Ogni tanto mi viene voglia di
abbandonare. Il web. Ogni tanto capita che mi vedo, proprio così, come fossi
un’entità diversa da quella che sono, mi vedo seduta a sbirciare la posta e poi
con un clic a saltare su twitter per conoscere le novità e ancora un clic e
sono nella pagina di Google+, per arenarmi, già sfinita, sulla spiaggia affollatissima
di Facebook. E qui mi ritrovo nuda, ho la spiacevole sensazione di avere
dimenticato i vestiti da qualche parte. Mi aggiro tra le moltitudini di post,
di foto, di link, di notizie fino allo smarrimento di me, fino a non sapere più
chi sono, mi scopro capace di tutto, quasi onnipotente, protetta dallo schermo
e dal mouse che mi permettono di agire indisturbata, di restare a far parte
della ressa o di staccare la spina. E partecipo anche io allegramente al gioco:
risucchiata nel gigantesco maelstrom del web, corro di qua e di là, acchiappo
una notizia che mi pare unica quasi fosse una farfalla in via d’estinzione, ne
scarto un’altra, scelgo, scarto, clicco ancora, copio e incollo, salvo; infine
giudico. Nuda, sempre più nuda e non mi rendo conto dell’occhio altrettanto
impietoso e impudico che mi spia. Finché una casualità o meglio la
consequenzialità del mio denudarmi, mi appare lampante, brutalmente
abbagliante. Eccomi, sono qui, sono quella che leggete, quella che pensate io
sia, sono così, prego accomodatevi al mio desco, mangiate con me, anzi cibatevi
di me, dei miei pensieri, delle mie idee, dei miei gusti letterari e artistici, fate insomma ciò che volete. Che poi vi restituisco la visita.
Penso allora a una persona a
me sommamente cara che, quando decisi un anno fa di allargare il mio utilizzo
del computer (fino a quel momento mi era stato utile per la posta e per
scrivere), mi aveva avvertita, come fosse un monito, di capire bene a cosa
stavo per andare incontro, “guarda, mi disse, che non avrai più intimità, ti
metteranno a nudo e in qualche misura perderai qualcosa di te.” Non l’ascoltai, tutta presa
dall’entusiasmante, nuova avventura e mi inoltrai senza bagagli e senza armi
nella foresta, allettata da cinguettii ronzii barriti ululati e ruggiti,
colori, musiche che parevano essere tutte cose tanto misteriose quanto sublimi
a me ignara e ignorantissima. Ora so che aveva ragione chi mi avvertì, so che è
come guardare dal buco della serratura in casa d’altri. E me ne vergogno un
po’, solo quel tanto che mi fa essere meno intrusiva,
Mi dico, tenterò di essere discreta, farò dei
clic quasi silenziosi, dirò “mi piace” sottovoce e solo se un post o una parola
mi piacciono davvero. Mi aggirerò in punta di piedi per il web., mi dico. Ma
poi, non ci riesco, sono incapace, le lusinghe della vanità sono dure da
debellare. Inganno me stessa sussurrando alla dolente coscienza che, in fondo,
si tratta di condivisione - c’è pure scritto, “condividi” “retweet” - mi faccio coraggio dicendomi che è come
entrare in un luogo dove è in corso una grande festa, di quelle che si vedono
nei film d’oltreoceano, dove tutti si conoscono e si abbracciano e flirtano e chiacchierano.
Già un ricevimento, una soirée di gala, dove gli invitati si presentano poco
vestiti, e sono quelli più morigerati. Mi
verrebbe voglia di abbandonare la festa, vorrei fuggire come fossi una
Cenerentola invecchiata che perderà la sua scarpetta. Poi ricordo che la
scarpetta permette al principe di riavere Cenerentola e mi consolo. Alla fine,
ogni favola ha un finale felice. E il web,può recuperare la mia “scarpetta di Cenerentola”,
può farmi ritrovare qualcosa o qualcuno nascosto tra la folla infinita. E sì, può farmi perdere qualcosa di me, ma può
anche restituirmela.
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