lunedì 13 maggio 2013

Il bambino Bill.


La riflessione che mi piace fare oggi riguarda i bambini e il loro mondo e nasce da un post condiviso sulla mia bacheca in cui veniva citato un pensiero di Bill Hicks, il comico statunitense morto prematuramente nel 1994. In breve, Hicks contestava, in maniera brutale anche se non priva di umorismo, l’amore e il rispetto che, solitamente, si ha nei confronti del mondo dell’infanzia. E in effetti, l’interrogativo che pone, cioè se questi sentimenti di amore e di rispetto perdureranno anche dopo, nella fase di crescita del bambino che diventa ragazzo e poi uomo, non è per niente privo di fondamento. Quello che Hicks non fa e che gli nega il plauso, almeno quello mio, è un’oggettiva analisi del perché si sviluppino questi sentimenti di amore e di rispetto. Abbiamo avuto tutti la nostra infanzia, più o meno felice, e ciascuno di noi ne conserva il ricordo che crede più vicino alla realtà del proprio vissuto; ma forse quello che ci è sfuggito e che, certamente sfugge a Hicks, è la totale libertà di quel periodo. Durante i miei studi forse sarò rimasta affascinata dagli scritti e dalle teorie di J.J. Rousseau e di altri, ma è soprattutto l’esperienza personale che mi ha portata alla convinzione che  il bambino è l’individuo più libero che ci sia sulla terra, in quanto non ha costruito niente di cui essere responsabile; non ha comportamenti indotti da norme e regole precostituite; non ha vincoli affettivi, se non quelli legati alla propria sopravvivenza e al proprio benessere; non è condizionato dai media e dalla cultura, almeno fino all’età scolare, fatta eccezione per le immagini colorate di giochi e libri e cartoni atti a stimolarne la curiosità fisica e intellettiva. Il bambino è, più correttamente, potenzialmente libero, di una libertà innocente, secondo il significato letterale “che non nuoce”, se non a se stesso. Da questa paura, dal timore che egli possa nuocere a se stesso, perché tabula rasa di tutto quindi anche del pericolo, da ciò deriva l’educazione, che altro non è se non la perdita dell’innocenza e della libertà. Io amo i bambini assolutamente e totalmente, soprattutto in età pre-scolare, quando sanno ancora essere buoni e cattivi perché l’istinto li spinge in tal senso, sempre che gli aggettivi buono e cattivo siano validi per un bambino. Vi è mai capitato di osservare un bambino mentre vi afferra una ciocca di capelli, parlo di un poco più che lattante, diciamo sette otto mesi, e voi gridate per il dolore e ridete per il divertimento e lui, vi fissa imperturbabile e continua a tirare finché non siete costretti a staccargli voi la mano? E lo stesso, mi è più volte capitato con gli orecchini, tira e tira fino a che il lobo non comincia a graffiarsi e io rido con le lacrime agli occhi per il bruciore e per l’ostinazione e la innocente crudeltà che rivelano  quegli altri occhi fermi su di me. E al contrario, il volo nelle braccia che tendo verso di lui o lei, e magari stringo tra le mani un nastro colorato o un sonaglio trillante ed è un attimo di bocca ridente e versi amorosi. E poi, più in là, le prime domande a cui rispondo come posso e come so e le favole raccontate e i libri guardati insieme e già gli occhi assumono un’espressione più attenta, sono vigili, capisco che partecipano e che stanno entrando, con cauto entusiasmo, nella vita. Li guardo e mi riscopro innocente e libera e tremo al pensiero che presto finirà anche per loro. Ecco, credo che Hicks, nella sua invettiva, abbia voluto gridare la rabbia per un mondo perduto per lui e l’invidia infantile, e non so se ne ha avuto contezza, verso tutti quelli che possiedono quel mondo, che lo vivono o lo vivranno in futuro. Quel futuro che lui non era capace di riconoscere, quel futuro che non avrebbe avuto.   

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