sabato 17 giugno 2017

Ancora, per qualche tempo.

Ritorno sul tema dell'amicizia spronata da un episodio di breve durata, ma per me importante.
Quando mi accostai all'uso dei social, di Facebook in particolare, ero riluttante, agitata da una timidezza inconsueta. Avevo molti dubbi (alcuni li conservo anche adesso), ero incerta circa l'utilizzo e l'utilità del mezzo. Fu un lancio senza paracadute, come per i più penso, un volo cieco, Iniziai con estrema cautela, assentandomi per periodi più o meno lunghi, lo studiavo, si potrebbe dire che, come una sarta, gli prendevo le misure, scorciavo e allargavo. Leggevo tutto e tutto mi interessava e tutto mi annoiava. Poi cominciarono gli incontri con gli altri, i primi  - alcuni si sono perduti per strada e ancora ne provo rammarico, hanno trovato il coraggio (si può chiamare così?) di allontanarsi - e tra i primi uno mi catturò presto. Una mia coetanea, milanese di adozione ma siciliana per nascita, e di lì a breve anche la sorella.  Entrambe dotate di quella dote, oggi assai rara e preziosa, che è una squisita riservatezza e che si accompagna a una profonda umanità e onesta schiettezza. Doti in via di estinzione, ormai, ancor più nell'illusorio mondo del web. Con il trascorrere degli anni, la mia amica si è defilata, stanca, come mi ha detto, della cattiveria, della ferocia che imbratta i social. Una mancanza che avevo avvertito e che mi turbava, perché, avendo imparato a conoscerla e a stimarla,  intuivo  e condividevo quelle sue ragioni di fastidio, di malessere. Ci siamo riacchiappate in occasione del suo compleanno e mi sono rituffata in quelle acque chiare, rigeneranti.  I ricordi, il mio perenne saltare all'indietro.
E non è solo per la ferocia che ha stremato la mia amica non è solo per quella che avverto, ogni giorno più schiacciante, il tedio spossante del web. Vi aggiungo anche un'ipocrisia sorridente, un'indifferenza, a tratti ostile, che mal sopporta, mal si maschera sotto le vesti lise della cortesia, del bon ton. Di una finta mitezza.
Con le mie due amiche che non ho mai visto e che mi auguro di abbracciare presto, ho spartito tanta parte di me, un recente passato di sogni e speranza, di timori e collere. E le ringrazio ancora e ancora per avermi letta, sempre, per avere letto di Tilde e Ada, e delle favole della vita che mi era di diletto raccontare; le ringrazio per avermi rincuorata e sostenuta. Sempre, con quell'elegante riserbo, con quella lealtà pulita d'ogni futile orpello che le contraddistingue.
Credo di avere spiegato uno dei motivi per i quali vale la pena, ancora per qualche tempo, di starmene qui seduta, fingendo che anche questa sia vita. E forse così, un poco lo diventa.


Henri Matisse  "Interno a Nizza"  1920

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