martedì 13 ottobre 2015

Il profumo non è nella polvere.

La memoria inganna, porta a galla immagini fluttuanti, profumi scomposti, tramestii e sibili. Pochi giorni fa, ho ripensato al Teatro, reietto da me con la furia della giovinezza, negato come una colpa. Ma è bastata una parola e mi sono perduta, di nuovo annegata in quell'amore. No, non è l'odore della polvere che s'accumula nelle fessure del legno. E non è quello del sipario di velluto rosso, pizzicava il naso un miscuglio di tabacco impolverato e di mani sudate. L'eccitazione trasuda, s'incunea nelle pieghe flosce dei tessuti, svolazza tra i fari ardenti, cammina nelle strettoie tra le file, prende per mano il passante spettatore alla ricerca del suo posto caldo, nel conforto morbido del sedile di porpora. E tu vedi dalla feritoia tra i lembi accostati, l'immobile rosseggiare che prende vita, rinasce ogni sera, il taumaturgo lo riempie di vita.
E d'un tratto è buio fondo, annaspi col respiro corto, un'onda ti scaglia sull'impiantito che scrocchia come avessi chicchi di granturco sotto i piedi. C'è il silenzio frusciante della gente in attesa, quel silenzio ronzante e curioso d'ascoltarti. Sei sola, sei tu, sei la voce sei il corpo. Allora ti spogli, getti via la pelle e scopri i nervi e il sangue che corre veloce nelle arterie e pompa il cuore e bagna di rugiada il cervello. O memoria non tradirmi, non mancarmi mia anima, vieni su dalle viscere, pervadimi, sboccia.
Il buio si fa luce, sul volto cala la maschera, la voce erompe, gli occhi bistrati fissano altri volti e paiono di cera, dapprima. Un filo tenace si srotola da te e tocca i pallidi volti insù e li avvolge piano, li tiene avvinti.
La parola corre nello spazio addensato di ombre: che lo spettacolo abbia inizio!

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