venerdì 17 maggio 2013

Io, al contrario.

Rifletto sulla mia città, sulle prossime elezioni del Sindaco e annessi e connessi, e mi confermo sempre più che non mi interessa, non farò la mia parte. No, non andrò a votare e lo asserisco con decisa testardaggine, una convinzione da cui non mi schiodo come un mulo strattonato e bastonato, ma che resta fisso sugli zoccoli.
Un'amica per telefono sostiene che non si ottiene niente così, che dovrei impegnarmi, lei che è molto impegnata nel gossip cittadino e tutto quello che fa di rivoluzionario è dare fiato alle parole riferite da altri, senza mai muovere un dito. Ma è così che funziona, è questo il saper muoversi nella società di provincia. Oggi, l'ossequio al potente e la speranza che da esso ne derivi un beveficio; domani lo strepito e l'ignominia, se non hai ottenuto soddisfazione. Senza accorgerti che loro, quelli che la città ce l'hanno da sempre nelle mani, continuano nei loro più o meno leciti traffici, nelle loro spartizioni e non ti vedono neanche, stringono la tua mano molle con altrettanta mollezza, accolgono il tuo sorriso carico di attese con denti di lupo. E il ciclo si ripete, diventa mito, diventa una saga senza eroi. Poi, ti risvegli, o lo vuoi far credere a te e agli altri, e ti scagli nella disamina impietosa dei delitti di quelli e ti senti migliore, "prendo le distanze" dici, e intanto ne cerchi ancora la contiguità, un invito, una frequentazione approssimativa, anche soltanto esserci nei luoghi dove vanno: l'esserci, essere presente, non importa se si tratta della prima di un film o dell'inaugurazione di un locale. Potrai dire, sì io c'ero. Io, al contrario, non ci sono mai, fuggo. Mi chiudo nella realtà che vivo, coltivo fiori e leggo, scrivo e parlo con poche persone, amo molto e amo anche questa mia città, fottuta e ferita. Ma non partecipo al suo saccheggio, né con le mani, né con le parole.

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