venerdì 23 agosto 2019

E, ovviamente, l'amore.

So che questo genere di argomenti, questo parlare non di cieli azzurri e di palpitazioni estive sotto lune rosse, di flutti al tramonto e di vette rosate dall'ultimo raggio,  so che non suonerà felicemente alle orecchie degli innumerevoli cuori poetici che si aggirano qui.
Più di una volta mi è stato fatto notare che la politica non si può fare seduta su una sedia, dietro uno schermo; che è tempo sprecato; che è meglio non sporcarsi con una cosa così sporca: è consigliabile afferrare nuvole e spazi luminosi, spingersi oltre le umane miserie. Volare alti, alti. A costo di perdere di vista la terra che calpestiamo giornalmente e con essa gli esseri umani e noi stessi, quindi.
Ma io appartengo a una generazione che non poteva fare a meno di sentirsi "politica", di vivere la politica anche dentro le stanze di casa, di assaporarla come vino ai pasti. Di farci l'amore, pure quello; e, ad alcuni di noi, ce lo ha insegnato.
E allora mi appassiono sempre, mi sdegno sempre, mi illudo e mi sconforto sempre. Come in questi giorni, tragicomici e non dissimili da altri del passato, che hanno segnato le mie ore. Incollata davanti allo schermo a sentirli e a guardarli sfilare, questi ometti rissosamente tristi. Già! Mi ispirano tristezza perché sono il riflesso corporeo di un Paese triste e rissoso: come potrebbero essere altrimenti? Quali altre energie buone potrebbero emanare, se nessuno è disposto a coglierle, ad accettarle, ad accompagnarle?
Ai loro volti abbronzati e strizzati dal timore della perdita (pensate, pensiamo al fremito di ansia che li assale, "E ora? Cosa farò?" Il potere assaggiato è l'esca della schiavitù), ai loro volti contratti si si alternano quelli gaudenti, giulivi dei commentatori negli studi televisivi. Perché è una pacchia, una manna dal Cielo parlarne. Ognuno parla e parla e parla, contraddicendosi, dandosi idealmente teneri buffetti sulla guancia, ruminando la più nuova, clamorosa, eclatante e definitiva esegesi della penosa situazione in atto. Sempre sereni, mai arrabbiati, seraficamente asettici.  Sempre cinicamente sul posto,  attorno al cadavere della politica e della nostra povera patria. E io li osservo, li ascolto e mi sdegno: sdegno aggiunto allo sdegno. Stanno aspettando, mi dico, che in qualche modo si scannino, che la politica venga, ancora una volta, decapitata. Giustiziata.
Rendo merito e onore al Prof, Massimo Cacciari che ancora si incazza e si sdegna. Come me.
Come dovrebbe essere per tutti. Anche per chi non vuole parlarne e preferisce i cieli e il mare e il sole. E ovviamente l'amore.


Edvard Munch  " Il bacio "  1897

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