giovedì 26 gennaio 2017

La pietà stanca.

Siamo prossimi al giorno della Memoria e tutta la stampa, tutta l'informazione ne parlerà, come ogni anno; e non mancheranno quelli che parleranno di retorica, di enfasi, di uso politico di una tragedia universale. Io sono profondamente convinta che l'Olocausto debba entrare a far parte delle nostre vite, sempre; che la memoria di quello che è accaduto nel secolo scorso debba vivere dentro di noi, partecipare delle nostre scelte, condizionarle. Ma non pare essere così, non per tutti, non dappertutto. Solitamente sono contraria alle commemorazioni, ma se anche per un solo giorno ciascuno riesce ad accostarsi a quei ricordi laceranti - in senso reale, di carne e ossa, di vite spezzate, di umanità defraudata del diritto di essere umanità - allora sì, ognuno, e penso soprattutto alle generazioni più giovani, ha l'opportunità di vedere, di capire, tramite un film, un documentario, una lettura, cosa accadde. Non avrà risposte certe, non avrà spiegazioni soddisfacenti, ma saprà di cosa si è capaci, noi esseri umani.
E spero comprenderà anche il significato della parola Pietà. Questo termine antico e sacro che pare essere stato dimenticato, che non è attuale, che viene allontanato spesso come una debolezza, un anacronistico sentimento da escludere, perché il cammino che si è intrapreso è altro. Oggi il mondo mi pare voglia altro, non c'è tempo né spazio per la pietà, gli individualismi hanno ripreso a marciare trionfalmente e le nuove comete hanno le facce risolute di uomini e donne forti, mascelle scolpite, sorrisi e occhi come aspri ghiacciai. Sono i nuovi potenti, sono le nuove voci, campane a martello, che chiamano perché tutto vada secondo un disegno voluto, sventolato sul furore cieco di chi non sa dove andare e sceglie col fiuto dell'animale braccato.
La pietà oggi fatica: diceva Cesare Pavese "Lavorare stanca." Anche avere pietà stanca. Ma ne vale la pena, ne vale la pena.

Michelangelo Buonarroti "Pietà Rondanini"  1552-1553

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