mercoledì 4 settembre 2013

Gioco con le parole.

Ogni tanto gioco. Mi diverto a giocare con le parole, le spoglio dei loro abiti da sera, le rivesto con altri più colorati e allegri, un po' come una bambina con la Barbie (anche se è una bambola che proprio non mi piace). Lo faccio quando sento che il tempo mi si appiccica addosso, quando le ore sono irrimediabilmente vuote e i pensieri se ne vanno verso luoghi ostili. Allora non mi basta mettermi a scrivere di Augusto o di Giuditta o delle creature che popolano la mia fantasia e che aspettano pazienti nel mio computer di riprendere a respirare, non mi basta più, anzi quasi mi crea un fastidioso morso al cuore il sapere che sono lì in attesa di un mio cenno, o più propriamente di una mia battuta. Così divago e gioco e afferro le parole più strampalate per farne grottesche rime, dei non senso che alla fine un senso poi ci si può anche trovare. Come nella vita di oggi d'altronde, come in questi giorni in bilico, giorni che non starebbero neanche sul calendario, dipendesse da me e penso da molti altri. E però si srotolano ubbidienti, uno dietro l'altro, ubbidienti alla nozione di tempo che noi conserviamo gelosamente. Senza di essa ci sentiremmo perduti, ci sentiremmo soli in un deserto di galassie, in una sconfinata landa senza nome. Così, dicevo, gioco e giocando dimentico ansie e affanni, dimentico passato e futuro, dimentico me stessa e la vita. C'è solo l'attimo presente, quell'irriverente omaggio alle parole, buttate a caso, sbilenche, goffe e inutili. Non per me però, che per qualche ora o minuto che sia, perdo la memoria di ciò che è utile e giusto e doveroso fare,  e spoglio e rivesto a piacimento le parole e sorrido, sorrido senza sapere perché.

Marc Chagall - La vie

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