mercoledì 30 ottobre 2013

Grazie ad Atena, ho spento il PC

La violenza mi sgomenta sempre. La violenza perpetrata da un branco di giovani su altri due ragazzi e uno dei due resta a terra, ferito a morte da calci e pugni. E non importa quale sia stato il movente che ha scatenato la furia della barbara orda, non c’è movente alla violenza. Il senso sta lì, nel corpo inerte del giovane italiano, nella sua vita spezzata.
La violenza mi spaventa sempre e non solo quella fisica. C’è anche quella delle parole, dei gesti negli stadi affollati di tifoserie urlanti slogan xenofobi; c’è nelle scuole e nei gruppetti di adolescenti e ragazzi che frequentano gli stessi luoghi e alcuni sono pronti all’insulto, già armati con parole al posto di bastoni o altro, pronti a colpire chi osi affacciarsi sul loro mondo di ignoranza e di miseria morale, pronti a dar guerra solo perché ritenuto “diverso” da loro, solo perché gay o di pelle più scura o di etnia sconosciuta. E poi la violenza verso le donne, avvertite da troppi, come oggetti da usare e buttare. Avvertite come usurpatrici di una secolare supremazia maschile, che non accetta il corpo femminile se non come merce, che non ammette il pensiero, la semplice e libera diversità dell’essere donna. E più la donna pensa e più si mostra indipendente dall’uomo e, paradossalmente, più se ne cerca il possesso e l’annientamento, anche fisico. Da parte di tanti, troppi.
Mi spaventa la violenza verbale, mi inquieta la volontà di non capire. La negazione del dialogo, il rifiuto della critica, come se questa fosse uno schiaffo o un pugno a cui rispondere con uno schiaffo o un pugno più forte, ignorando che la critica significa scelta, significa cernita ed è espressione di una libertà raggiunta. Ne ho fatto personale esperienza proprio ieri, sul web. Aggredita, insultata, dileggiata. Tentata anche io di fare altrettanto, ma Atena, amata dea della ragione, mi è stata buona consigliera. All’ignoranza, quando è accompagnata dall’arroganza e dalla violenza, non c’è rimedio, non ci sono parole adeguate. Meglio troncare, rassegnarsi al silenzio e lasciare spento il pc. Come è spento il cervello di chi usa la violenza, fisica o verbale che sia.  



Giorgio De Chirico -   Minerva (testa) con frutta   1973


domenica 27 ottobre 2013

Due cuori. Due cervelli.

Ci sono giorni in cui mi sento presa in contropiede. Ascolto parole che non hanno alcun senso per me, che mi lasciano inerte e senza risposta. Inattese più che altro. Dopo l'iniziale perplessità e anche una istintiva ripulsa, ci penso su, riavvolgo l'immaginario nastro di un immaginario registratore e le riascolto e mi appaiono per quello che sono. Parole. E hanno il potere di farmi ricordare, anche se non le condivido, di me. Di quella che sono stata e di quella che sono diventata oggi; ma anche della donna che è mia figlia e della ragazza che è stata. Ribelle, assetata di vita, incerta, incauta, coraggiosa e un poco folle. E curiosa ricercatrice della vita, sempre a seguirne la rotta e se c'era il pericolo di un naufragio, che venisse pure. Faceva parte del viaggio, era nel rischio. Ascoltando quelle parole ho visto me stessa e ho visto mia figlia. Così simili eppure così distanti. Allora ho scoperto di essere grata a quelle parole, che non sono le mie e che non condivido, perché mi hanno avvicinato a mia figlia, mi hanno alleviato una mancanza. Ho due cuori, ho due cervelli.

C’era un pettirosso o una cincia
Sul ramo più alto, vicino al cielo
Cantava in francese, la erre arrotata
C’era una bomba scoppiata nel sangue
Nella piazza affollata di stupore e sirene
C’era la musica e i fiori ballavano
Sulle nostre trecce arrabbiate
C’era l’amore nelle gonne esposte
Vessilli di guerra ai vecchi furtivi
C’era la folla e non c’era uno solo
A segnare la strada di  ferro e di seta.
C’era la mia e la loro gioventù
Che era la migliore e la peggiore.
Ma resta la mia gioventù ammuffita
Nei libri di storia, memorie corrose
La mia gioventù l’unica che ho.
L’unica che posso offrirti,mio cuore.



Gustav  Klimt     Le tre età della donna   1905

mercoledì 23 ottobre 2013

La morale e la falsa morale.

Certo è che l'Italia è uno strano, stranissimo paese. Da due settimane circa impazzano sui media di ogni genere (TV, quotidiani, social nel web) le mirabolanti imprese di Fazio-Brunetta-Maradona-Fazio-Fassina-Brunetta. Le dichiarazioni si moltiplicano, le interviste si ammassano, i distinguo e le indignazioni sgomitano per emergere dalla palude. Tutto un vociare, uno sbraitare, un gridare allo scandalo, all'offesa oltraggiosa, nani e ballerine tutti insieme avrebbe detto un onorevole della prima repubblica. E qual è poi il motivo di tale affannato contendere? Quali sono le recenti turpitudini che, ancora una volta, avrebbero macchiato l'italico onore? Un compenso ritenuto esosissimo e il gesto dell'ombrello. Come se di compensi esosissimi non fossero piene le tasche di molti manager pubblici e quelle dei troppi politici che assiepano il nostro Parlamento, le nostre Regioni e così via. Ora, che gli emolumenti o gli ingaggi destinati alle "star" televisive, sia nel servizio pubblico, ma anche in quello privato, siano esagerati, è un dato di fatto e occorrerebbe darci una sforbiciata. Ma è anche doveroso, mi pare, guardare alla qualità dei servizi resi e premiare il merito. Ed è innegabile che qualche merito, nella mercanzia televisiva offerta, Fazio e la sua trasmissione lo abbiano.
Poi, a tamburo battente, ecco scoppiare il caso  Maradona e del suo gestaccio. E anche qui i piagnistei si levano da tutte le parti, con una par condicio davvero magistrale. A me personalmente, di Maradona non importa nulla, non lo seguivo come calciatore, non lo seguo neanche adesso, tant'è che proprio quel gesto non l'ho visto, in diretta, perché avevo cambiato canale. E non provo neanche una particolare simpatia per l'uomo Maradona. Ma, dopo avere assistito, in differita, al fattaccio incriminato, sono certissima che non fosse intenzione dell'incauto e poco educato ex calciatore, di insultare gli onesti cittadini italiani che pagano le tasse. Mi è parso solo quello che è: un vaffanculo a tutto sì, a se stesso, al passato di errori e forse, anche a un certo perbenismo. Che poi Fazio dovesse prendere le distanze con piglio censorio ed energica indignazione, mi fa ridere. Ma io sono fatta così, perdonatemi, ho il viziaccio di indignarmi per altre cose. Lascio quindi tutta la collera e lo sdegno ai vari Brunetta e Fassina e a quant'altri ancora vorranno tuonare contro i due trasgressori dell'etica pubblica. Per me l'etica attiene ad altro, per me viene quotidianamente calpestata proprio da coloro che si ergono a paladini di questo Paese e delle sue Istituzioni. Per me l'etica viene uccisa quando si permette al nostro Paese di diventare vecchio e senza futuro, perché i giovani scappano; quando si nega aiuto ai disabili; quando si nega asilo ai profughi dalle guerre; quando si spendono i nostri soldi per armarci (contro chi?); quando si spendono i nostri soldi in opere inutilmente grandiose; quando si accetta che la corruzione sieda nei banchi del Parlamento. E molto altro ancora mi turba e mi sconforta. Il senso dell'etica è uno e non è possibile ammaestrarlo secondo gli interessi di questo o di quello.
Forse siamo condannati a questo, forse siamo proprio questo: il Paese che si indigna per il gesto dell'ombrello. Il Paese che, avendo perso la coscienza morale, sopperisce con quella, più elastica, della falsa coscienza morale.



René Magritte    La reproduction interdite  1937      

domenica 20 ottobre 2013

Anonymous, chi sei?

Ieri a Roma si è svolta una protesta pacifica. Un lungo corteo di varia umanità, giovani, vecchi, anche bambini, extracomunitari, tutti uniti da un comune sentire, la volontà di farsi ascoltare, di dare voce e visibilità allo scontento, alle ingiustizie sociali, ai diritti negati o rimossi con abilità magistrale dalla politica e da chi governa questo Paese. Un insieme grande di gente, con i colori accesi e gli slogan condivisi, una marcia sotto l'egida del dissenso tenace, ma non violento. Una marcia che è avvenuta in una città blindata, quasi deserta, che paventava esiti disastrosi e, forse, lo scorrere del sangue. Tutti a volto scoperto, alcuni giovani, previdenti, con il casco del motorino in testa, memori dei manganelli facili; tutti tranquilli o quasi. Se non si fossero materializzati tra loro, alcuni, non molti per fortuna, ragazzi con il volto coperto, listati a lutto, una ventina nei pressi del Ministero dell'Economia, con le maschere di Anonymous calate sul viso. E hanno urlato le parole della carica, hanno incitato alla violenza, hanno lanciato bombe carta, hanno appiccato il fuoco a cassonetti e infranto vetri. Ho assistito ad alcuni video amatoriali, o a qualcuno girato dai reporter e ne ho tratto, come in altri frangenti simili, la medesima impressione. Questi giovani travestiti da vendicatori, questi novelli e poco credibili Zorro di oggi, non incitano altri se non se stessi. Sono perfettamente consapevoli di non far parte della folla, di non avere niente a che spartire con le istanze degli altri: essi agiscono come "solisti" e non hanno bisogno del coro. Sono autonomi dal resto, gestiscono la violenza con lucida preparazione, obbedendo a un copione imparato a memoria. Io non so come facciano a eludere i controlli (che pare siano stati, almeno si sostiene, efficienti e capillari), non entro nel merito perché non mi compete, ma un dato di fatto c'è: questi pochi balordi minano la credibilità delle azioni pacifiche, anche se di protesta, della maggioranza che manifesta; ne rendono invisibile e insignificante il gesto. Chiunque, a distanza anche di pochi giorni, ricorderà infatti, i vetri rotti, le bombe carta, i cassonetti divelti e incendiati, gli slogan di pochi facinorosi mascherati che inneggiano " all'assedio."  Il resto del corteo, la stragrande maggioranza dei partecipanti scivoleranno silenziosi, senza più parole di civile protesta, nella nebbia del non ricordo. Della perdita della memoria..

mercoledì 16 ottobre 2013

L'oblio.E tu ridi.

La risata come libertà. La risata come ironia. La risata come gioia. La risata come oblio.

E tu ridi 2013


E ridi tu, ridi di notte
Piena di scuro sapore
Notte di scoperte bugie
Annidate nel ventre.
E ridi tu, ridi di giorno
Pieno di piatta luce
Giorno di perdute parole
Sepolte nel cuore.
Non hai carne né sangue
solo di ossa sparse sei
nelle labbra ridenti
negli occhi spenti
nei gesti assenti
da te stessa evocati.
 E tu ridi, ridi nel letto
sfatto di fiori secchi,
come memorie morte
le foglie dei tuoi occhi
nel nero foro ridono.


Edward Hopper  Summer interior 1909




lunedì 14 ottobre 2013

Nudo d'ipocrita.

Trovo stupefacente l’incapacità di molti a non capire. A non voler capire, meglio. Trovo stupefacente l’incapacità di ascoltare le ragioni dell’altro: trovo stupefacente  la negazione del dialogo. Esiste una viscerale, metabolizzata, compiuta impossibilità di parlare con l’altro. Si assiste ormai allo sproloquio con se stessi, si discute solo con se stessi, uno sbrodolarsi addosso di frasi compiaciute e di cui, spesso, si ignora il senso anche etimologico, ma tanto che importa, l’importante è parlare, parlare, parlare. Ma non dialogare, non accettare il confronto, quasi si temesse il luccichio di un pugnale, l’odore acre di un colpo di pistola. Allora si attacca, senza ragionare – ragionare implica, per molti, uno sforzo titanico – ci si scaglia in discorsi illogici, perdendosi dietro ai fantasmi delle personali paure o ansie. Oppure si tace, ed è la soluzione forse codarda, ma più riposante. A questo punto, entra sul proscenio di questa farsa, perché in fondo di commedia popolare si tratta, l’ipocrisia.
Quella dei sorrisi dai denti d’oro, quella dei gesti vuoti e delle parole distratte. O quella, la più odiosa, della condiscendenza, addirittura dell’ammirazione falsa, della sudditanza riottosa e mascherata con la stima e il rispetto. Ma l’ipocrisia non inganna se non anime semplici e  mansuete. Essa è visibile, brilla come un diamante falso tra gemme autentiche, il suo mantello è trasparente, di un tulle liso e sporco che non basta a coprire. E si rende manifesta, e diventa vulnerabile. Il velo grigio cade mollemente a terra, i sorrisi perdono i denti d’oro, i gesti vacui e le parole distratte si disperdono nell’aria, E l’ipocrita resta nudo, scoperto agli occhi. Solo che lui non lo sa.




Amedeo Modigliani    Nudo di donna seduta 1917

giovedì 10 ottobre 2013

Il pane del manipolatore.


Sto leggendo, sono alla fine, un bel romanzo di Roberto Cotroneo che parla della manipolazione che un libro, anzi un personaggio letterario e quindi fantastico, può operare nell’ esistenza di chi legge e anche nella vita dello stesso scrittore. Che le parole spesso abbiano il potere di manipolare persone e fatti è acclarato. Chi di noi non ha mai provato turbamento, smarrimento di sé nell’ascoltare o leggere determinate frasi? Penso sia capitato a molti, a me di sicuro, di percepire una scarica elettrica, un crac improvviso che fa vacillare certezze acquisite e innesca dubbi e angosce. Ma questa potrebbe essere una manipolazione involontaria, dovuta all’abilità stilistica, lessicale dello scrittore che, magari, tutto si aspetterebbe, fuorché di creare ansia e timore. O se lo fa, con dolo diciamo così, è per ottenere una rivoluzione del pensiero di chi lo legge.
Poi c’è la manipolazione che incontriamo lungo il cammino quotidiano, quella sovente impercettibile e insidiosa che penetra senza segnali apparenti, spesso travestita di buone intenzioni, spesso sorridente e affettuosa quasi, che si inchioda nel cervello e nel cuore dell’altro come uno stiletto acuminato. E non ci si accorge nemmeno del chiodo infisso, l’abilità della manipolazione sta nella sua elusività, in una vacuità di parole e di gesti o, al contrario, in un’apparente generosità. Questa è solitamente, la manipolazione alla quale ricorrono certi leader politici, i dittatori, in genere chi gode del potere economico e politico.

A fianco di questa che ovviamente coinvolge molte persone, c’è quella che si può avere la sfortuna di incontrare di faccia, ci si va a sbattere contro ed è un muro elastico che, dapprima, non dà traumi, non pare lasciare lividi. E invece senza capire, senza sentire il dolore – il dolore è positivo perché permette di vedere la ferita – ci lasciamo manipolare, cambiamo pelle come fossimo serpenti al tempo della muta, cambiamo opinione o vacilliamo, assumiamo un altro aspetto, quello voluto da chi ci manipola, da chi ci vuole “diverso”, altro da quello che siamo. Non ci sono ricette né cure, chi manipola sa bene dove guardare e a chi rivolgere le proprie attenzioni, la fragilità dell’animo umano, l’insicurezza, la paura di sé e della vita, sono il pane quotidiano di cui si nutre. L’unica arma per contrastare sta in questo, nell’attenzione verso se stessi, nel prendersi cura di sé con amore e rispetto, nella conoscenza e nella coscienza di sé. Allora, forse, la manipolazione dell’altro può trovare l’accesso sbarrato, può restare affamata. Vorrei che queste mie parole arrivassero a chi si sente di vivere una situazione simile, vorrei che si rendesse conto che la manipolazione è una forma di violenza, subdola e vile. E che non c'è amore né rispetto in essa. Ma solo la proterva volontà di annullamento.

martedì 8 ottobre 2013

Molestia

Si fa un gran parlare, e giustamente, di molestia. Molestia sessuale, molestia sul lavoro, molestia ai minori. E sono tutte sconce, hanno la forma di uno schizzo d'inchiostro, sono macchie dell'anima.
C'è poi la molestia dell'assillo, del pensiero ricorrente, del senso di colpa che non dà tregua e toglie respiro alla vita. La molestia che si vorrebbe annullare espiando.

Molestia 2013

Niente parole, solo silenzi
Dalle stanze invisibili dita
Traggono nella pioggia
Che continua a cadere.
Reclusa nel sogno insonne
Di un inverno straniero
La fronte di cera striata
Gli occhi vagheggiano
Immagini di gelidi corpi.
Prigioniera ancora
Senza memoria di sé
Un’ombra ti segue
Molesta la quiete
Che vorresti trovare.


Frida Kahlo   Il letto volante  1932 

sabato 5 ottobre 2013

Gli oggetti sono le loro parole.

Quando accadono fatti come quello di Lampedusa, le parole restano morte, non hanno vita. Qualunque commento risulta ovvio e inutile, l'orrore, la vergogna, l'indignazione restano segni meri sul bianco. Dovrebbero diventare altro, dovrebbero diventare segni indelebili nei nostri cervelli, cicatrici e ustioni nei nostri cuori. Invece si proclama un giorno di lutto nazionale, si dà voce a qualche politico "sconvolto e addolorato" e si aspetta la prossima tragedia del mare. Perché ne verranno altre, se l'atteggiamento etico, oltre che legislativo, non cambierà. Il web si è riempito di messaggi, tweet, commenti di dolore, rabbia, vergogna appunto; ma ha avuto anche il suo carico di cinismo, indifferenza, crudeltà, da parte dei soliti con la coscienza a brandelli, gli unici veri straccioni che abitano sotto il nostro cielo.
Quello che è stato un pugno in faccia per me, è non solo l'ammassarsi dei corpi anonimi nell'hangar dell' aeroporto, l'uno accanto all'altro coperti dai teloni, come oggetti di scarto;  il pugno in faccia più forte è stato quel galleggiare tra le onde di zaini, scarpe, coperte, il galleggiare di tutti quei "poveri stracci" come li ha definiti un cronista. Quei poveri stracci che erano la vita per quei morti.
Gli oggetti diventati parole, erano loro a raccontare da quelle bocche chiuse per sempre.
E continuavo a guardare quel mare, il mare della mia terra, le sue onde placide o furiose, il suo colore autunnale e non lo riconoscevo, mi appariva estraneo, nemico. Il mio mare mi sembra, oggi, un carnefice.


William Turner   Il naufragio  1805

martedì 1 ottobre 2013

Senza argini, senza bastioni.

Non c'è modo per cambiare il fluire del tempo, non c'è argine per impedire che straripi e inondi tutto ciò che nel tempo è. E non esiste un bastione per segregare il corso degli eventi, non esiste prigione, né reggia. Tutto va dove deve andare. A nulla valgono i nostri miti desideri, le nostre disilluse ambizioni, diventano ciottoli nell'alveo del fiume, si levigano, si assottigliano, si confondono gli uni con gli altri. Questo nostro tempo è un fiume rotto da rapide e cateratte, turbinoso ci trascina via e di noi restano tracce lente sulla rena, prima di scioglierci nel mare, alla foce finale.
Nella vita sociale e politica, come nel privato vivere quotidiano, lo sento questo scorrere rapido e impossibile da bloccare. Ogni cosa mi scivola via, si allontana da me, distante dalle mie inutili mani; ogni cosa si spezza frangendosi contro deserte spiagge. E io resto qui, in balìa del flusso, aggrappata a un unico sogno. Ma sono impotente. E da impotente prego ogni tanto, non so nemmeno io chi, e la seguo con gli occhi la mia preghiera, ma non riesce a salire verso il cielo o verso l'ignoto. mi resta nella gola, mi resta nelle viscere, si accampa nel cuore. Precipita con me nel tempo che vorticosamente danza.



La danse  1910  Henri Matisse

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