martedì 28 luglio 2015

Se le fiammelle.

Ma dove stiamo andando? Verso quale baratro di indecenza, di esecrabile malvagità, ci avviamo con dissennata fretta? La realtà che ci circonda appare, sempre più, un mostruoso polpo che tenta di abbrancarci, stritolandoci, con i suoi tentacoli. E noi lasciamo che l'orrido mostro ci corteggi, gli consentiamo di sfiorarci, cediamo al suo abbraccio mortale.
Questo che io, fantasiosamente, chiamo mostruoso polpo è, in effetti, un'involuzione del processo della crescita culturale e sociale che ogni popolo auspica ad avere. Un'imvoluzione non celata, bensì sfacciatamente esposta in una nudità laida e conturbante. Così, con vischioso strisciare, l'involuzione cattura il comune sentire, il pensiero generico e ovvio che ci aveva fin qui spinti: avevamo acquisito la certezza di avere alcune virtù, di possedere quella "scala di valori" sulla quale, faticosamente ci eravamo arrampicati nel corso di alcuni secoli. Ma i gradini si sono spezzati e siamo precipitati nuovamente nella palude infernale della rabbiosa barbarie. Xenofobia, razzismo,  la feroce misoginia, l'indistruttibile omofobia. prevaricazione, neo-schiavismo sono le nostre nuove virtù, abilmente protette dallo scudo di sedicenti fautori del trio Patria, Famiglia, Chiesa, parole che pronunciate insieme assumono, alle mie orecchie, un suono sinistro.
Di questi fautori selvaggi ne incontriamo, a ogni piè sospinto, ovunque. Nella vita di tutti i giorni, quella arrangiata per campare, come la precaria del call center - ecco un preclaro esempio di neo schiavismo ben protetto dalle vigenti leggi - che viene appellata da un "cliente" contattato perché moroso, come "puttana, vai a fare pompini"; o come il giovane e la giovane ( i casi sono due a me noti) che, dopo avere eseguito il proprio lavoro, si vedono negare il compenso, era tutto in nero, neanche a dirlo. E si potrebbe continuare all'infinito, sono solo quisquilie queste, ma danno colore all'affresco.
E nella cosiddetta esperienza del virtuale, è sufficiente farsi un giretto nei vari siti di quotidiani on-line e leggere un po' di commenti per farsi un'idea. Una guerra da ingaggiare, se osi contrastare le opinioni di chi (e sono in moltissimi) vorrebbe i migranti, se non eliminati fisicamente, abbandonati al mare o serrati nei treni - immagine terribile che richiama antichi orrori -; o di chi, di fronte a uno stupro, vomita il disprezzo sulla vittima e si chiede e chiede ad altri come lui "ma una così, non se l'è cercato?". E questa è solo un brevissimo florilegio di quello che appare ai nostri occhi, sempre più stupiti, sempre più offuscati.
Un signore, pochi giorni fa, mi scriveva "sono stanco, sono disilluso, non voglio più lottare, è tutto inutile". Sarei tentata di dire lo stesso, ma ho una fiammella dentro che brucia ancora e non voglio spegnerla. Vorrei vederne altre, vorrei vederle ardere tutte insieme queste fiammelle. Hanno dei nomi semplici, si chiamano gentilezza, amore, empatia, umanità, solidarietà. Sono le virtù che mi piacerebbe ci scortassero ancora.

Frida Kahlo  "La colonna spezzata"  1944

giovedì 23 luglio 2015

Voltare pagina.

E poi arriva il momento di voltare pagina, non ci si può fermare a quelle righe, non ci si può fermare a quell'attimo. L'immagine del libro che scorre sotto le nostre mani, sfogliato dalle nostre dita, è esattamente attinente a quello che si prova quando, come una folata di vento fresco in queste giornate infernali, ci arriva addosso la consapevolezza che tutto non sarà mai più come prima. Ci afferra una malinconia struggente, è vero, ci sentiamo scardinati, ma non possiamo far altro che accettare. E ricominciare. A volte, il passato decide per noi, si chiude dietro la porta con modi sgarbati, la sbatte violentemente dietro di sé e scompare. Scompare appunto, in fondo è un atto d'amore, un gesto generoso che ci consegna al presente e da qui al futuro. Qualcuno, forse una madre, forse una nonna, forse anche un grande scrittore, diceva che il passato e chi lo ha rappresentato con tanta forza per ciascuno di noi, resterà per sempre, vivrà in eterno nei ricordi. Ed è banalmente vero, è così. I ricordi continuano a emettere luci e suoni, continuano a parlare incessantemente e noi li accogliamo con un sorriso e una lacrima. Li mettiamo al riparo in una nicchia tutta per loro, dove, sappiamo, potremo sempre ritrovarli. Ma la vita è altrove, la vita corre sulla strada davanti a noi e ci invita e si gira a vedere se le stiamo dietro, non possiamo resisterle. Sarebbe da sciocchi, sarebbe deporre il fardello e fermarsi ad aspettare niente, perché negandoci al passaggio che il presente ci offre, non riavremo di certo il passato. Resteremo soli, sempre più soli, incerti e smarriti e negheremo a noi un altro passato, altri gesti, altri suoni, altre luci. Altri ricordi. Avremo un bagaglio esiguo da consegnare all'arrivo, striminzito e avaro. La generosità è anche riempire la nostra valigia, la regaleremo colma di noi agli altri che verranno.

JOEL MEYEROWITZ
 (New York, 6 March 193

sabato 18 luglio 2015

Un territorio ignoto.

Il dolore è una parte importante della nostra vita. Non si scappa da lui, è un segugio perfetto che riconosce l'usta del nostro passaggio e sa coglierci di sorpresa. Un ottimo cacciatore di prede, un crudele smembratore d'anime.
Ci sono dolori, però, che potrebbero apparire incomprensibili per molti, sono quelli che, da molti appunto, vengono definiti, dispiaceri. Piccoli eventi, momentanee interruzioni sgradevoli della nostra pedissequa esistenza, volti a turbarne, con il loro breve ed effimero agitare, l'ordine e la piattezza. E questo modo di percepire può avere un valore, se gli accidenti improvvisi che causano "dispiacere" sono eventi senza traumi, nei quali non vi è separazione, scomparsa, annullamento. Ma quando ci si trova a dovere affrontare una mancanza, l'assenza, di cui ho altre volte parlato, allora, secondo me, è più giusto che si parli di dolore. L'allontanarsi per sempre di un essere amato, perché è questo il centro attorno a cui gravita ogni altro sentire, la scomparsa dell'oggetto dell'amore, provoca una reazione di smarrimento di sé, di scombinamento, di perdita che si traducono in quel sublime moto dell'anima che è il dolore.  Il dolore afferra e trascina, portandoci con sé in un vortice di ricordi, di emozioni, di vita che non sarà più quella. Ed è anche un grande maestro, ferocemente educa. Alla comprensione di se stessi, a quella altrui, alla pietà, alla consolazione. Tentare di rendere razionale il dolore è cosa da folli, ma non da folli come canonicamente s'intende, ma da uomini e donne che hanno la pretesa di volere, tramite l'osannato lume della ragione, controllare ogni cosa, ogni impercettibile palpito, ogni brandello di lacerata e offuscata emotività. Ogni istinto alla pietas, quella pietas che ci dovrebbe distinguere dagli altri animali. Ma una recente esperienza mi ha insegnato - e lo sospettavo da tempo - che non è così, non sempre. Gli animali comprendono il dolore e hanno la saggezza del conforto; molti esseri umani,, i fautori della logica e del predominio razionale, non ci capiscono un accidenti, è un territorio ignoto nel quale hanno il terrore di addentrarsi.

Paris, Texas (1984) Wim Wenders

martedì 14 luglio 2015

Parole, parole.

Oggi, 14 luglio. La Storia bussa e rammenta a noi sordi.
14 luglio 1789, la presa della Bastiglia, la fiammata che incendia la Francia e dilaga in tutta Europa. La Rivoluzione di un ordinamento sociale, politico e religioso; lo scardinamento dei dogmi acquisiti nelle secolari schiavitù dei popoli, per sostituirli con altri : Libertè Egalitè Fraternitè. Che avevano tutta la volontà e la pulsione per diventare dogmi anch'essi. E, in parte, lo sono stati. In parte.
Sempre la memoria che è ubriaca, che si lascia ubriacare da chi sa mostrare la faccia feroce, ma anche accattivante, del più forte. Oltre due secoli ci separano da quella data e molte volte si è tentato di oscurare quelle parole. Ci hanno provato i più disparati regimi totalitari, nella madre Europa e in tutto il pianeta. Ci hanno provato con il terrore e con la fame, con le armi e con le stragi. Con le voci suadenti e insinuanti del liberismo più sfrontato e con quelle del comunismo vecchio e polveroso. Ci provano ancora, pur fregiandosene. Si imbellettano con queste parole, le pronunciano pure, con l'arrogante superiorità che gli scranni del potere economico e politico, loro concede. Ma sono parole vilipese e svuotate ormai del loro significato. Sono solo parole buttate ai popoli, perché siano ancora più ingannati senza avere coscienza di esserlo. 
Oggi si festeggerà in Francia, la sua grandeur si esalterà. Si ricorderà in Europa.
Ma quale Europa?

Jean Pierre Louis Houel  - Prise de la Bastille

giovedì 9 luglio 2015

Voglio andare in Meteora!

Difficile mettersi a riflettere, in estate. Il cervello è una bolla d'acqua calda; o un freppè rancido. D'estate non si dovrebbe pensare, si dovrebbe avere la possibilità di languire, inoperosamente e spudoratamente. Ma non pare che questa soluzione sia tra quelle previste e allora è necessario ricorrere a ogni molecola di energia ancora in circolo e cercare di andare avanti. Avanti, per quello che è concesso e verso dove, poi, non si sa. Almeno, per chi, come me, vive a latitudini semi tropicalizzate. E dunque, si fanno i conti con la realtà che urge e sbatacchia le porte, aggressiva e frenetica e ci si adegua, iniziando un infernale girotondo torrido di notizie, di parole, di proclami. Quest'estate la ricorderò, tra qualche anno, come l'estate "del siamo tutti bravi a fare gli economisti!" un'eccellenza inaspettata, riversatasi a fiotti (sempre roventi) da ogni media, e direi che al web tocca il trofeo della vittoria. Sulla Grecia si sono spese parole, fiumi? ma no, oceani! Ognuno di noi a pontificare, ognuno di noi a partorire, con parto naturalmente indolore, ché tanto mica siamo noi i Greci, ricette, programmi, progetti, percorsi, insomma una pletora di consigli, osservazioni, illazioni, dubbi che se fossi io greca, andrei a chiedere ospitalità in una meteora, la più recondita, (dovrei tramutarmi in uomo?) Eh, sì. sospesa tra le rocce, le braccia verso il cielo, volerei via con le aquile. E invece no, ho i piedi saldamente appoggiati all'asfalto che si squaglia sotto il sole e m'intrappola. Resto e partecipo. Tutti a elaborare, un laboratorio fumante di cervelli, tutti, per un verso o per l'altro, furenti.  Moltissimi gli strilli di terrore, moltissimi gli oracoli funesti, troppi gli insulti e i grugni duri. E intanto i vecchi Greci aspettano che si decida il loro fato. E i più giovani sperano, perché ai giovani gli dei dovrebbero essere benigni.
 Caspita! Ma non volevo parlare di Grecia, scusatemi. No, volevo parlarvi di noi, di me e di voi e della gente comune e di come ci siamo fatti infinocchiare da questa società pazza e sbilenca, senza entusiasmi, senza passioni, senza emozioni.
Mi guardo intorno e quello che vedo mi torce cuore e budella. Abbiamo perduto la strada, siamo soli, ognuno corre dietro alla propria testa, senza voltarsi a guardare gli altri, senza accorgersi se qualcuno, accanto a noi, è caduto e ha voglia di essere rialzato. Corriamo dietro alla nostra testa - ho in mente il personaggio di un libro di Oz - certi di percorrere la strada giusta. Solo perché è quella su cui ci troviamo, solo perché crediamo di possederne la proprietà. E ci rendiamo sicuri di noi stessi, ci gonfiamo il petto d'orgoglio, siamo forti, scevri dal dubbio, siamo equi,  siamo esattamente dove bisogna essere. E tutti gli altri? Non li vediamo neppure. O fingiamo di non vederli. O, peggio, fingiamo di vederli e di accompagnarci a loro. Nel brusio delle nostre parole, nelle ciance ipocrite che non hanno lo stigma del conforto, ma del giudizio. Vi siete mai chiesti quante volte dietro a una frase che parrebbe essere di consolazione, non si celi, al contrario, un inequivocabile, spietato giudizio? Ecco, era su questo che volevo riflettere. Ma mi sono persa nel caldo. Ci tornerò, ci sono momenti della vita in cui bisogna fermarsi e  dire: ora basta.


Agias Varvaras Roussanou

sabato 4 luglio 2015

Le assenze.

Capita di svegliarsi prima che l'alba schiarisca il nero della notte. Capita a tutti, almeno una volta nella vita. E, alla coscienza ancora nel vischio del sonno non risuona nessun'eco di sogni. Poi, nella silenziosa ombra arrivano, lancinanti, ricordi che hanno volti e corpi. E non svaniscono finché la sfera rossa taglia il filo teso a oriente. Allora è un attimo e tornano le assenze.

Le assenze 2013

Nella casa rosicata dal tempo
eravamo appesi alle mani dei genitori,
senza sapere altro se non il gioco ridente
e il girotondo alla faccia seria della vecchiaia,
era la nostra la faccia allegra della casa sgretolata.
Senza sapere altro, se non la nostra presenza
assordante a scardinare porte, barriere erette
agli spazi oscuri  dei bambini,
con gli occhi incerti aspettavamo gli ignoti alfieri
bardati alla festosa mensa della futura vita.
Non arrivarono su cavalli, né su carri agghindati,
erano a piedi e si posero davanti a noi,
segreti muri da scalare, caddero i calcinacci,
rovinò su noi il tetto della casa, le mani appese
a noi ritrassero le dita, diafane divennero.
I muri  stolidamente fissi non vacillarono,
crebbero, mattone su mattone, pazienti maestranze
a cingere tutte le nostre assenze, silenti spettri
del passato feroce, e irridente ci strizza  l’occhio
freddo e asciutto di lacrime, dei morsi al cuore privo.
E nuove assenze si aggiungeranno alle macerie antiche,
nuovi tetti crolleranno e i muri resteranno saldi,
tacite sentinelle, i celati rimpianti a custodire,
ci chiuderanno con possenti braccia di pietra
nell’abbraccio senza fuga,  inermi e stolti,  cosa saremo.

Edvard Munch, Melanconia, 1894-96





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