La riflessione che mi piace fare
oggi riguarda i bambini e il loro mondo e nasce da un post condiviso sulla mia
bacheca in cui veniva citato un pensiero di Bill Hicks, il comico statunitense
morto prematuramente nel 1994. In breve, Hicks contestava, in maniera brutale
anche se non priva di umorismo, l’amore e il rispetto che, solitamente, si ha
nei confronti del mondo dell’infanzia. E in effetti, l’interrogativo che pone,
cioè se questi sentimenti di amore e di rispetto perdureranno anche dopo, nella
fase di crescita del bambino che diventa ragazzo e poi uomo, non è per niente
privo di fondamento. Quello che Hicks non fa e che gli nega il plauso, almeno
quello mio, è un’oggettiva analisi del perché si sviluppino questi sentimenti
di amore e di rispetto. Abbiamo avuto tutti la nostra infanzia, più o meno
felice, e ciascuno di noi ne conserva il ricordo che crede più vicino alla
realtà del proprio vissuto; ma forse quello che ci è sfuggito e che, certamente
sfugge a Hicks, è la totale libertà di quel periodo. Durante i miei studi forse
sarò rimasta affascinata dagli scritti e dalle teorie di J.J. Rousseau e di
altri, ma è soprattutto l’esperienza personale che mi ha portata alla
convinzione che il bambino è l’individuo
più libero che ci sia sulla terra, in quanto non ha costruito niente di cui
essere responsabile; non ha comportamenti indotti da norme e regole
precostituite; non ha vincoli affettivi, se non quelli legati alla propria
sopravvivenza e al proprio benessere; non è condizionato dai media e dalla cultura,
almeno fino all’età scolare, fatta eccezione per le immagini colorate di giochi
e libri e cartoni atti a stimolarne la curiosità fisica e intellettiva. Il
bambino è, più correttamente, potenzialmente libero, di una libertà innocente,
secondo il significato letterale “che non nuoce”, se non a se stesso. Da questa
paura, dal timore che egli possa nuocere a se stesso, perché tabula rasa di
tutto quindi anche del pericolo, da ciò deriva l’educazione, che altro non è se
non la perdita dell’innocenza e della libertà. Io amo i bambini assolutamente e
totalmente, soprattutto in età pre-scolare, quando sanno ancora essere buoni e
cattivi perché l’istinto li spinge in tal senso, sempre che gli aggettivi buono
e cattivo siano validi per un bambino. Vi è mai capitato di osservare un
bambino mentre vi afferra una ciocca di capelli, parlo di un poco più che
lattante, diciamo sette otto mesi, e voi gridate per il dolore e ridete per il
divertimento e lui, vi fissa imperturbabile e continua a tirare finché non
siete costretti a staccargli voi la mano? E lo stesso, mi è più volte capitato
con gli orecchini, tira e tira fino a che il lobo non comincia a graffiarsi e
io rido con le lacrime agli occhi per il bruciore e per l’ostinazione e la
innocente crudeltà che rivelano quegli
altri occhi fermi su di me. E al contrario, il volo nelle braccia che tendo
verso di lui o lei, e magari stringo tra le mani un nastro colorato o un
sonaglio trillante ed è un attimo di bocca ridente e versi amorosi. E poi, più
in là, le prime domande a cui rispondo come posso e come so e le favole
raccontate e i libri guardati insieme e già gli occhi assumono un’espressione
più attenta, sono vigili, capisco che partecipano e che stanno entrando, con
cauto entusiasmo, nella vita. Li guardo e mi riscopro innocente e libera e
tremo al pensiero che presto finirà anche per loro. Ecco, credo che Hicks,
nella sua invettiva, abbia voluto gridare la rabbia per un mondo perduto per
lui e l’invidia infantile, e non so se ne ha avuto contezza, verso tutti quelli
che possiedono quel mondo, che lo vivono o lo vivranno in futuro. Quel futuro
che lui non era capace di riconoscere, quel futuro che non avrebbe avuto.
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