martedì 1 settembre 2015

No, di certo no.

Ho letto un breve articolo di Pino Corrias nel blog che tiene su Il Fatto.it, articolo che analizza, in parte, l'uso smodato che, sul pianeta, si fa dei social. In particolare l'autore si riferisce a Facebook. Corrias lamenta, in sintesi, il rischio, se non l'effettiva esistenza, di cadere nelle maglie pericolose dell'omologazione, della perdita di senso critico, Facebook come un calderone dentro al quale si intrecciano contatti, si discute, con il solo scopo di dialogare con se stessi. Tutti finiscono, secondo il giornalista, per parlarsi addosso guardandosi in un immenso, sconfinato specchio che riflette l'immagine di milioni e milioni di solitudini.
Denuncia anche, l'utilizzo ossessivo compulsivo, a tratti volgare, degli smartphone, smanettati in qualunque situazione, in solitaria o in compagnia, poco importa. E non nascondo di avere apprezzato queste osservazioni, noto anche io, con rammarico, un abuso del suddetto attrezzo. What's app domina incontrastato sul dialogo a quattr'occhi, sul rapporto tete à tete. spingendo tutti gli ingobbiti adolescenti, signori incravattati e signore dai capelli argentei, all'isolamento dalla realtà circostante. E la ragazza
che, fino a qualche anno fa, leggeva il suo bel libro in treno o sulla metro, 
è scomparsa, dice.
Ora, non voglio prendere le difese dei social, no. Spesso vengono utilizzati malissimo, diventano il ricettacolo di insulti, pettegolezzo, foto e video al limite del buon gusto: i selfie di virgulti in posa con muscoli vari in tensione o di fanciulle (e neanche poi tanto) con le poppe prorompenti e seminude, sono ormai una costante; come quelli di viaggi esoticissimi, di cene esclusivissime: o peggio, i resoconti di amori - parola inflazionata - perfettissimi e irripetibilissimi, anche il suffisso -issimo è una costante, ormai. Ma, a fronte di questi atteggiamenti, a dir poco stravaganti, c'è una moltitudine, molto vasta, di persone che affidano al social prescelto, momenti di solitudine, di fragilità emozionale; oppure ne fanno un alleato per parlare di un libro o di tanti libri; di cinema, di musica, di arte, di ambiente, di società, di politica. Ed è forse un male questo? Non credo. O almeno, bisogna vedere come lo si fa, come ci si accosta al tema, come si cerca il confronto con gli altri. Ed è un misfatto imperdonabile provare solitudine, in certi momenti della propria vita? Non credo, anzi. Sono una sostenitrice della solitudine, non come chiusura agli altri, ma come momento di riflessione, di analisi.
Corrias si dispiace perché il tempo non venga impiegato a leggere i libri, la cara, vecchia carta stampata che anche io tanto amo, e anche qui mi trovo d'accordo con lui. Ma l'una cosa non esclude l'altra, possono convivere, allegramente e felicemente, insieme.
Un'ultima riflessione, pepatina. Ma chi lo ha detto, chi può decidere per noi, quando, dove e come dobbiamo essere presenti? Quando ci è concessa la parola?
Mon Dieu, la concediamo, ogni giorno, a tanti, uomini e donne, che ne fanno spesso un uso improprio, grammaticalmente, sintatticamente, oltre che politicamente. Si vorrebbe toglierla ai comuni mortali, forse? No, di certo no.

Mario Sironi-Sarabanda finale-Il Montello-15 Ottobre 1918

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