europa in cartamoneta.  C'è chi, per un motivo o per un altro, si stupisce. Ogni giorno, ogni ora, ogni momento, per qualcosa. Di minuscolo, come un pidocchio; di grande, come una moltitudine che gremisce le piazze.
C'è che oggi è il giorno della memoria collettiva e riguarderemo film e documentari sulla Shoah e saremo, ancora una volta, afferrati dalla commozione e dalla pietà e dallo stupore, anche noi. Perché, ancora oggi, a più di settant'anni da quei fatti, i nostri occhi si dilatano, come a voler contenere le immagini degli orrori patiti da uomini e donne e bambini; come a voler contenere, senza capire, tutta la bestialità feroce di chi quelle violenze immani ha inflitto. Commozione, pietà e stupore, sì. Per quello che è accaduto e per la nostra insipiente incapacità nel ricacciarlo, l'orrore della violenza, lontano da noi.  Stuporosamente stupidi.


Janes Ensor - L'intrigo 1890

mercoledì 21 gennaio 2015

Perché oggi?

Perché scrivere una riflessione sull'amicizia? Perché oggi, qual è l'impulso che mi sollecita a farlo? Forse una data che mi riporta indietro a liete tavolate rumorose, a libagioni con scintillanti brindisi;  che mi scaraventa indietro, alle nostre risate larghe e sbalordite di fronte alla cornucopia della vita che ci sommergeva di frutti succosi. Di giorni perfetti. O forse volevamo credere che fossero tali, ubriacandoli di vino rosso e di racconti fiabeschi. Come eravamo arguti, allegri, mai annoiati. Vivevamo così, sciaguratamente felici. Se dovessi immaginare noi, amici e amiche di un tempo, come dei segni ortografici, penserei a punti esclamativi! Niente punti interrogativi. Niente uncini che si afferrano alla mente (avete notato che il punto interrogativo ha la forma di un rotondo uncino?); solo slancio, iperbole, vertigine verso l'alto, come suggerisce il punto esclamativo. Eppure, venivamo da anni pesanti, piombo e bombe; avremmo dovuto avere meno sorrisi e più rughe sulla fronte. L'amicizia scaldava, era il viatico per dimenticare il resto, tutto quello che ci aggrediva da fuori; era lo scudo, un carapace dentro cui rannicchiarci. Poi, con gli anni che correvano come ghepardi nella savana; con la vita che girava come una trottola impazzita, fungendo da centrifuga, scagliandoci come schegge lontano, alcuni di noi sono cambiati. O forse, sono tornati a essere quelli di prima; senza più lo sfolgorante splendore della giovinezza hanno preso a scalare montagne, in solitaria inerpicata.
E l'amicizia è rimasta serrata nella memoria. Uno scrigno da aprire, ogni tanto, per rimirarne le preziose gemme fredde.
Non so perché oggi, forse da qualche parte nel mio cervello, intravedo il bagliore di un giorno, di una data. Oppure è l'inganno del tempo, ancora una volta. E non è nostalgia, non è rimpianto. Solamente la constatazione di essere un'altra, né migliore, né peggiore di quella di un tempo. Un'altra, che ha iniziato a scalare la sua montagna,  qualche volta volgendosi indietro per vedere se c'era qualcuno che le facesse compagnia, se c'era qualcuno disposto a percorrere  il sentiero in salita. E alcuni ci sono, pochissimi. Ansimanti, doloranti, stanchi. Ma che aria tersa, però qui, sulla cima.

Tamara de Lempicka  "Girls"   1927

martedì 13 gennaio 2015

Avec le temps

Ognuno ha un tempo, ognuno di noi c'è dentro. E una vecchia canzone francese mi ricorda che "tout s'en va" ed è bello o brutto, non so. Ma è così.

 Avec le temps

Poi se ne va, con il tic tac del galletto nero
Appeso in cucina, la sanguigna cresta
Diretta chissà dove, non verso di me.
Avec le temps il marciapiede scolora
Sotto il sole, gli alberi lanciano figli
Al cielo e coprono d’ombra verde il sangue.
Avec le temps, la giostra gira veloce fuori,
Io resto seduta nella cucina con il galletto nero,
con le dita spogliate e una canzone vecchia.
Avec le temps, lascerò il galletto nero appeso,
metterò l’anello d’oro e camminerò al sole,
senza paura volterò la testa alla notte scura.


venerdì 9 gennaio 2015

Anticonformista banale

La strage di Parigi, al di là delle riflessioni immediate che mi ha imposto quasi con violenza, me ne impone un'altra, di tono e forma più dimessi e meno drammatici. Nella malabolgia dei commenti, delle analisi, delle critiche che il fatto ha trascinato con sé, inequivocabilmente e ovviamente, spiccano alcune considerazioni interessanti. Alcune raffinate menti, perdutamente innamorate di filosofi e storici e romanzieri del passato (molti) e del presente (pochi); avvezze all'esegesi  più acuminata degli scritti di scrittori, di poeti e poetastri, di giornalisti e scribacchini; alcune di queste cristalline,  che dico! adamantine menti, si sono compiaciute di prendere le distanze, emotivamente, dalla tragedia. Scaraventando su coloro che, al contrario, avevano osato provare una partecipazione empatica, un sussulto di commozione, una briciola di umano spasimo, le taglienti stilettate delle loro frasi; e non si è salvato nessuno, tutti a cuocere nel calderone, come nelle vecchie vignette sui cannibali e sugli esploratori. Probabilmente, questi sagaci pensatori credono che sia banalmente ordinaria la risposta collettiva a certi fatti e io sono d'accordo con loro. Ci sono dei momenti nella nostra storia, personale e corale, che impongono la banalità di un commento, di un dolore condiviso, di un pianto: a un pugno nello stomaco, si reagisce piegandosi, è un gesto banale, ma lo si compie.
Quello che sfugge, però, ai succitati, squisiti, esimi cervelli,è che anche loro sono caduti nella trappola della banalità:con i loro commenti volutamente disincantati, con il loro fustigante sarcasmo, con la loro superiore visione degli eventi che non coincide mai con quella degli altri, non hanno saputo far altro che confermare le nostre aspettative. Prima ancora, infatti, di leggerli, sapevamo cosa ci avrebbero detto, a quali sottigliezze sarebbero ricorsi, conoscevamo già, a menadito, ogni sofisticata elucubrazione, ogni faticoso parto di altissima retorica al quale eravamo chiamati come spettatori. Banalmente, appunto, avevamo contezza del loro banalissimo anticonformismo verbale.

Michelangelo Merisi da Caravaggio - Scudo con testa di Medusa - 1597

giovedì 8 gennaio 2015

Volano in alto, irridenti.

C'è chi ha commentato "non ho parole, non le trovo". E invece no. Bisogna trovarle, bisogna averle le parole, per scandire con ferrea, ostinata fermezza l'attaccamento alle parole, alla loro molteplice diversità, alle loro sfumature più accese o meno intense; l'attaccamento alla loro libertà di prendere il volo, di adagiarsi nelle nuvole di un disegno satirico. Bisogna amarle le parole e la libertà che il pronunciarle ci dà, senza timore, senza pudori e remore. Senza ipocrisie.
L'uccisione dei vignettisti e giornalisti a Parigi è lo stendardo insanguinato della mediocrità e della conseguente schiavitù a un principio devastante del divino. Il piombo che stronca la mano che disegna, che ferma la mano che scrive. Nella loro follia, quei giovani terroristi credono di avere abbattuto i colpevoli di un'infamia, i bestemmiatori del loro Dio, convinti di avere abbattuto la parola e il potere dissacrante e irriverente che assume quando si prende gioco di chi si prostra alla violenza nel nome di una religione, qualunque essa sia. I giovani terroristi hanno ucciso inneggiando alla grandezza di Allah, ma non sanno che lo hanno reso piccolo e insignificante. Si è sempre, nel corso dei secoli, ucciso nel nome di qualche Dio e sempre lo si è rinnegato, lo si è reso miserevole e antidivino. Il sangue versato scorre bagna e intride la terra, non sale al Cielo. 
Mi piace pensare, come unico sostegno allo scoramento, che siano le parole e i disegni a salire verso l'alto, sopra gli ombrelli dei parigini affranti e impauriti, ben oltre i tetti d'ardesia, rincorrendosi sulla cima della Tour Eiffel, percorrendo les Champs e les avenues e les banlieues, liberi, variopinti, irridenti alla bestiale disumanità e ignoranza.

venerdì 2 gennaio 2015

Può essere.

Che bilancio fare del 2014? Non è per me, non ho un'attitudine matematica, sono con la testa spesso tra le stelle e le nuvole ( se il mio cielo è plumbeo ) e i numeri hanno regole talmente rigide che potrei spaccarmela, la testa. Certo, ho avuto anche io la mia bella dose di delusioni, un'ubriacatura da stroncare le gambe al bevitore più incallito, ma chi si può definire sobrio, oggi? Un anno, quello appena passato, che ha menato colpi a destra e a manca, sconquassando ulteriormente i già precari equilibri di questo nostro folle mondo, non ci ha fatto mancare niente, in effetti: le nuove pestilenze (l'Ebola); la crisi economica che infuria ancora (almeno in buona parte del globo; la ormai vecchia storia del clima che muta e le conseguenti devastazioni di territori e il conseguente immobilismo degli Stati; le immancabili guerre e gli esodi biblici di disperati in fuga; il riaccendersi dalle braci assopite delle scintille del terrorismo. Per non parlare delle quotidiane, estenuanti, nauseanti questioni della politica nazionale, scandali e scandaletti, corruzione dilagante da fare invidia alle esondazioni dei fiumi, truffe maxi e mini, mafia e camorra e 'ndrangheta stakanovisticamente all'opera. Ma, in fondo, niente di nuovo sotto il pallido, gelido sole di questo nuovo anno. Non ancore, per lo meno. Le speranze, un pochino ammaccate, però testarde, rimangono; i fievoli sogni pure e svolazzano alla ricerca di concretezza. L'augurio più bello, tenero come una fogliolina verde, di quelle che vengono fuori alla prima giornata di tepore dopo il freddo, mi è arrivato dalle parole di una bella e giovane donna a me molto cara. Poche, essenziali frasi che riscaldano come un ciocco che arde, frasi che dicono che la vita è meravigliosa se la scorgi riflessa nell'amore di chi ti è vicino; che è sufficiente una tazza di tè al mattino, preparata dal tuo amore, per renderti felice; che sono gli abbracci e gli sguardi dei tuoi figli a darti la forza di andare avanti; che la vista del cielo, azzurro smaltato o grigio pioggia non importa, ti fa volare; che un fiore, anche uno solo, il primo che sboccia, allarga il tuo sorriso. E la consapevolezza di esserci con gli altri e di agire e di lavorare e di amare e di essere amato/a. Quanto basta a dire, ma sì, ne vale la pena, la vita è meravigliosa. Può esserlo.

Vincent Van Gogh  Notte stellata sul Rodano  1888

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