sabato 8 ottobre 2016

Ogni tanto: shit!

Ho letto un articolo su "Il manifesto" nel quale l'autore si occupa di un saggio di Sherry Turkle " La conversazione necessaria" , edito da Einaudi e bel tomo impegnativo. L'autrice, come in passato, mette sotto la lente del  microscopio il mondo della connessione virtuale. Interessante, ma non starò qui a parlarne, Però mi offre lo spunto per riflettere sul dialogo, sulle conversazioni, sui post e in definitiva su quello che dalla frequentazione del web ne ho tratto o intuito.
Negli ultimi tempi, forse a causa di una mia particolare sensibilità acuitasi sotto il peso delle esperienze fatte in rete, mi sono resa conto di quanto difficile sia mantenere un equilibrio decente tra le pulsioni empatiche e il senso critico che, ci si augura, dovremmo continuare a coltivare per non essere assimilati e fagocitati dalle fauci dei "mi piace".
L'incantesimo della tastiera e dello schermo ci induce spesso a depositare i nostri giudizi, le nostre sensibilità, le nostre stesse esperienze di vita reale, nelle parole di altri che, per motivi di appartenenza a un determinato status sociale, culturale o politico, ci appaiono più degnamente rappresentativi di quanto potremmo essere noi stessi.  E la scelta di questi emergenti tra noi, di condividere "con noi" i loro pensieri, le loro riflessioni, i loro giudizi, ci dà un senso di appartenenza a qualcosa che, altrimenti, non ci sarebbe data.
Sovente però, ci si accorge, ed è il mio caso ed è un bene, che l'incantesimo ha un costo: tende ad annullare la personale percezione della realtà, rende tremolanti i  criteri di giudizio, tende, senza dolo forse o forse no, a creare una massa indefinita di consenso.
Mi è capitato il caso di una persona giovane e abbastanza fragile che, addirittura, ha iniziato a scrivere i suoi post, in maniera diversa, utilizzando uno stile, un lessico, un ritmo che non è il suo. Sacrificando, quindi, all'irrealtà di una frequentazione fittizia, la  reale condizione umana, la  spontaneità, il proprio essere "così come sono".
Facile ricordare, a questo punto, le parole di Umberto Eco,  il web come spazio che dà voce agli "imbecilli". In un modo o nell'altro lo siamo stati tutti, almeno una volta, imbecilli sul web, è vero. Ma tutti abbiamo puntato e puntiamo ancora il dito contro gli altri, l'imbecille è sempre l'altro, è una certezza, è fuor di dubbio. E più si ottiene, facilmente, l'approvazione e più ci si convince della propria non imbecillità. Se solo riuscissimo a ridere di noi e delle nostre altissime frasi, dei nostri orpelli retorici, della nostra sapienza, avremmo molte più chance di non esserlo. Un soffio di vereconda modestia non guasterebbe, come quella che ombreggiava gli occhi delle dolci madonne trecentesche.
Bene, ho finito di riflettere, è tardi, fuori è calata definitivamente la notte ed è tempo di riposo e di sogni.
Come salvaguardarsi? Non ho la bacchetta magica, né la ricetta, mi pare ovvio. Posso dirvi come mi comporto io, sempre che vi interessi e se così non fosse, saltate quest'ultimo passaggio, come non detto.
Adopero un poco di cautela, cerco la bellezza ma anche la sostanza .Più cervello, meno viscere. E se proprio non resisto, un pizzico d'ironia  nel commentare (anche se l'ironia non è ben digerita sui social, in special modo da chi colleziona like come figurine di calciatori). Oppure ogni tanto, invece che apporre un like, solo perché il nome dell'autore del post è altisonante alle universali orecchie, provo a non digitare niente, sfumo la visione, stacco la pagina. Contemporaneamente, sussurro o grido, se ne ho voglia e motivo: Shit!

Henri de Toulouse-Lautrec   "Yvette Guilbert saluta il pubblico" - 1894

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