giovedì 7 aprile 2016

"No. Leggo un buon libro".

Non ho mai guardato il programma "Porta a Porta" e non lo dico per attribuirmi un vanto, no. Non sono stata una telespettatrice del talk di Vespa per un motivo banale, lo definirei anche estetico: non mi piacciono le persone che si fregano le mani -  non so se avete presente quel gesto che richiama alla memoria un personaggio di Dickens, il mellifluo Uriah Heep - e Bruno Vespa è solito fregarsele con ghiotta soddisfazione. Ciò, per carità, non toglie nulla ai meriti del giornalista che, voglio credere, debbano essere cospicui se la sua luminosa carriera perdura nonostante l'età non più verdeggiante. Eppure, ieri mi sarei aspettata altro dalla RAI. l'emittente nazionale di informazione pubblica, mi sarei aspettata che, per una volta, le ragioni della saccoccia e di utili relazioni non avessero la meglio sulle ragioni della decenza e del rispetto. Il fatto è noto, ma lo riassumo. Il conduttore Vespa ha intervistato, nel corso del programma, il figlio del mafioso Totò Riina, in carcere per le stragi di Capaci e di Via D'Amelio, in cui perirono i giudici Falcone e Borsellino insieme alla moglie di Giovanni Falcone e agli uomini e alle donne della scorta.Come ha precisato Mentana, in verità è compito del giornalismo informare e porgere al pubblico criteri e mezzi per giudicare, per avere un'opinione di avvenimenti e persone e quindi le interviste vanno fatte anche, sostiene Mentana -  e io, in parte, condivido - ai personaggi negativi, ossia assassini, ladri e ladroni, corruttori e corrotti , mafiosi e camorristi. E, in effetti nella storia del giornalismo gli esempi non mancano, basti pensare alle interviste di Enzo Biagi. Ma nel caso specifico, c'è ben altro per cui indignarsi, anzi incazzarsi: l'intervista del pargolo del mafioso Riina è strumentale alla pubblicazione del libro di memorie, presumo con timore, riguardanti le amene amorevolezze del delinquente Riina, nei panni di padre: una certificazione affettuosa e caritatevole di un individuo che tutto merita fuorché affetto e misericordia. A rendere la cosa ancor più miserevolmente indegna è che il libro, con ogni probabilità,  possa essere frutto dell'ingegnosa fantasia di un altro, insomma di un ghost writer prestato alla mafia. Eccellente. Un'altra eccellenza dell'Italia, un'altra immagine di degradante umiliazione a cui l'ente pubblico avrebbe dovuto sottrarre se stesso e noi tutti.
La mia, e non solo mia, unica speranza è che in tantissimi abbiano detto "no, io non ti guardo Vespa. Io stasera spengo la tv e leggo un buon libro. Un buon libro."

Henri Matisse, La lettrice, 1919
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