domenica 27 ottobre 2013

Due cuori. Due cervelli.

Ci sono giorni in cui mi sento presa in contropiede. Ascolto parole che non hanno alcun senso per me, che mi lasciano inerte e senza risposta. Inattese più che altro. Dopo l'iniziale perplessità e anche una istintiva ripulsa, ci penso su, riavvolgo l'immaginario nastro di un immaginario registratore e le riascolto e mi appaiono per quello che sono. Parole. E hanno il potere di farmi ricordare, anche se non le condivido, di me. Di quella che sono stata e di quella che sono diventata oggi; ma anche della donna che è mia figlia e della ragazza che è stata. Ribelle, assetata di vita, incerta, incauta, coraggiosa e un poco folle. E curiosa ricercatrice della vita, sempre a seguirne la rotta e se c'era il pericolo di un naufragio, che venisse pure. Faceva parte del viaggio, era nel rischio. Ascoltando quelle parole ho visto me stessa e ho visto mia figlia. Così simili eppure così distanti. Allora ho scoperto di essere grata a quelle parole, che non sono le mie e che non condivido, perché mi hanno avvicinato a mia figlia, mi hanno alleviato una mancanza. Ho due cuori, ho due cervelli.

C’era un pettirosso o una cincia
Sul ramo più alto, vicino al cielo
Cantava in francese, la erre arrotata
C’era una bomba scoppiata nel sangue
Nella piazza affollata di stupore e sirene
C’era la musica e i fiori ballavano
Sulle nostre trecce arrabbiate
C’era l’amore nelle gonne esposte
Vessilli di guerra ai vecchi furtivi
C’era la folla e non c’era uno solo
A segnare la strada di  ferro e di seta.
C’era la mia e la loro gioventù
Che era la migliore e la peggiore.
Ma resta la mia gioventù ammuffita
Nei libri di storia, memorie corrose
La mia gioventù l’unica che ho.
L’unica che posso offrirti,mio cuore.



Gustav  Klimt     Le tre età della donna   1905

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