lunedì 26 ottobre 2015

Le parole non saranno cenere.

Qualcuno,  una volta, mi disse che solo un breve lembo d'acqua separa l'Isola dal resto del mondo. E non dovrebbe essere difficile superarlo questo tratto d'azzurro, ma non è così. Ci sono onde alte e Sirene che incantano e la Fata Morgana che illude. Il viaggio è lungo e periglioso e, alla fine, si rinuncia e si vuole tornare indietro. No, bisogna resistere, Ulisse lo ha fatto ed è approdato dove voleva approdare. Ma quella è una lunga, bellissima storia incantata.




Le parole non saranno cenere. 



 Strapperò le parole, cancellerò la polvere.
Cenere ne farò, 
nell’urna rossa le serberò,
cenere di farfalle prive d’ali, 
crisalidi vuote
non hanno foglie né petali da afferrare, 
dormono.
Ho sognato il giardino dell’Eden, 
ricco di cantid’uccelli 
sul melograno, 
un fitto tappeto fiorito
calpestano i miei piedi schizzati d’argento,
seduta presso la fonte 
mi disseto e mi sazio
Ma il giardino è infetto, 
il rivolo d’acqua è fiele,
bruna m’appare l’ombra del melograno,
m’oscuragli occhi. 
Tacciono gli usignoli, sibilano come il serpente
e mi negano il frutto 
dai denti d’opale ridenti.
Ritorno al mio mare che separa dal sogno, 
fluttuante
Utero di madre egoista, 
che non lascia scampo
ai suoi figli.  
Madre  sussurri  favole antiche
di vita e di morte, 
corifea della tragedia  incessante.
Non mi arrendo, 
continuo a liberarmi, 
scardino porte,
tolgo catene, taglio funi e legacci, 
salpo, mi salvo.
Stringo sul petto quell’urna, 
scaldo le ceneri e bruciano
non le disperdo. 
Non le disperdere, salpa anche tu,
vieni con me, salvati. 
Abbracciale al petto, serrale con pugni
d' acciaio, 
costruisci un letto per loro e cullale, 
come i tuoi figli.
Diventeranno parole, 
avranno il respiro del mondo.

Aldo Pecoraino - Barca




giovedì 22 ottobre 2015

Tutta colpa di una consonante.

La parola sulla quale appunto le mie riflessioni, oggi, è "pesantezza" o il più rapido participio - aggettivo "pesante". Superfluo darne la definizione, è ovviamente di pubblico dominio. Quello che mi interessa, piuttosto, è l'uso, quando non l'abuso, che se ne fa, in misura smisurata, tra i più giovani (ma neanche poi tanto).
Mi sono posta seriamente le domande: quando si è pesanti? in che modo si è pesanti? la pesantezza è un valore o, al contrario, un disvalore? E ho cercato di darmi delle risposte, appena appena plausibili.
La cultura condivisa dalla maggioranza delle persone appartiene ancora, nonostante le reiterate crisi e il decadimento di alcuni pilastri portanti, a una cultura fondamentalmente capitalistica ed edonistica, cultura egemone soprattutto nella seconda metà del secolo scorso che spronava all'individualismo e a una visione quanto più ottimistica del presente e del futuro. Da qui, il contraltare ad essa non poteva che essere rappresentato da una visione allargata, solidale e filantropica della società. Dall'osservazione delle reali condizioni di subalternità e di degrado, di povertà e di ingiustizia, era consequenziale una visione pessimistica del presente e del futuro, in specie comparando le "mancanze" dei più (povertà, degrado, ingiustizia, subalternità) alle "mancanze " di altri (corruzione diffusa, malversazioni, illegalità, clientelismo e non c'è fine a queste mancanze). Quindi, ancora oggi, vista l'escalation di siffatte manchevolezze, chi ne prende atto e, testardo come un mulo, rifiuta di assuefarsi a ruminare nella stessa greppia e non vede un presente e un immediato futuro ingentiliti da fasci di rose e di fiori, è catalogato e archiviato come "pesante" Cioè il tuo pessimismo è un onere per me, per noi che vogliamo vivere svolazzanti e felici, anche se ciechi. E la pesantezza presunta viene schivata come la peste - ricordate gli abitanti di Orano nel romanzo di Camus? - eludendo i problemi, continuando i traffici, le attività consolidate, gli svaghi che tanto roseo colorito regalano ai giorni. Chi, perciò, distoglie con un distinguo, con una puntualizzazione, anche con un fioretto intinto nell'ironia da quest'orgia di benessere fittizio , ma necessario, è "pesante".
E, per finire, è palese quanto venga giudicata un disvalore, la pesantezza. Addirittura viene, spesso, considerata una iettatura da cui guardarsi con gesti scaramantici più o meno triviali, quando non con oggetti (cornetti, ferri di cavallo, scarabei egizi, coccinelle ), quindi fornitevi del necessario se appartenete alla ponderosa cerchia dei "leggeri."
Se, invece, avete voglia di vedere le cose da un punto di vista un po' meno categorico, allora provate ad aggiungere una consonante alla parola pesante. Sì, avete fatto centro, viene fuori proprio questa qui: pensante.

Fernando Botero  "Danzatori"  2000

sabato 17 ottobre 2015

La paglia dal frumento.

Non è difficile, per me che li ho vissuti, ritrovarmi in altri luoghi, in altri periodi e starci bene. Accucciarmi nei ricordi di fumanti sogni che parevano sempre prossimi a realizzarsi, ma poi evaporavano, appunto, diventavano fumo; non è difficile, per me, avere gli occhi umidi se mi capita di sentire una canzone o di rivedere un film di quegli anni in cui certe canzoni cantate a squarciagola o sospirate di notte, certi film visti nelle sale nebbiose e brulicanti erano il riflesso delle nostre vite, affidate alle mani, alle parole, alle musiche di sapienti registi e menestrelli: ci accompagnavano sempre, erano i nostri cani da pastore, capaci di radunare il gregge con le note e con i fotogrammi. Non è difficile, per me, avvertire lo scalpitare del cuore nel riascoltare vecchi discorsi di uomini e donne, politici e poeti non importa,  che ci indicavano il passaggio, quella strettoia angusta da superare per arrivare all'infinito possibile. E mi rallegro quando, anche spesso, mi accade di scorgere sui volti di giovani donne e di giovani uomini di oggi, l'identico stupore carico di attese che avevamo noi. Mi rallegra, mi sorprende e mi rattrista anche.  Perché non è facile per loro che sono costretti a camminare tra le sozzure che gli abbiamo eretto intorno, mucchi di spazzatura, ciarpame, macerie, guerre e morti, foreste divelte, cicloni dei tropici e tempeste della finanza, non è facile per loro trovare lo stretto passaggio che li porti allo scoperto, incontro alla vita che vorrebbero conoscere e amare. Ma è questo l'ingrato compito che hanno, di provare e riprovare, di brancolare e tastare fin quando troveranno. E  io e quelli come me staremo a guardarli con affetto, con partecipazione. Magari gli offriremo un segno, una breve traccia, con una canzone, con un film, con le parole di un poeta morto.
Non possiamo fare altro, lo abbiamo negato a noi quell'infinito possibile, doniamo a loro la bellezza della nostra esperienza. Saranno loro a dividere la paglia dal frumento.

Vincent Van Gogh  " La mietitura "

martedì 13 ottobre 2015

Il profumo non è nella polvere.

La memoria inganna, porta a galla immagini fluttuanti, profumi scomposti, tramestii e sibili. Pochi giorni fa, ho ripensato al Teatro, reietto da me con la furia della giovinezza, negato come una colpa. Ma è bastata una parola e mi sono perduta, di nuovo annegata in quell'amore. No, non è l'odore della polvere che s'accumula nelle fessure del legno. E non è quello del sipario di velluto rosso, pizzicava il naso un miscuglio di tabacco impolverato e di mani sudate. L'eccitazione trasuda, s'incunea nelle pieghe flosce dei tessuti, svolazza tra i fari ardenti, cammina nelle strettoie tra le file, prende per mano il passante spettatore alla ricerca del suo posto caldo, nel conforto morbido del sedile di porpora. E tu vedi dalla feritoia tra i lembi accostati, l'immobile rosseggiare che prende vita, rinasce ogni sera, il taumaturgo lo riempie di vita.
E d'un tratto è buio fondo, annaspi col respiro corto, un'onda ti scaglia sull'impiantito che scrocchia come avessi chicchi di granturco sotto i piedi. C'è il silenzio frusciante della gente in attesa, quel silenzio ronzante e curioso d'ascoltarti. Sei sola, sei tu, sei la voce sei il corpo. Allora ti spogli, getti via la pelle e scopri i nervi e il sangue che corre veloce nelle arterie e pompa il cuore e bagna di rugiada il cervello. O memoria non tradirmi, non mancarmi mia anima, vieni su dalle viscere, pervadimi, sboccia.
Il buio si fa luce, sul volto cala la maschera, la voce erompe, gli occhi bistrati fissano altri volti e paiono di cera, dapprima. Un filo tenace si srotola da te e tocca i pallidi volti insù e li avvolge piano, li tiene avvinti.
La parola corre nello spazio addensato di ombre: che lo spettacolo abbia inizio!

venerdì 9 ottobre 2015

Oggi è una favola.

I Maestri  Cantori in cattedra. I Topi del Pifferaio Magico. I Tre Maiali(ni) fuori dalla porcilaia. Il Gatto che strizza l'occhio alla Volpe. Lucignolo e Pinocchio nel Paese dei Balocchi. Il Grillo saggio (quello vero però) che si sgola e nessuno lo ascolta. I Pollicino che non hanno più briciole per tracciare il sentiero verso un lavoro. E gli Orchi della guerra. E le innumerevoli Piccole Fiammiferaie, pronte a morire assiderate. Gli Hansel e le Gretel dagli occhi neri che errano per boschi stranieri e inospitali. Gli eterni Barbablu, quelli non mancheranno mai. E ancora i Lupi, ma non quelli quasi estinti dei nostri monti, che aspettano i Cappuccetto Rosso per divorarle in un sol boccone. E poi il Cacciatore che è stranamente vestito di bianco e non ha un fucile, solo parole. E gli Imperatori con i loro vestiti pomposi e inutili perché il Re ormai è nudo. Le Fate Cattive costruiscono arcolai e fabbricano insidiosi tranelli; mentre le Buone si slogano i polsi a furia di agitare la bacchetta magica, perché di magico non accade niente e il loro Bibidibobidibù è un canto delle sirene. Illude e attrae, ma presto svanisce sotto i colpi di scopa delle streghe. In ogni caso si contendono i nostri destini.
Alice è ancora in viaggio nel suo Paese delle Meraviglie, beata lei.
Peter Pan se ne sta nell'Isola che Non C'è, dove vorrei essere anche io, a dire il vero.
Oggi non avevo voglia di dire altro, ma forse qualcosa ho detto, chi vuol capire, intenderà.
 Che sbadata, non ho citato "Il Gigante egoista" di Oscar Wilde. Ma quella è una favola. 

domenica 4 ottobre 2015

Spleen d'ottobre

Si sa che l'autunno è stagione di malinconie. E di ricordi, la memoria scalpita, corre veloce, fa capriole all'indietro. Questo spleen autunnale si riflette nei colori e negli odori, la luce blanda, affettuosa delle giornate corte, il verde degli alberi che s'attenua, striandosi di giallo e di ruggine, il cielo che s'impolvera di una grigia schiera di nuvole; e gli odori, odori antichi, di terra molle d'acqua, un sentore scuro spezzato, qua e là, da altri odori, di frutti chiusi, noci e castagne, di melagrane ridenti, di uva. L'odore del mosto è un pizzicore impigliato nelle cellule olfattive, rimane lì da molti lustri. Da quando, bambina, entravo nel buio del palmento, e la capretta attaccata con una cordicella al chiodo davanti a quel luogo che mi pareva, allora, l'antro della Sibilla. C'era una vecchia su una seggiola impagliata, col fazzoletto nero, accanto alla capretta e stava muta, sorridendomi sdentata. Non ne ho mai saputo il nome, o forse l'ho dimenticato. Dentro brancolavo, a tentoni camminavo afferrandomi alla mano dei fratelli maggiori ed ero uno scricciolo, presso gli enormi tini. Alcuni giorni prima avevamo vendemmiato e dopo avevamo guardato gli uomini ballare sui raspi carichi di chicchi, pestavano e pestavano e io stavo con la testa insù, mi parevano un poco spaventosi i loro polpacci schizzati del sangue dei grappoli schiacciati. Uscivo all'aperto ed era una vertigine, credo di aver preso la mia prima ubriacatura allora, in quell'oscuro palmento.
In quegli stessi anni, o poco dopo, conobbi le sorelle Bronte e i loro libri. E iniziai il mio percorso di donna. Jane e Catherine mi resero complice della loro selvatica grazia, della loro bramosia di spezzare le catene.
Oggi, un amico mi ha ricordato, scrivendo un bellissimo pezzo su Jane Eyre, quel tempo. Mi ha ricordato quella che sono stata e che ancora, nonostante tutto, sono.

Pablo Picasso  "Margot la bevitrice d'assenzio"  1901

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