lunedì 28 aprile 2014

La cesura.

Poi di colpo ogni cosa prende forma. Ogni parola detta, ogni movimento del corpo, ogni cenno delle mani, ogni tremito della bocca. Come il flash di una vecchia macchina fotografica, talmente accecante da riprodurre le espressioni fisse e stupite dei nostri nonni, la realtà circostante si illumina. I coni d'ombra magicamente si dileguano, il bianco e il nero sono i non colori netti che determinano gli oggetti e i pensieri. Lo si percepisce in ogni singola molecola di questo nostro corpo, nella carne viva, che la verità è chiara, è venuta alla luce. I pensieri circolano nelle nostre vene, si mescolano al sangue, si coagulano nel cuore, sotto lo sterno. Un grumo dolente, ma la verità non è mai senza sofferenza. La impone, la offre nell'amaro calice che prima o poi tutti assaporiamo.
E non deve spaventarci, non deve essere allontanata o reietta nella solitudine. Va accolta come la figlia perduta e poi ritrovata, perché noi stessi ci eravamo perduti, voltandole le spalle, e poi ci siamo ritrovati.
Penso alle nostre vite, bolle di sapone fragili e trasparenti. Penso alla paura di toccarsi, come se il contatto potesse diventare una contaminazione. Penso ai silenzi nelle nostre case operose di quotidiane banalità;  penso ai silenzi dell'anima che restano tali, fino a quando non avviene la cesura. Il trauma della verità. Penso ai sotterfugi e alle menzogne per negarle la vita e non sappiamo che neghiamo la vita a noi stessi.
Un amico mi ripete spesso che le parole possono essere pietre che feriscono, ma dopo si tramutano in mani carezzevoli. Le parole, mi esorta, sono fonte di dolore. Ma danno anche la guarigione.
Vorrei parole di verità, vorrei ascoltarle, vorrei imparare a dirle anche io.


Dora Maar  -   1930 ca.  fotomontaggio

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