giovedì 9 luglio 2015

Voglio andare in Meteora!

Difficile mettersi a riflettere, in estate. Il cervello è una bolla d'acqua calda; o un freppè rancido. D'estate non si dovrebbe pensare, si dovrebbe avere la possibilità di languire, inoperosamente e spudoratamente. Ma non pare che questa soluzione sia tra quelle previste e allora è necessario ricorrere a ogni molecola di energia ancora in circolo e cercare di andare avanti. Avanti, per quello che è concesso e verso dove, poi, non si sa. Almeno, per chi, come me, vive a latitudini semi tropicalizzate. E dunque, si fanno i conti con la realtà che urge e sbatacchia le porte, aggressiva e frenetica e ci si adegua, iniziando un infernale girotondo torrido di notizie, di parole, di proclami. Quest'estate la ricorderò, tra qualche anno, come l'estate "del siamo tutti bravi a fare gli economisti!" un'eccellenza inaspettata, riversatasi a fiotti (sempre roventi) da ogni media, e direi che al web tocca il trofeo della vittoria. Sulla Grecia si sono spese parole, fiumi? ma no, oceani! Ognuno di noi a pontificare, ognuno di noi a partorire, con parto naturalmente indolore, ché tanto mica siamo noi i Greci, ricette, programmi, progetti, percorsi, insomma una pletora di consigli, osservazioni, illazioni, dubbi che se fossi io greca, andrei a chiedere ospitalità in una meteora, la più recondita, (dovrei tramutarmi in uomo?) Eh, sì. sospesa tra le rocce, le braccia verso il cielo, volerei via con le aquile. E invece no, ho i piedi saldamente appoggiati all'asfalto che si squaglia sotto il sole e m'intrappola. Resto e partecipo. Tutti a elaborare, un laboratorio fumante di cervelli, tutti, per un verso o per l'altro, furenti.  Moltissimi gli strilli di terrore, moltissimi gli oracoli funesti, troppi gli insulti e i grugni duri. E intanto i vecchi Greci aspettano che si decida il loro fato. E i più giovani sperano, perché ai giovani gli dei dovrebbero essere benigni.
 Caspita! Ma non volevo parlare di Grecia, scusatemi. No, volevo parlarvi di noi, di me e di voi e della gente comune e di come ci siamo fatti infinocchiare da questa società pazza e sbilenca, senza entusiasmi, senza passioni, senza emozioni.
Mi guardo intorno e quello che vedo mi torce cuore e budella. Abbiamo perduto la strada, siamo soli, ognuno corre dietro alla propria testa, senza voltarsi a guardare gli altri, senza accorgersi se qualcuno, accanto a noi, è caduto e ha voglia di essere rialzato. Corriamo dietro alla nostra testa - ho in mente il personaggio di un libro di Oz - certi di percorrere la strada giusta. Solo perché è quella su cui ci troviamo, solo perché crediamo di possederne la proprietà. E ci rendiamo sicuri di noi stessi, ci gonfiamo il petto d'orgoglio, siamo forti, scevri dal dubbio, siamo equi,  siamo esattamente dove bisogna essere. E tutti gli altri? Non li vediamo neppure. O fingiamo di non vederli. O, peggio, fingiamo di vederli e di accompagnarci a loro. Nel brusio delle nostre parole, nelle ciance ipocrite che non hanno lo stigma del conforto, ma del giudizio. Vi siete mai chiesti quante volte dietro a una frase che parrebbe essere di consolazione, non si celi, al contrario, un inequivocabile, spietato giudizio? Ecco, era su questo che volevo riflettere. Ma mi sono persa nel caldo. Ci tornerò, ci sono momenti della vita in cui bisogna fermarsi e  dire: ora basta.


Agias Varvaras Roussanou

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